Piazza Loggia oggi è stata come ogni anno la piazza della commozione, del dolore e del ricordo. È una piazza sempre molto rispettosa. Questa volta necessariamente semivuota, per non venir meno agli obblighi imposti dalle norme anti-contagio. Ma non abbiamo rinunciato a esserci fisicamente, a omaggiare quella stele che da quarantasei anni è un monito per tutti - per chi c'era e per chi non era ancora nato.  Questo per noi è importante.  Al sindacato, alla Cgil, va il merito di aver saputo organizzare questa commemorazione anomala ma assolutamente reale. La nostra presenza era importante. Proprio come lo fu quel 28 maggio e nei giorni successivi.

All'epoca avevo quindici anni, ero un giovanissimo operaio, sceso dalla Val Trompia con le altre tute blu delle Fonderie Glisenti, la fabbrica in cui ho lavorato fino agli anni Ottanta.  Eravamo circa ottocento dipendenti, quasi tutti a manifestare. Dentro erano rimasti quelli che non si potevano allontanare. Noi, invece, eravamo i ragazzi che aprivano i cortei, che sbattevano le latte e urlavano gli slogan.  Eravamo quelli della Flm, la federazione unitaria dei metalmeccanici.

Quel mattino pioveva forte, perciò, quando arrivammo in piazza, con un gruppetto di amici ci spostammo in un bar.  Fu la nostra fortuna. Stavamo bevendo un cappuccino quando sentimmo l'esplosione. Eravamo a venti metri di distanza. Uscimmo subito. La gente era sconvolta, ci travolgeva. Poi in quel grande caos vedemmo cosa era accaduto e le persone a terra. Ancora oggi è un ricordo molto vivo che non ci ha mai abbandonato.

Eravamo ragazzi, il primo istinto fu organizzarci per andare davanti alla sede del Msi perché sapevamo già di che colore fosse la mano che aveva innescato la bomba: erano i fascisti. Noi, d'altro canto, eravamo là in piazza proprio per fermarli. Alla fine, però, io non andai: fui preso da parte da un vecchio sindacalista che non me lo permise e mi riportò al pullman. Fu un viaggio mestissimo quello del rientro in valle. Quando arrivammo in paese erano tutti lì che ci aspettavano preoccupati, pure mia madre. Avevano saputo subito della bomba. Volevano essere sicuri che stessimo bene. Ma non tornammo a casa, andammo diretti in fabbrica per fermare tutto e scoprire, in realtà, che tutto si stava già fermando. Anche chi era rimasto al lavoro era uscito in segno di protesta. 

Quella giornata è rimasta per i bresciani un ricordo indelebile. Da diciassette anni sono in Fiom, faccio parte della segreteria provinciale e devo dire che nelle nostre fabbriche anche i giovani continuano a parlarne, a onorare quella stelle che oggi, proprio sotto l'orologio - alle 10.12  - ha battuto, come ogni anno da quel 28 maggio 1974, i suoi otto rintocchi per le nostre otto vittime. Chiunque passi per questa piazza si ferma lì. Per questo motivo sono davvero contento di non aver abbandonato il presidio di quella piazza oggi, nonostante le mascherine e le distanze.

Oggi, dopo un lunghissimo percorso, abbiamo almeno ottenuto una sentenza che rende parzialmente giustizia. Ma questo è il giorno giusto per ricordare che il pericolo non è archiviato: che i movimenti di estrema destra e alcuni esponenti di una certa classe politica continuano a inneggiare al fascismo che fu di fatto l'innesco di quella bomba e di altri disastri e tragedie di portata ancora più ampia che hanno funestato la nostra storia.