L’anno che sta arrivando tra un anno passerà, scriveva nel ‘78 Lucio Dalla, e al 1978 succede - inesorabile - il 1979 di Guido Rossa e Michele Sindona, Mino Pecorelli e Giorgio Ambrosoli, Boris Giuliano, Cesare Terranova, Lenin Mancuso. Un anno denso di avvenimenti come pochi altri. Si parte il 1° gennaio con il riconoscimento della Cina comunista da parte degli Stati Uniti e lo scambio di ambasciatori tra Washington e Pechino (il 7 gennaio cadrà in Cambogia il regime di Pol Pot). Il 24 gennaio 1979, otto mesi e mezzo dopo l’assassinio di Aldo Moro, le Brigate Rosse uccidono a Genova Guido Rossa, iscritto al Pci e delegato sindacale della Fiom, membro del Consiglio di fabbrica dell’Italsider dal 1970. Poco più di due mesi più tardi, il 20 marzo, il giornalista Mino Pecorelli, direttore del settimanale OP, è assassinato a colpi d’arma da fuoco. Il 21 luglio a Palermo Boris Giuliano, capo della mobile, viene ucciso mentre prende il caffè in un bar da Leoluca Bagarella, killer per i corleonesi di Totò Riina (stessa sorte avranno il 25 settembre il magistrato Cesare Terranova ed il maresciallo Lenin Mancuso).  Intanto sbarca nelle sale Apocalypse Now; i Pink Floyd pubblicano The Wall; viene ufficialmente debellato il vaiolo. “Je so’ pazzo” canta Pino Daniele; “Viva l’Italia” Francesco De Gregori. L’inflazione è al 20%; nei paesi della Comunità europea entra in funzione lo Sme; in Italia esplode lo scandalo del Banco Ambrosiano. Sindona, Calvi, Ambrosoli, Gelli, il giallo del secolo che si tinge di noir.

La sera dell’11 luglio 1979 l’avvocato Giorgio Ambrosoli, commissario liquidatore della Banca privata italiana e delle attività finanziarie del banchiere siciliano Michele Sindona, viene freddato a Milano, in via Morozzo della Rocca 1, da un killer proveniente dagli Stati Uniti. Il giorno dopo la sua morte, il 12 luglio, avrebbe dovuto sottoscrivere una dichiarazione formale per confermare la necessità di liquidare la banca e attribuire la responsabilità della situazione allo stesso Sindona, indagato anche dalle autorità statunitensi. "Il banchiere di Dio" inscenerà un sequestro arrivando a farsi sparare a una gamba per rendere la storia più veritiera. Nel 1980 però sarà arrestato e condannato negli Stati Uniti per frode, spergiuro e appropriazione indebita. Il 18 marzo 1986 sarà condannato all’ergastolo. Morirà due giorni dopo, nel carcere di Voghera, per avvelenamento da cianuro di potassio messo in un caffè.

Scriveva l’avvocato Ambrosoli alla moglie già nel 1975: “Anna carissima, è il 25 febbraio 1975 e sono pronto per il deposito dello stato passivo della Bpi, atto che ovviamente non soddisferà molti e che è costato una bella fatica. Non ho timori per me perché non vedo possibili altro che pressioni per farmi sostituire, ma è certo che faccende alla Verzotto e il fatto stesso di dover trattare con gente dì ogni colore e risma non tranquillizza affatto. È indubbio che, in ogni caso, pagherò a molto caro prezzo l’incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un’occasione unica di fare qualcosa per il paese. Ricordi i giorni dell’Umi, le speranze mai realizzate di far politica per il paese e non per i partiti: ebbene, a quarant’anni, di colpo, ho fatto politica e in nome dello Stato e non per un partito. Con l’incarico, ho avuto in mano un potere enorme e discrezionale al massimo ed ho sempre operato - ne ho la piena coscienza - solo nell’interesse del paese, creandomi ovviamente solo nemici perché tutti quelli che hanno per mio merito avuto quanto loro spettava non sono certo riconoscenti perché credono di aver avuto solo quello che a loro spettava: ed hanno ragione, anche se, non fossi stato io, avrebbero recuperato i loro averi parecchi mesi dopo. I nemici comunque non aiutano, e cercheranno in ogni modo di farmi scivolare su qualche fesseria, e purtroppo, quando devi firmare centinaia di lettere al giorno, puoi anche firmare fesserie. Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto (...) Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il paese, si chiami Italia o si chiami Europa. Riuscirai benissimo, ne sono certo, perché sei molto brava e perché i ragazzi sono uno meglio dell’altro. Sarà per te una vita dura, ma sei una ragazza talmente brava che te la caverai sempre e farai come sempre il tuo dovere costi quello che costi”.

