Turbanti dai colori accesi, barbe e baffi lunghi, occhi strizzati contro il sole. E bandiere dei sindacati. Intorno, il razionalismo di piazza della Libertà di Latina. Fa ancora molto caldo in questo ottobre anomalo. La luce rimbalza sul marmo bianco e sulle impronte lasciate qui dal Ventennio fascista, sui palazzi squadrati e sulla fontana formata da grosse spighe di pietra e senz’acqua. Sulla facciata della Prefettura, in alto, un’iscrizione in latino di Plinio il Vecchio: “Le pianure pontine devono essere prosciugate per restituire all’Italia l’agro coltivabile”. Sotto, le persone che quell’Agro lo coltivano oggi. E la loro pelle bruciata, che racconta senza bisogno di troppe parole quanto sia abituata al sole e al sudore. Sono i braccianti indiani che sgobbano nei campi della zona e che si sono dati appuntamento oggi (21 ottobre) qui, davanti alla Prefettura, per chiedere dignità e diritti. La manifestazione è stata indetta da Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil locali, dopo il grave episodio di un imprenditore agricolo, arrestato in flagranza di reato mentre con un fucile a pompa minacciava alcuni di loro.

Il 14 ottobre scorso questo “padrone” di Terracina è stato infatti arrestato per i reati di “sfruttamento del lavoro, minaccia aggravata con l’utilizzo di arma da fuoco, lesioni personali, detenzione abusiva di munizionamento, omessa denuncia di materie esplodenti”. L’uomo, come molti altri, aveva sottoposto i “suoi” Sikh a condizioni lavorative degradanti, con retribuzioni più basse del minimo di legge. E anche lui, ovviamente, s’avvaleva di caporali e alloggi fatiscenti. I braccianti, però, stavolta sono stati ripetutamente minacciati con un fucile. La sera del 10 ottobre, poi, l’imprenditore, per far fronte alle proteste dei lavoranti, ha fatto fuoco. Fortunatamente non colpendo nessuno, ma comunque passando poi in rassegna i suoi dipendenti con l’arma puntata alla gola.

“Un caso estremo, agghiacciante, e unico finora. E speriamo che lo rimanga – dice Stefano Morea, segretario della Flai Cgil di Frosinone e Latina, mentre scarica bandiere rosse da un furgone –. Ma che s’inserisce comunque in un clima di intimidazione creato da un sistema che coinvolge imprenditori compiacenti, caporali e organizzazioni di tipo malavitoso”. Quello di Terracina, infatti, è un caso limite, ma non isolato. Qualche giorno prima, un migrante indiano s’era sdraiato sui binari ferroviari della stazione di Priverno, a pochi chilometri da qui. Protestava contro il suo datore di lavoro, che l’aveva abbandonato alla stazione dopo le rimostranze per non essere stato pagato da mesi. “Questo ragazzo – continua Morea – ha vissuto nella stalla di quello che chiamava ‘padrone Giovanni’, non ne conosceva il cognome, non aveva visto altro che le bestie e i binari. Era spaventato, abbiamo provato ad aiutarlo, ma alla fine è scappato. Ora è scomparso, e non si sa dove sia”.

Quella di oggi è la prima iniziativa unitaria dei sindacati dei lavoratori agricoli sul territorio pontino. Ed è la prima volta che i braccianti Sikh si ritrovano insieme dal 18 aprile 2016, quando in tremila decisero lo sciopero. Quel giorno i lavoratori invisibili dell'Agro sospesero il lavoro e invasero il centro della città sotto le insegne della Flai Cgil, insieme all’associazione In migrazione. “Il fatto che oggi finalmente riusciamo a fare una manifestazione unitaria è indubbiamente un passo avanti in questo territorio – spiega Alfredo Cocorocchio, segretario generale della Flai Frosinone Latina –. Finora c’è stata una mancanza di attenzione generalizzata. Invece non è il caso di sottovalutare un fenomeno come quello dello sfruttamento dei lavoratori nei campi, e ci fa piacere che questa consapevolezza ora sia diffusa. Non è merito esclusivo della Flai, certo, ma con il nostro lavoro quotidiano, in questi anni, abbiamo sicuramente dimostrato che questi temi esistevano ed esistono, e che non vanno nel modo più assoluto minimizzati”.

