La mattina del 14 luglio 1948, il segretario del Partito comunista italiano, Palmiro Togliatti, viene ferito dai colpi di pistola sparati dal giovane studente siciliano Antonio Pallante.  “Subito dopo essere uscita con Togliatti da Montecitorio - ricorderà Nilde Iotti anni dopo - vidi come un’ombra che si muoveva sugli scalini del palazzo di fronte. Avevamo appena superato l’ingresso di via della Missione e Antonio Pallante sparò. Il primo colpo si conficcò nel muro di una casa di via Uffici del Vicario. Il secondo proiettile colpì Togliatti al centro della testa. Togliatti cadde in ginocchio e si rovesciò all’indietro. La pallottola, fortunatamente, non era rivestita, e si schiacciò sull’osso occipitale. E Togliatti, lo seppi poi dai medici, come tutti coloro che leggono molto, aveva un osso occipitale molto sviluppato, il che servì in qualche modo ad attenuare il danno. Il terzo proiettile fu il più grave. Penetrò nella cavità toracica e traforò il polmone di Togliatti procurandogli un’emorragia interna. Tre colpi ravvicinati, esplosi a ripetizione. Fu solo a quel punto che mi resi pienamente conto della situazione. Gridai ad un carabiniere che avevo visto di postazione davanti al portone di Montecitorio: «Arrestatelo!». Subito dopo seguì il momento più drammatico. Vidi Pallante avvicinarsi a Togliatti caduto. Istintivamente mi gettai sul corpo di Togliatti per proteggerlo. In quel momento Pallante sparò il quarto colpo. La pallottola entrò sotto la pelle senza penetrare però nella cavità toracica”.

La notizia dell’attentato rimbomba immediatamente in Parlamento, cogliendo tutti di sorpresa. Secchia e Longo seguono Togliatti al Policlinico, la Direzione  del Partito si riunisce in un clima di grande incertezza. All’ospedale arrivano anche Nenni e, da Trento dove sua figlia sta partorendo, De Gasperi. Nel giugno 1948 Giuseppe Di Vittorio in rappresentanza dei lavoratori italiani fa parte della delegazione che partecipa alla XXXI Conferenza del Bureau International du Travail che ha luogo a San Francisco in California. Rientrerà a Roma proprio il 14 luglio.

Ricorda Anita: “Ciampino era animato più del solito, e Peppino si guardava attorno interrogativo quando un ufficiale, seguito da altra gente, lo raggiunse di corsa gridandogli: «Onorevole! Hanno ucciso Togliatti!» E un altro di rincalzo: «No, non è morto… È grave ma è vivo ancora…». Il colpo fu terribile. Vidi il volto di Peppino impallidire e poi immediatamente irrigidirsi in uno sforzo di volontà”. «Chiama subito la Confederazione», mi ordinò. Il comandante ci avvertì: «Sarà difficile telefonare. C’è lo sciopero generale». «Com’è possibile? - Chiese Peppino - Bitossi avrebbe potuto avvertirmi!». Lo informarono allora che l’attentato aveva avuto luogo appena due ore prima e che lo sciopero era esploso immediatamente, senza alcuna direttiva della Confederazione”. Sarà - dirà lo storico Sergio Turone - “lo sciopero generale più completo e più esteso che si sia mai avuto nella storia d’Italia”.

Poche ore dopo il ferimento si verificheranno incidenti in diverse località fra le quali Roma, La Spezia, Abbadia San Salvatore. Si registreranno morti a Napoli, Genova, Livorno, Taranto. Gli operai della Fiat di Torino sequestrano nel suo ufficio l’amministratore delegato Vittorio Valletta. Buona parte dei telefoni pubblici smette di funzionare, si blocca pressoché completamente la circolazione ferroviaria. Il Governo mette in campo l’esercito. Ricompaiono le armi. Sono le ore più drammatiche della breve storia repubblicana.

Il primo Consiglio dei ministri si riunisce alle 13.15, pochi minuti dopo l’attentato a Montecitorio, ma solo per condannare il ferimento di Togliatti e inviargli gli auguri di pronta guarigione. E’ nella seduta del giorno successivo che i timori degli esponenti democristiani si materializzano nella paura di un golpe (le preoccupazioni saranno mitigate dalla comunicazione di De Gasperi che, alla ripresa della seduta, riferisce di un incontro con Giuseppe Di Vittorio per porre fine allo sciopero). L’ordine ufficiale di cessazione dello sciopero sarà comunicato nella notte del 15 luglio (quel giorno Bartali vincerà un’importante tappa del Tour de France e il 25 il Tour stesso: un’impresa sportiva notevole visto che Bartali all’epoca aveva 34 anni. Qualcuno sosterrà che l’entusiasmo per questo risultato contribuì a distrarre i manifestanti dai loro intenti di protesta e rivolta. Intervistato anni dopo da Epoca, in realtà Bartali smentirà decisamente la connessione tra i due eventi).