Nonostante le minacce di morte ad Ambrosoli non sarà accordata alcuna protezione da parte dello Stato e nessuna autorità pubblica presenzierà ai suoi funerali, ad eccezione di Paolo Baffi. Giulio Andreotti, durante un’intervista a La storia siamo noi, il programma di Giovanni Minoli, così commentava l’assassinio: “Certo, era una persona che in termini romaneschi io direi se l’andava cercando”. Poi si scuserà, dicendo di essere stato frainteso. Giorgio Ambrosoli non avrà grandi riconoscimenti. Il primo omaggio alla sua figura sarà il libro di Corrado Stajano, intitolato Un eroe borghese (dal libro è stato tratto nel 1995 il film omonimo diretto da Michele Placido).

Nel luglio 1999 il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi gli conferirà la medaglia d’oro al valore civile. “Commissario liquidatore di un istituto di credito - si legge nella motivazioni dell’assegnazione - benché fosse oggetto di pressioni e minacce, assolveva all'incarico affidatogli con inflessibile rigore e costante impegno. Si espose, perciò, a sempre più gravi intimidazioni, tanto da essere barbaramente assassinato prima di poter concludere il suo mandato. Splendido esempio di altissimo senso del dovere e assoluta integrità morale, spinti sino all’estremo sacrificio” (nel 2000 il comune di Milano, durante il primo mandato del sindaco Gabriele Albertini, gli dedicherà una piccola piazza in zona Corso Vercelli. Il comune di Roma, durante il primo mandato del sindaco Walter Veltroni, gli dedicherà un Largo, in zona Nomentana).

Pochi giorni dopo il delitto, il professor Marco Vitale pubblicava su Il Giornale Nuovo un articolo intitolato Perché Ambrosoli: “L’assassinio di Ambrosoli - scriveva - è il culmine di un certo modo di fare finanza, di un certo modo di far politica, di un certo modo di fare economia. I magistrati inseguono esecutori e mandanti del delitto, ma dietro ci sono i responsabili, i responsabili politici. E questi sono tutti coloro che hanno permesso che la malavita crescesse e occupasse spazi sempre più larghi nella nostra vita economica e finanziaria, e questi sono gli uomini politici che definirono Sindona salvatore della lira, sono i governatori della Banca di Italia che permisero che i Sindona penetrassero tanto profondamente nel tessuto bancario italiano, pur avendo il potere e il dovere di fermarli per tempo; sono i partiti che presero tangenti formate da denari rubati ai depositanti sapendo esattamente che di questo si trattava: sono quelli il cui nome è scritto nella lista dei cinquecento che hanno nascosto i soldi oltre frontiera, tutti quelli che da venti anni al vertice della politica e della economia hanno perso persino il senso di cosa sia la professionalità, cioè il subordinare la propria fetta di potere piccola o grande che sia, agli scopi dell’ordinamento, delle istituzioni, della propria arte o professione, all’ interesse pubblico”.

“L’avvocato Ambrosoli ha vinto o perso la sua scommessa sulla onestà?” - si chiedeva Giorgio Bocca a vent’anni dalla morte - Personalmente l’ha vinta, storicamente l’ha persa. Negli anni passati dalla sua morte l’integrazione nel male, la ‘facilità del male’ sono aumentate non diminuite”. Sono passati quarantuno anni dalla morte di Giorgio Ambrosoli. Siamo veramente certi di poter dare oggi una risposta diversa alla stessa domanda?