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Al presidio, i braccianti Sikh arrivano alla spicciolata. Qualcuno a piedi, molti in bici, altri ancora scendono dai pullman partiti dalle campagne circostanti. Latina, intorno, pare immersa in un silenzio pigro. Hardeep Kaur, funzionaria Flai di origine indiana, passa di mano dei volantini, spiega quali sono i diritti di questa gente, quali sono le leggi che possono tutelarli. Poi la piazza si riempie. I braccianti in prima fila si siedono a terra a gambe incrociate. Rispondono in coro agli appelli del leader della loro comunità. Poi prende il microfono Hardeep, e inizia anche lei a parlare in Punjabi. I braccianti l’ascoltano in silenzio, qualcuno annuisce sotto le bandiere, poi applaudono. “Siamo tutti qui, a migliaia di chilometri da casa per mantenere le nostre famiglie in India, che molto spesso non sanno quello dobbiamo sopportare – dice con trasporto –. Tre anni fa eravamo in piazza da soli. Una marea di migliaia di persone ha alzato la testa per la prima volta. Non abbiamo avuto paura, e non ne avremo ora. Dobbiamo creare attorno a noi la consapevolezza che in questo territorio esisteva ed esiste ancora una realtà di sfruttamento e caporalato non più sopportabile. Chiediamo alle istituzioni che la frutta e la verdura che mettono in tavola non siano più macchiati del nostro sangue – conclude –. Non abbasseremo la testa fin quando non otterremo risultati”.

In provincia di Latina, i Sikh che lavorano nei campi ufficialmente sono 30 mila, ma una stima che si avvicina alla realtà parla quasi del doppio. Nelle stagioni della raccolta, anche se ormai nelle serre si lavora tutto l’anno, la manodopera serve a stretto giro, e questo rafforza la figura dei caporali. Si fatica anche 12 ore al giorno in cambio di una manciata d’euro. E pure ottenere i permessi di soggiorno per lavoro stagionale o la riconversione di altri permessi ha un costo. Anche in questo caso ci sono sciami di faccendieri che oliano il meccanismo. Nelle buste paga dei braccianti, in ogni caso, quasi sempre le ore conteggiate sono più o meno la metà di quelle regolarmente svolte. O così, o niente. O così, o non si lavora. Stavolta però c’è voluto addirittura un fucile a pompa per far star buoni i braccianti. La reazione è stata inevitabile.

Quasi nessuno di loro parla un italiano fluente. Uno, da sotto una paglietta della Flai e occhiali da sole a goccia, racconta che “non tutti i padroni sono cattivi, ma in molti ci sfruttano, e poi non è possibile che accadano fatti come quelli di Terracina”. Un altro dice di non aver vissuto situazioni così disperate, ma che il lavoro è duro e la paga è troppo bassa. In realtà per tutti i problemi sono sempre gli stessi: “Pochi soldi, orario è troppo lungo, lavoro troppo duro”. Tutti quelli che sono qui, però, e non sono pochi, credono che il sindacato li possa aiutare. Anzi molto spesso “ci ha già aiutato”, dicono, sono i soli che fanno qualcosa per noi, sono amici”.

Per Flai, Fai e Uila i fatti di Terracina, in ogni caso, sono “l’ennesima dimostrazione che gli appelli a intervenire in modo più costante contro lo sfruttamento dei braccianti non sono allarmismo”. Questa piazza è poi la testimonianza che “il lavoro di denuncia fatto in questi anni dal sindacato ha portato comunque sul territorio un’attenzione che ha prodotto una serie di strumenti”, come la legge regionale contro il caporalato dello scorso agosto. “Uno strumento che introduce aspetti positivi, come gli indici di congruità, misure sul trasporto e per l’incontro tra domanda e offerta – conclude Stefano Moera –, ma va incentivata perché non fallisca nei suoi obiettivi”.

FOTO | A Terracina minacciati con un fucile
INCHIESTA Schiavi a ore, la vita agra dei Sikh