Nel 1969 a L’Ora di Palermo Letizia Battiglia - 85 anni compiuti da poco, prima donna fotografo a lavorare per un giornale italiano - è l’unica donna tra colleghi maschi. Nel 1970 si trasferisce a Milano dove incomincia a fotografare collaborando con varie testate. “Ero sola - ricorda a proposito di un servizio fotografico a Pasolini al Circolo Turati - un’emigrata palermitana tra gente sconosciuta, milanese, con una macchina fotografica al collo, dai congegni misteriosi, e l’ardire di pormi davanti alla grandezza, di fotografarla e di portarmela a casa. Scattai. La mia macchina era rumorosa, disturbavo. Non usai neanche tutto il rullino, diciassette o diciotto scatti. Poco sicura della luce, del diaframma, del tempo. Poco sicura di tutto (...) Ero uscita da casa ansiosa di vedere Pier Paolo Pasolini, di ascoltarlo, magari di toccarlo. Niente mi divideva da lui, né ideologie né pregiudizi. Lo amavo e basta. Non avevo letto tutto di lui, non avevo ancora visto tutti i suoi film. Non frequentavo partiti con ideologie precise. Non sapevo neanche il motivo del mio amore. Lo sentivo grande, umanissimo, giusto. Era questo suo modo di essere giusto che ha segnato il resto della mia vita, che ha scandito le mie scelte”.

Nel 1974 - ricevuta una proposta di lavoro per un posto in qualità di responsabile della fotografia sempre per il giornale L’Ora - torna a Palermo e crea, con Franco Zecchin, l’agenzia Informazione fotografica. Sono suoi gli scatti all’hotel Zagarella che ritraggono i Salvo insieme a Giulio Andreotti e che furono acquisiti agli atti per il processo. Il 6 gennaio 1980 è la prima fotoreporter a giungere sul luogo in cui viene assassinato Piersanti Mattarella, un momento tragico per la storia della Sicilia e della Italia tutta che Letizia consegna alla storia attraverso l’immagine straziante e memorabile di Sergio Mattarella, attuale presidente della Repubblica, che abbraccia il cadavere del fratello. Nello stesso anno il suo scatto della “bambina con il pallone“ nel quartiere palermitano della Cala fa il giro del mondo.

L’assassinio del giudice Terranova ed i funerali del Generale Dalla Chiesa sono solo alcuni dei più macabri, importanti, necessari scatti della sua fotografa. Bellissime le foto di Felicia Impastato: “Ha sfatato un poco questa idea che dalla mafia non si esce. Dalla mafia si esce”, ricorderà la fotografa con rabbia mista a dolcezza. Prima donna europea a ricevere nel 1985 il Premio Eugene Smith a New York, Letizia Battaglia non è solo "la fotografa della mafia’" un’etichetta che fra l’altro non ama molto. È la fotografa di Palermo e delle sue mille contraddizioni (“La amo moltissimo, ma mi fa arrabbiare. Qui ci sono un sacco di contraddizioni di questo vivere, non ci sono pace e serenità. Ma sono morbosamente attaccata a questa città, perché ho ancora molte cose da fare”), dei suoi morti di mafia ma anche delle sue tradizioni, dei quartieri, delle strade, delle feste, dei bambini e delle donne.

“C’è un mondo che sta andando sottosopra - diceva pochi mesi fa in piena pandemia - gestito in mondo un po’ violento e molto maschile. Noi abbiamo il dovere, non il diritto, il dovere di metterci in gioco, di andare ad  amministrare le cose, di non fare sciogliere i ghiacciai, di esserci. Perché credo che gli uomini da soli non ce la facciano. Ed è giusto che non ce la facciano, perché noi siamo l’altra parte del mondo. Ci siamo noi donne e gli uomini. Dovremmo assolutamente capire che dobbiamo alzare la voce, entrare dentro le cose. Dobbiamo metterci la nostra faccia e volontà, la nostra rabbia gentile e fragile. Dobbiamo studiare, disciplinare la nostra vita. La nostra vita deve avere un senso più grande di quello di essere madre. Siamo anche madri noi della nostra Terra”.

Nel 1992, anno degli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, col cuore a pezzi ed esausta interromperà la sua carriera da fotoreporter ma non per questo abbandonerà la lotta preferendo invece concentrarsi sulle sue attività cooperative di sensibilizzazione e divulgazione soprattutto verso i giovani: “I nostri giovani - diceva non molto tempo fa - non hanno più ideali nel futuro. Per questo io amo tanto incontrare i ragazzi nelle scuole, nelle accademie. Arrivo io, con i miei 85 anni, non li posso affascinare… Li vedo seduti là, annoiati. Ma poi comincio e dopo 10 minuti qualcuno comincia ad avere gli occhi che brillano, e poi siamo tutti un insieme, io capisco loro e loro capiscono me. Perché c’è bisogno di credere. Bisogna proporgli entusiasmo, piacere per la vita, libertà, che si godano la vita, non rimangano prigionieri delle idee restrittive. Della famiglia e dei genitori. Io propongo loro di
ribellarsi e di progettare un futuro bello, non un futuro legato a quello che credono gli altri. È complicato, perché non credono più a niente. Non hanno fiducia, non sanno più che fare, non sanno progettare la bellezza. Non sanno sognare più”.

“Guardare una fotografia è come guardare un paesaggio ghiacciato fuori da una finestra che non ci appartiene - affermava poeticamente Letizia - Tutto ciò che vediamo non ci appartiene e siamo a conoscenza del fatto che tutto quello che vediamo è reale e non è altro che uno sguardo congelante sulla memoria”. Una memoria viva che negli anni si è tradotta in impegno da parte di un’artista passionale e coraggiosa, in cerca di una libertà che passa per il sogno di una Sicilia sciolta dalle catene della mafia. Una donna speciale che alle donne ha dato tanto: “Fin da bambina - raccontava - non volevo accettare i pregiudizi. Allora l’ho pagata tanto, oggi posso fare quasi tutto quello che voglio, mi perdonano tutto, forse perché ho chiarito che non è una debolezza essere aperti, vivaci, con i capelli rosa: è una forza, la forza di decidere che la vita è sempre vivere, sperimentare”. “Cosa ho imparato in questi 84 anni? - si chiedeva lo scorso anno - A rispettare la libertà di chiunque, e questo significa anche uguaglianza e giustizia. Io sono molto comunista, anche se di comunista non c’è più niente, neanche un partito. L’importante è il rispetto verso gli esseri umani, tutti”.