Il 1943 è nella seconda Guerra mondiale l’anno della svolta. In Italia gli scioperi del marzo precedente, il bombardamento di Roma e la caduta del fascismo fanno precipitare la situazione. La guerra è persa su ogni fronte, il governo si arrende e il 3 settembre viene stipulato l’armistizio con gli Alleati (verrà divulgato il successivo 8 settembre).

Le parole pronunciate con voce ferma dal maresciallo Badoglio alle 19 e 42  dalla sede dell’Eiar, l’allora radio di Stato, sono ormai consegnate ai libri di storia: “Il governo italiano riconosciuta l’impossibilità di continuare un’impari lotta contro le forze soverchianti avversarie e nell’intento di risparmiare ulteriori e più gravi sciagure alla nazione, ha chiesto l’armistizio al generale Eisenhower, comandante in capo delle forze anglo-americane. La richiesta è stata accettata. Conseguentemente, ogni atto di ostilità da parte delle forze italiane contro gli eserciti alleati deve cessare in ogni luogo. Le forze italiane però reagiranno agli attacchi di qualsiasi altra provenienza”.

“L’8 mio padre era a casa dei suoceri - annotava Bruno Trentin sul proprio Journal de guerre - mio fratello a casa di amici. Io passeggiavo per caso sulla piazza principale di Treviso. Si era radunata una folla confusa e incerta. Corrono delle voci: la Pace… la Pace!… Voci, ma nessuno ne sa niente. Tutto a un tratto, un uomo compare a un balcone e urla: ‘Italiani! Una grande notizia… Armistizio!… la guerra del fascismo è finita!… Vendetta contro quelli che vi ci hanno trascinato!’. La gente grida di gioia, i soldati si abbracciano, si corre per le strade, si canta. Io, tremante, tesissimo, mi precipito attraverso il dedalo delle viuzze sporche della città bassa e in cinque minuti sono a casa di nonno. Irrompo nella stanza in cui mio padre sta discutendo con alcuni amici; grido: ‘Badoglio ha firmato l’armistizio!’. Mio padre si alza in piedi, grave, senza inutili esplosioni di gioia; si guardano tutti tra loro… È la guerra che comincia!…. La guerra vera per l’Italia vera. Da quel giorno, le nostre volontà: quella di mio padre, di mio fratello e la mia, si sono sforzate di farla, questa guerra, con ogni mezzo”.

Comincia per l’Italia la Resistenza al nazifascismo, una storia fatta di combattimenti, rappresaglie, repressioni, silenzi e grandi eroismi. Una storia fatta da uomini e donne ai e alle quali tutti noi dobbiamo molto. “L’Italia finalmente si risveglia! - scriveva ancora il giovane Bruno, il partigiano Leone - Su tutta la superficie della penisola occupata dagli invasori tedeschi e dai loro degni sicari fascisti, il popolo italiano, quello del 1848, quello di Garibaldi e di Manin è in piedi e lotta (…) A partire da ora, i criminali di Matteotti, gli assassini di Amendola, di Rosselli e di tutte le migliaia di eroi che non hanno voluto piegarsi alla loro ignobile tirannia, cominciano a pagare il pesante tributo dei loro crimini”. E poco più avanti: “La guerra è aperta, oramai. Sorda, segreta, ma terribile. È lo spirito dei rivoluzionari che si facevano ammazzare nelle barricate ad animare oramai il popolo del Risorgimento. Dopo aver dormito vent’anni, questo popolo martire fa sentire all’immondo aguzzino in camicia nera tutte le terribili conseguenze del suo risveglio. È in piedi oramai. Lo si era creduto morto, servitore, vile e codardo, e invece è là!”.

“Perché abbiamo combattuto contro i fascisti e i tedeschi? - diceva Luciano Lama in uno dei momenti più drammatici per la vita del nostro paese, il 25 aprile 1978, durante i terribili giorni del rapimento Moro - Perché abbiamo rischiato la vita, perduto, nelle montagne e nei crocevia delle nostre campagne, nelle piazze delle nostre città migliaia dei nostri compagni e fratelli, i migliori? Perché siamo insorti, con le armi, quando il nemico era più forte di noi? - chiede ad un immaginario interlocutore il segretario generale della Cgil - Noi abbiamo lottato allora per la giustizia e per la democrazia, per cambiare l’Italia, per renderla libera. (…) Oggi, in un momento drammatico della nostra storia, guardiamo con grande preoccupazione al presente e ricordiamo con giusta fierezza, anche se senza trionfalismo, la lotta di trent’anni fa. (…) I giovani devono crescere con questi valori, e sapere che la nostra generazione, pur con tutti i suoi limiti ed errori, ha creduto in qualche cosa e continua a crederci ed è capace di sacrificarsi e continua a sacrificarsi per questi valori. La nostra gioventù, così incerta e senza prospettive anche per nostre manchevolezze, deve ricevere da noi in questo momento una lezione, deve trovare in noi un esempio che come nel ‘43-’44 non è fatto di parole, ma di scelte dolorose, di sacrificio anche grande perché c’è qualcosa che vale di più di ciascuno di noi, conquiste faticate nella storia degli uomini, che ci trascendono e si chiamano democrazia, libertà, uguaglianza”.

Luciano Lama l’8 settembre 1943 è in servizio a Borello di Cesena, al comando di un reparto di reclute da addestrare che aveva appena indossato la divisa militare e non erano in grado di fronteggiare i tedeschi. Raccontava qualche anno fa il senatore Sergio Flamigni: “L’8 settembre 1943 era in servizio a Borello di Cesena, al comando di un reparto di reclute da addestrare che aveva appena indossato la divisa militare e non erano in grado di fronteggiare i tedeschi. In accordo con i compagni di Cesena prese la decisione di sciogliere il campo e di consegnare tutte le armi e le vettovaglie al comitato antifascista, armi che furono trasportate in montagna e servirono per le prime formazioni partigiane. Alla chiamata della Repubblichina di Salò non si presentò e iniziò la sua vita clandestina. Sotto falso nome, in accordo con un professore antifascista dell’Università di Firenze, sostenne la tesi su ‘Le case coloniche della mezzadria in Romagna’. La laurea gli sarà consegnata con il suo vero nome, solo dopo la Liberazione, dal Rettore Piero Calamandrei. Ai primi di dicembre ‘43 i compagni di Ronta lo aiutarono a raggiungere i partigiani in montagna. Gli fu affidato il comando di una compagnia di una ventina di partigiani di stanza a Ridracoli (LEGGI TUTTO)”. “Se oggi siamo una Repubblica democratica fondata sul lavoro - diceva lo scorso 25 aprile il segretario generale della Cgil Maurizio Landini - se abbiamo una Costituzione è perché c’è stata la Resistenza”.

“Con l’8 settembre del 1943 - scriveva lo scorso anno il periodico dell’Anpi Patria indipendente - nella confusione e nella disperazione di uno Stato - lo Stato fascista - che si dissolveva, si avviava la rinascita della Patria. Perché furono quei mesi, grazie al sacrificio di decine di migliaia di partigiani e partigiane, di centinaia di migliaia di militari deportati in Germania o uccisi dai tedeschi, come a Cefalonia, a riscattare l’immagine del Paese e a consentire la ricostruzione, la Repubblica, la conquista della Costituzione”. “In questa Costituzione (…) - diceva Pietro Calamandrei - c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato. Tutti i nostri dolori, le nostre sciagure, le nostre glorie”. La Carta costituzionale non va solo difesa, ma applicata in particolare sui diritti fondamentali a partire dal lavoro, dal diritto alla salute e all’istruzione. Temi essenziali, oggi più che mai.