Se l’incontro on line tra Miur e organizzazioni sindacali del 6 maggio aveva l’obiettivo di chiarire la situazione riguardante i criteri di valutazione a un mese dalla fine dell’anno scolastico, a lume di naso tale obiettivo non sembra raggiunto, anzi in alcuni passaggi può scaturire ulteriori perplessità e incertezze, laddove non si riscontrino palesi contraddizioni a indicazioni precedentemente comunicate.

Tralasciando le note riguardanti gli esami di primo e secondo ciclo (secondaria di primo grado e maturità), vale la pena soffermarsi sulle classi intermedie, dato che anche per queste viene richiesto agli insegnanti un sistema di valutazione. In primo luogo, l’invito a misurare il valore e l’importanza di quanto fatto nel corso di questo sciagurato secondo quadrimestre, caratterizzato dal ricorso inevitabile della didattica a distanza, è già di per sé delicato oggetto di discussione, in particolare per il corpo docente.

Per definire gli effettivi apprendimenti di ogni singolo studente, al netto di una frettolosa riprogrammazione del percorso didattico annuale, bisogna infatti mettere sul piatto della bilancia non soltanto la presenza in video, l’impegno profuso o la restituzione dei compiti assegnati, ma almeno un minimo di considerazione di carattere emotivo, per non dire strettamente psicologico, degli stessi alunni da valutare.

Perché se questi due mesi hanno cambiato le nostre vite, e messo in discussione molte delle certezze di noi adulti, forse in questi due mesi noi adulti ci siamo chiesti troppo poco quanto siano cambiate le vite e le certezze dei minori che frequentano i diversi ordini e gradi delle scuole italiane. Nel corso delle settimane abbiamo infatti visto, nella maggior parte dei casi, i loro volti inizialmente curiosi e in fibrillazione per il nuovo scenario improvvisamente venutosi a creare, trasformarsi pian piano in immagini fisse, sempre più sbiadite dallo scorrere immutevole del tempo, sino al segnale estremo di eliminare l’opzione audio-video durante la lezione, lasciando come unica traccia un nick-name anonimo e silente.

A tutto questo va poi aggiunto un altro elemento, vale a dire la progressiva disaffezione degli alunni per la didattica a distanza, verosimilmente acuita nell’ultimo periodo non tanto dall’avvicinarsi della chiusura dell’anno scolastico, quanto da un difetto nella strategia di comunicazione ministeriale piuttosto evidente, se non grossolano: l’annuncio di una promozione pressoché certa con rientro anticipato al primo di settembre, avvenuto intorno alla metà del mese di aprile, non ha certo favorito i tentativi compiuti dai professori nelle relative materie di competenza di tenere alto il coinvolgimento e la partecipazione, e quindi il numero di studenti connessi al di là delle difficoltà di natura tecnologica realmente esistenti.

L’arruffata marcia indietro di queste ore, che avverte come le bocciature non siano escluse a priori, pur se limitate a casi “disperati”, rischia di minare non poco la credibilità dell’intero sistema scolastico vigente (nella secondaria di primo grado si può non bocciare anche con un “5” o  un “4” in pagella), oltre che aprire un’autostrada facilmente percorribile verso eventuali ricorsi, da parte di famiglie anch’esse alle prese con problemi di non poco conto, tra cui quello di ricominciare a lavorare nei luoghi deputati o continuare a organizzare la pressione dello smart-working, per chi un lavoro ancora ce l’ha, mentre i propri figli vagano da una stanza all’altra, in attesa delle dovute attenzioni, o che si liberi il pc.

Come valutare tutto questo? Una risposta efficace appare ancora lontana dai nostri schermi.