Ci perdoneranno, medici, infermieri e operatori sanitari, se li chiamiamo ancora una volta eroi. Lo facciamo soltanto perché la riconoscenza ha le sue ragioni, che l’etica non può comprendere. E quello che per loro è stato semplice senso di responsabilità e professionalità, per noi, che li abbiamo visti rischiare tutto per salvare il Paese, mentre rispettavamo il lockdown stretti ai nostri cari, nelle nostre case, è stato quanto di più vicino all’eroismo avessimo mai visto.

È per questo che raccontiamo con un filo di incredulità quello che sta succedendo in Umbria, e non solo, dove questa mattina Cgil, Cisl e Uil hanno organizzato un attivo dei delegati della sanità in piazza a Perugia, davanti al Palazzo della Regione. Un attivo che ha il sapore della manifestazione di protesta, fatto in un luogo pubblico e simbolico per dire alle istituzioni regionali: voi non ci avete ascoltato e da mesi non volete incontrarci, ma noi siamo qui, pronti al confronto, per chiedere che le cose cambino, dopo la grande paura di marzo e aprile.

 


“No, non mi spettavo che ci volesse una protesta dopo quello che abbiamo vissuto in questi mesi. Non mi aspettavo che saremmo dovuti arrivare a questo per chiedere una svolta. Credevo che, per lo meno, ci avrebbero ascoltato”. A dircelo, con un filo di stanchezza nella voce, è Iolangela Cattin Cosso, con un’esperienza di oltre trent’anni nella sanità, infermiera dell’azienda ospedaliera Santa Maria di Terni, delegata e componente della segreteria aziendale della Fp Cgil. Dal racconto di questi mesi possiamo solo intuire tutte le difficoltà che si sono trovati a fronteggiare in corsia. La pronta riconversione di tanti professionisti. “Persone che si occupavano di determinate specialità sono state catapultate in un ambito diverso da quello che conoscevano meglio, hanno studiato nel poco tempo libero a disposizione, si sono confrontati con i colleghi più esperti in quelle materie, fronteggiando tutti gli aspetti nuovi e sconosciuti del covid. Io, ad esempio, lavoro in una terapia intensiva cardiologica postoperatoria e sono stata riconvertita a rianimazione generalista: ho dovuto imparare a trattare tutti gli elementi possibili della rianimazione. Un’esperienza che, nella sua drammaticità, a noi operatori sanitari ha insegnato tantissimo. Sviluppando anche un clima di comunione che ci ha reso molto forti”.

Hanno studiato e hanno retto. In un contesto, quello umbro, in cui si stima che manchino all’appello 1600 unità infermieristiche. In una regione in cui la stabilizzazione del personale è partita con notevole ritardo. “Mentre le altre regioni, quelle limitrofe, allertate da questa emergenza, l’hanno attuata in tempi rapidissimi – ci spiega Iolangela Cattin Cosso – da noi si è mosso tutto in ritardo, lentamente e solo dopo le continue sollecitazioni dei sindacati. Gli altri, al fine di assicurarsi il personale, non solo lo hanno fatto, ma hanno anche scorso quelle che erano le graduatorie a tempo indeterminato. Una cosa che ci ha penalizzato ulteriormente, perché in molte aziende umbre, anche da noi a Terni, persino in piena emergenza, abbiamo dovuto rinunciare a infermieri, medici, operatori sanitari, personale formato, con anni di fatica e di esperienza. Sostituiti da incarichi a tempo determinato. È stato come ricominciare da capo ogni volta, in una situazione di estrema criticità”.

E allora oggi in piazza che cosa avete chiesto? “Che ripartano i tavoli della contrattazione integrativa, bloccati da tempo, in una regione in cui è di poco fa la notizia che le nostre aziende ospedaliere restano commissariate. Che riparta il confronto su programmazione e riorganizzazione dell’attività in questa nuova fase. Che venga assunto nuovo personale, dando seguito ad accordi stipulati prima della pandemia, ma non ancora attuati, nonostante siano già vecchi, nei numeri, rispetto ai nuovi protocolli di sicurezza. Ora che il decreto rilancio stabilisce di implementare le terapie intensive, i posti letto di malattie infettive, la presenza sul territorio. Il progetto del nostro ospedale risale a mezzo secolo fa: non è facile rispettare le nuove regole sul distanziamento, ci mancano gli spazi. A volte ci troviamo a smantellare un servizio per sostituirlo. Un esempio? Il centro prelievi che nel nostro ospedale era complementare a quello dell’Asl. Così si allungano le liste di attesa e finisce che molti cittadini decidano di rivolgersi ai privati”. Dando corpo al sospetto che si utilizzi la crisi aperta dal coronavirus per procedere a una strisciante privatizzazione della sanità, “proprio alla fine di una fase che ci ha insegnato, se ce ne fosse ancora bisogno, quanto sia fondamentale il servizio sanitario pubblico”.

“Una manifestazione corale, che ha messo insieme diverse realtà”, come ci ha ricordato Tatiana Cazzaniga, della segreteria regionale della Fp Cgil. Perché oggi in piazza, oltre alla Funzione Pubblica, c’erano anche la Filcams e il Nidil, la categorie che rappresentano i servizi e i precari. A manifestare le loro ragioni anche i lavoratori di Umbria Salute, la partecipata della Regione che si occupa delle prenotazioni medico-sanitarie: 180 precari con contratti in scadenza rischiano di perdere il lavoro.