Nella luce accecante dell’inizio dell’estate, l'Italia ha riconosciuto un nome: Mondragone. La Repubblica delle mozzarelle, delle spiagge immense e delle dune. Del focolaio da Covid-19 concentrato nei palazzi ex Cirio all'interno della comunità rom di nazionalità bulgara. Qui, dove hanno trovato riparo e fortuna marocchini, algerini, tunisini, prima, poi albanesi, ghanesi, nigeriani, è banale parlare di razzismo, e sinceramente offensivo. Terra di migranti e lavoratori, loro per primi, hanno sofferto e soffrono di loro stessi. Valentino, il nome reso italiano di un iraniano che vive al paese da tanti anni. Prima di lui il fratello che ha sposato una mondragonese, in un italiano ancora incerto racconta: “Mi trovo bene qui, si lavora, tutti mi vogliono bene. Mai avuto un problema, mai. Io ho il negozio proprio sotto i palazzi, ora è chiuso, ma i bulgari sono sempre stati gentili”.

Mi giro intorno, in un cortile che sa di Mediterraneo. Osservo Francesco che dopo una vita di lavoro si è reinventato e ha investito in un locale con la moglie: “Facciamo solo piatti della tradizione. Se andiamo avanti così, ci dimentichiamo cosa sappiamo fare di buono. Valentino è un amico, viene sempre qui a mangiare, è nostro ospite fisso, una brava persona. Nessuno può darci del razzista, non lo siamo, ma le regole devono valere per tutti, soprattutto per i bianchi”. Qui, dove al sole fa freddo, i diritti sono parole. Qui, la camorra che si fronteggiava con l’impero dei casalesi tenendoli a bada, è stata sconfitta, rimane una criminalità di piccolo cabotaggio. Parlare di clan non è il caso, forse nel vicino comune di Sessa Aurunca, dove i boss al 41-bis non si mai pentiti, mentre il capoclan Augusto La Torre di Mondragone è diventato un collaboratore di giustizia da decenni facendo condannare decine e decine di camorristi. Scomparsa la camorra, i diritti non sono mai arrivati.

Il vero straniero è il "problema". Il problema qui al Sud, nel meridione, è sempre di qualcun altro. Del comune, poi della provincia anche se non esistono più, della regione, del governo centrale, di qualche ministero anche del vicino di casa, ma non è mai proprio. Il problema non ha permesso di soggiorno e diritto di essitere. Il problema non è nostro, è sempre di un altro da noi. Troveremo sempre qualcuno che dirà qual è il problema, ma mai che si assumerà la responsabilità, neanche la colpa.

Nell’inizio della prima estate da Covid-19, molti cercano su una mappa Mondragone. Facile, siamo appena dopo il confine tra Lazio e Campania, dove il fiume Garigliano segna un confine reale in tempo di lockdown. Uno dei soli quattro Comuni su 104 che si affacciano sul mare. Provincia di quasi un milione di abitanti su oltre 2600 chilometri quadrati, soprattutto campagna. Qui il cemento fino a dentro l'acqua del mare non è metafora o figura retorica, ma realtà. Qui l'abusivismo edilizio e il brutto sono fatti, non opinioni. Mondragone, Castel Volturno, Villaggio Coppola, Baia Azzurra, Baia Felice, Baia Domizia, Le Perle, tutti nomi che si affacciano con i cartelloni ormai rovinati sulla Domiziana, narrata, raccontata ripresa, poi dimenticata.

Non è una novità, qui la strage di Pescopagano nel 1990, poi la strage di Castel Volturno, stragi di camorra contro i migranti, tentate stragi e omicidi in quantità. Poi il "problema" sono gli altri da noi. Mondragone che ha visto i carabinieri arrestare bulgari e italiani per traffico di bambini appena nati, Mondragone dove il coraggioso giornalista Toni Mira di Avvenire ha fatto scattare l'indagine sulla prostituzione dei ragazzini bulgari, acquirenti italiani ovviamente. Giro di prostituzione sul lungomare, davanti la bellezza della natura: orchi si muovono indisturbati sotto la luce accecante del Sud. Mondragone, dove il simbolo è un meraviglioso castello sulla montagna e poi una cava che sembrava volersela mangiare tutta. Cave, dovunque come a Falciano, che mangiano la terra e lasciano buchi immondi. Qui dove c’era l’ultima base segreta della Nato, e c’è la città sommersa di Sinuessa, qui si cerca di coniare un nuovo vocabolario che spieghi cosa sia il concetto di disattenzione.

Le campagne piene di donne, uomini e bambini di ogni nazionalità e fede pagati quattro soldi per ammazzarsi sotto la calura, perché gli italiani non lo fanno più quel lavoro a nero e sottopagato, ecco la parte che manca sempre nei discorsi in fila davanti la posta. Qui il nero è ben accetto: affitto in nero, paga in nero, lavoro in nero, documenti in nero. Il nero è il colore predominante su tutto. E si osserva il via vai di furgoni con targa straniera, ma qualcuno interverrà. Forse, chissà. Le forze dell'ordine sono sempre troppo poche. Il territorio è vasto e disordinato. Si fa quel che si può e anche di più, ma le forze non ci sono. Si fanno misure tampone, e non sono quelli per il Covid-19.

Si cerca di comprendere e spiegare, ma se nessuno controlla, e allora perché mai ci dovrebbe essere il rispetto delle regole? Si va di fretta, la frutta e la verdura matura e marcisce se non ci si muove veloci. Terra di eccellenza, di enogastronomia e di un sognato turismo di qualità che poi affitta a nero a dieci in una casa, per prezzi esosi che solo in contanti possono essere pagati da chi certo non è registrato con partita Iva allo Stato, perché lo spaccio ancora non è stato legalizzato. Si va avanti così, un pezzo alla volta, e come l'intonaco ormai vecchio tutto scolora e cade a pezzi, ma un pezzo alla volta e qualcuno di poi si stupisce. Siamo oltre i diritti, perché per parlarne ci vorrebbe qualcuno che esercitasse la richiesta. Ma gli ultimi hanno solo voglia di sopravvivere e non chiedere diritti. Poi se sopravvivi di fronte al mare, ricordi a te stesso che una speranza c’è ancora.