L’8 agosto del 1956, alle otto e dieci di mattina, nella miniera di carbone di Marcinelle, in Belgio, si verificò un gravissimo incidente: morirono 262 minatori. Di questi, 136 erano emigrati italiani. Non era la prima volta che lavoratori italiani morivano nelle miniere di altri paesi: agli inizi del Novecento si erano verificate altre immense tragedie minerarie, nelle quali morirono 171 italiani a Monongah e 146 a Dawson, entrambe negli Stati Uniti. Tragedie identiche: storie di un’Italia dalla quale si fuggiva per la troppa miseria, di un’emigrazione come unica scelta possibile, di lavoro durissimo svolto in condizioni disumane.

I fatti di Marcinelle ci colpirono particolarmente, anche per il contesto in cui avvenivano. Era l’Italia che si ricostruiva, nel dopoguerra; era l’Europa che – dopo il conflitto - cercava di mettere in piedi i primi accordi bilaterali - tra singoli Stati - o già comunitari. E tra questi accordi c’era quello, agghiacciante, tra Italia e Belgio: “uomo-carbone”, si chiamava. L’Italia forniva braccia e il Belgio ricambiava col carbone: dovevamo per obbligo mandare in Belgio 50 mila uomini, al ritmo di duemila a settimana. Tutti giovani sotto i 35 anni, di “sana e robusta costituzione”, che andavano a vivere nelle baracche di lamiera lì in Belgio ed erano inchiodati ad un contratto di lavoro nelle miniere per cinque anni almeno. Dei quali obbligatorio almeno uno: pena, l’arresto.

Già nelle prime ore di quella sciagurata mattina dell’8 agosto 1956, a Marcinelle la Cgil fu in prima fila. Oltre ad aver sempre combattuto contro quest’accordo – e averne ottenuto la cancellazione proprio in seguito alla tragedia - la Cgil si costituì parte civile nel processo che ne seguì, a difesa delle vittime. Lo facemmo tramite l’Inca, il nostro patronato, con i medici legali e gli avvocati che reclutò in Belgio; assistemmo le famiglie delle vittime e dei sopravvissuti –anche nelle cause legali per il riconoscimento, successivo, delle malattie professionali contratte in miniera. Fu proprio con Marcinelle che, di fatto, iniziò la nostra storia di assistenza, tutela, difesa dei nostri connazionali all’estero. Un’Italia che era allora –e che oggi è tornata ad essere- grande Paese di emigrazione aveva ed ha bisogno di un sindacato che accompagni e tuteli i nostri lavoratori anche al di fuori dei nostri confini, che li aiuti a veder rispettati i propri diritti e che gli permetta di integrarsi positivamente nelle realtà straniere. Significa anche, non dimentichiamolo, battersi in Italia perché non si sia costretti ad emigrare, ad andar via dal proprio Paese per cercare un lavoro qualsiasi.

Nel Bois du Cazier – il sito minerario che è oggi museo - l’Inca sente affondare una parte fondamentale delle proprie radici. Nel cinquantesimo anniversario ricordammo la tragedia invitando l’allora presidente della Camera dei deputati italiano e il premier belga; nel sessantesimo vennero con noi a ricordare le vittime il segretario generale della Cgil e il segretario generale della Fgtb. Ogni anno, le nostre compagne e i nostri compagni dell’Inca in Belgio partecipano alle commemorazioni, ricordando il nostro impegno per la sicurezza e la tutela di chi lavora, deponendo dei fiori sotto la stele con i nomi delle vittime. Quest’anno non sarà così: la pandemia ha chiuso anche Marcinelle, accedervi non sarà consentito. Per questo vogliamo ricordarla qui. Nel pieno della pandemia da covid-19, farlo ha senso profondo solo se dimostriamo di aver imparato da quella tragedia la lezione più importante: che la tutela e la sicurezza dei lavoratori devono essere al primo posto delle nostre preoccupazioni. Proprio per questo, ad esempio, abbiamo voluto ed ottenuto che si siglasse immediatamente - già a marzo - il protocollo per la sicurezza: perché chi ha dovuto lavorare in quei giorni e chi lavora oggi deve farlo innanzitutto in condizioni di sicurezza. Proprio per questo l’Inca e la Cgil hanno chiesto da subito che chi ha contratto il covid-19 sul posto di lavoro, possa vederla riconosciuta come malattia professionale. E proprio per questo i nostri sportelli, in Italia e nel mondo, hanno in queste settimane fornito ogni tipo di supporto e assistenza a lavoratori e cittadini colpiti dalle conseguenze - anche economiche e sociali - della pandemia.

I troppi morti sul lavoro ci dicono che su questo non solo non si deve abbassare la guardia, ma che va continuamente alzata. E ricordare le condizioni che hanno portato alla tragedia di Marcinelle, quell’accordo “vite in cambio di carbone” tra Italia e Belgio, ci fa guardare con occhi forse più fiduciosi ma certo ben attenti a quello che succede oggi in Europa. I piani e le risorse messi in campo in questi giorni sembrano raccontarci di un’Europa che prova a superare gli egoismi individuali, dei singoli Stati, e che si rende finalmente conto che solo una risposta comune e, soprattutto, solidale, può garantire un futuro giusto e prosperoso a tutti. Così, nel nostro ricordo dei lavoratori italiani ed europei morti nella miniera di Marcinelle, vogliamo ribadire il nostro impegno che è oggi lo stesso di allora: che alla base dell’Italia e della nostra Europa ci sia il lavoro. Il lavoro dignitoso, tutelato e sicuro.

* Michele Pagliaro è presidente dell'Inca Cgil