Non c’è più religione. O meglio: vacilla la sola religione “unica” che gli ultras liberisti hanno cercato di imporre al mondo e in particolare al mondo accademico. Il premio Nobel per l’economia è andato quest’anno a un “liberal”, ferocemente anti Bush. Un critico d’annata delle teorie della scuola di Chicago e della deregulation, il professor Paul Krugman, editorialista del New York Times, docente dell'Università di Princeton, noto al grande pubblico mondiale per i suoi dubbi e poi per le sue critiche puntuali all’ideologia della New economy, ma soprattutto per le sue invettive contro la finanza che rischia di diventare “spazzatura” . Krugman non ha mai nascosto sotto il tappeto i “fallimenti del mercato” e per i suoi studi sul welfare e sul ruolo dello Stato in economia è stato spesso etichettato come keynesiano, che fino a ieri – nell’ambiente accademico – equivaleva quasi a uno stigma. Ora, alla vigilia delle elezioni americane e pochi giorni dopo il terremoto finanziario che quasi a volerlo fare apposta ha dato ragione a molte delle sue critiche, viene premiato per 'le sue analisi dei modelli di commercio'.

Krugman ha un’importante carriera accademica alle spalle. Nato nel '53 a Long Island, si è specializzato in economia a Yale, ha ottenuto un dottorato al Mit (Massachusetts Institute of Technology), poi all'Università di Berkeley, alla London School of Economics e all'Università di Stanford, prima di giungere all'Università di Princeton nel 2000. Non si è tirato indietro neppure dagli incarichi politici e per un anno (tra il 1982 e il 1983) ha lavorato nel Consiglio dei consulenti economici della Casa Bianca sotto l'amministrazione Reagan.

La sua dote migliore, dal punto di vista della ricerca scientifica, sta probabilmente nella sua grande capacità di comunicare testi e concetti complessi con parole semplici. Si può dire che Krugman possiede – oltre alle innegabili capacità di analisi economica - il dono raro della divulgazione scientifica. Le sue opere, come riconoscono tutti, sono molto “fruibili” ed è lo stesso economista che parla dei suoi libri come 'saggi per non-economisti chiari, efficaci e interessanti'. Nonostante la sua brevissima collaborazione con l’amministrazione di Reagan, Krugman è divenuto presto uno degli avversari più battaglieri del presidente George W. Bush, di cui non ha mai condiviso né la politica estera, né tanto meno la politica economica. Famosi i suoi attacchi tradotti in libri come 'La deriva americana'), un saggio molto utile per capire gli effetti dei disavanzi finanziari provocati dalla politica di taglio delle tasse, dal mantenimento della spesa pubblica e dalle spese per la guerra in Iraq. Secondo Krugman, una delle radici della crisi attuale deve essere cercata in quelle scelte: deficit insostenibili nel lungo periodo e che avrebbero provocato una grave crisi economica. Il professore di Princeton è sempre stato molto critico nei confronti del cosiddetto “pensiero offertista” e degli ultraconservatori che tanto è andato invece di moda nell’ambito della destra americana. Krugman ha lavorato sempre su due piani: quello dell’accademia e quello della divulgazione e della battaglia politica, non risparmiando critiche neppure a Bill Clinton.

Nel suo ultimo libro, 'la coscienza di un liberal', traccia una sintetica ma molto efficace lettura della politica americana nell'ultimo secolo anticipando in qualche modo la profonda crisi finanziaria che ha colpito gli Stati Uniti. Krugman accusa gli Stati Uniti di essere l'unico grande paese sviluppato a non avere un sistema di assistenza sanitaria gratuita e in particolare la destra conservatrice di aver tentato di distruggere quel poco che esiste. Ma le critiche più feroci le ha rivolte contro la politica fiscale di George W. Bush, colpevole di aver ridotto le tasse ai ricchi e di aver riportato a livello degli anni Venti le distanze di reddito tra ricchi e middle class.

Volete sapere che cosa pensa il nuovo Nobel dell’economia del futuro prossimo degli Usa? Semplice: se il partito democratico riuscirà a ispirarsi ai veri valori liberal, potrà realizzare la più importante riforma negli States dai tempi di Franklin Delano Roosvelt, e cioè un sistema di assicurazione sanitaria pubblica, che tra l'altro comporterebbe risparmi consistenti per gli americani che oggi pagano il 16% del pil per le spese sanitarie. La decisione di dare il Nobel a Krugman riequilibra (anche se molto parzialmente) la bilancia. I Nobel, infatti, fatta qualche eccezione (Stiglitz, Sen e pochi altri) sono andati quasi sempre “dall’altra parte”.