Ai lavoratori milanesi che vogliono continuare la lotta, la Segreteria della Cgil invia il seguente messaggio: “Lavoratori milanesi! La Cgil vi esprime la sua simpatia e la sua ammirazione per lo slancio unanime col quale voi avete scioperato, per manifestare il vostro sdegno contro il vile attentato compiuto a tradimento sulla persona dell’indomito combattente della libertà Palmiro Togliatti e contro la politica liberticida che ha armato la mano dell’infame sicario fascista. Con lo sciopero generale, attuato con ammirevole compattezza in tutta l’Italia, la Cgil ed i lavoratori italiani hanno posto davanti al Paese il grave problema d’un radicale mutamento della politica interna del governo, perché le libertà democratiche ed i diritti sociali conquistati dai lavoratori, e sanciti nella Costituzione, siano effettivamente rispettati e perché siano annientati i focolai di reazione ed i sedimenti di fascismo che tramano contro la libertà del popolo (...) Lo sciopero generale ha espresso la volontà unanime delle masse popolari italiane di opporsi con vigore e decisione ad ogni conato di reazione e di fascismo. Uno sciopero così compatto costituisce già una prima vittoria. Lo sciopero è cessato, ma la nostra lotta per la libertà continua. Ciò che occorre ai lavoratori è la compattezza e la disciplina. E voi, lavoratori milanesi, che siete stati sempre alla avanguardia del movimento operaio e democratico italiano, dovete comprenderlo prima degli altri. Non prestatevi a nessuna manovra di divisione e di indebolimento della disciplina sindacale. Abbiate fiducia nella vostra grande Cgil e nella vostra forte ed indomita Camera del lavoro”.

Togliatti stesso invita tutti alla calma. Conferma Nilde Iotti: “Fin dal primo momento la preoccupazione di Togliatti, anche mentre lo trasportavano dall’infermeria della Camera all’autoambulanza, fu di non perdere la calma. ‘State calmi, non perdete la testa’, mi disse più volte. Parlava con fatica ma anche con grande precisione, perché le sue parole fossero ben comprese da Longo, Secchia, D’Onofrio, Scoccimarro, praticamente lo Stato maggiore del Partito”. Insieme allo Stato maggiore del Partito ci sono al capezzale di Togliatti il figlio Aldo e la moglie Rita Montagnana. “Quel pomeriggio fu per me particolarmente angoscioso - racconterà Nilde Iotti - Per la sorte di Togliatti, ma anche per lo stato di isolamento in cui mi venni a trovare. Attorno a me sentii crescere un muro di incomprensione. Il più duro fu il compagno Mauro Scoccimarro che fin dal primo momento chiese a Longo di allontanarmi da Roma. Ma Longo, che aveva capito quanto profondo fosse il rapporto che mi legava a Togliatti, rifiutò decisamente. Fu una saggia decisione poiché sicuramente Togliatti ad un mio allontanamento avrebbe reagito duramente”.

“Il Comitato Centrale del PCUS - scriveva intanto in un telegramma Iosif Stalin - è indignato per il brigantesco attentato contro la vita del capo della classe operaia e di tutti i lavoratori d’Italia, il nostro amato compagno Togliatti. Il Comitato Centrale del PCUS è contristato dal fatto che gli amici del compagno Togliatti non siano riusciti a difenderlo dal vile attentato a tradimento”. “Il telegramma di Stalin - ricorderà la Iotti - ebbe un impatto molto forte. Secondo me il fatto che egli parlasse di amici e non di compagni stava soltanto a sottolineare il legame del Pcus e di Stalin col nostro partito e con Togliatti. È certo però che quel telegramma colpì in modo particolare Pietro Secchia, capo dell’organizzazione, e Edoardo D’Onofrio, responsabile dell’ufficio quadri. Forse per questo scaricarono proprio su di me la loro rabbia. “È tua la colpa di tutto quello che è successo”, mi dissero brutalmente. E lo ripeterono in modo ufficiale anche in una riunione a Botteghe Oscure”.

Il 16 luglio il ministro degli interni Mario Scelba comunicherà il bilancio ufficiale degli incidenti seguiti all’attentato contro Palmiro Togliatti: 7 morti e 120 feriti tra le forze di polizia; 7 morti e 86 feriti tra i cittadini. Tra le vittime dell’attentato, anche l’unità sindacale. Nonostante le divisioni nella Confederazione, evidenti al I Congresso di Firenze del giugno 1947, l’unità sindacale aveva retto ancora un anno, ma dopo le elezioni politiche del 18 aprile 1948 con la netta affermazione della Democrazia cristiana e la sconfitta del Fronte popolare e dopo l’attentato a Togliatti del 14 luglio, la corrente democristiana deciderà la scissione.

Il periodo delle scissioni sindacali si protrarrà per circa due anni, dall’estate del 1948 alla primavera del 1950. La prima componente a lasciare la Cgil sarà quella cattolica che nell’ottobre 1948 costituirà la Libera Cgil, guidata da Giulio Pastore; dopo alcuni mesi, nel giugno 1949, sarà la volta delle componenti socialdemocratica e repubblicana che daranno vita alla Fil (Federazione italiana dei lavoratori). Il percorso terminerà con la nascita dell’Unione italiana del lavoro (Uil, 5 marzo 1950) e della Confederazione italiana sindacati lavoratori (Cisl, 1° maggio 1950).