Ritorniamo in Ucraina per consegnare al sindacato cinque generatori di energia elettrica che saranno installati nei centri di accoglienza che ospitano le famiglie sfollate, provenienti dalle città bombardate e distrutte dalla guerra. Questo aiuto potrà alleviare le sofferenze fisiche di circa tremila persone ma non il dolore per la perdita di vite umane, della casa, del lavoro. La guerra si porta via non solo il territorio e tutto ciò che incontra, ma spazza via la vita, toglie tutto ciò per cui si era lavorato, distrugge la sicurezza, le relazioni, i sogni, le abitudini, il futuro. La guerra crea un prima e un dopo. È una ferita profonda nel corpo della società e delle persone. Nessuno si salva da questa tragedia.

La solidarietà ha bisogno della politica

La solidarietà, la vicinanza, la condivisione sono sentimenti e azioni fondamentali per ricostruire umanità, ma senza l’azione della politica, delle istituzioni, della comunità internazionale non hanno la forza di fermare la follia della guerra. Le missioni di pace e l’impegno di tutti coloro che sono scesi in piazza il 5 novembre scorso denunciano questa realtà impegnandosi nell’assistenza alle vittime della guerra e chiedendo il cessate il fuoco, il negoziato.

Assistere e proteggere le vittime significa anche eliminare la causa delle sofferenze, delle morti e delle distruzioni. Non è accettabile che i calcoli e le mosse della geopolitica per la costruzione del nuovo ordine mondiale, o per la ricostruzione delle infrastrutture, debbano essere pagati dalla popolazione civile, in Ucraina, come in Siria, come nello Yemen, come in Congo, come in Palestina, o nel Sahara Occidentale o in Iraq.

La strada per fermare la guerra

Va detto con onestà: tutti gli interlocutori che abbiamo incontrato durante la nostra breve missione a Odessa hanno espresso la piena convinzione che la guerra finirà con la vittoria sul nemico russo e solo allora si potrà parlare di pace. La popolazione ucraina si è unita, tutti si aiutano e tutti sostengono la resistenza, con ogni mezzo, contro l’invasione del proprio territorio. Nessun dialogo con l’invasore. Nessun cedimento apparente. Ma, discutendo, condividono con noi che la guerra potrebbe essere fermata subito se America e Cina lo volessero, perché la posta in palio è il nuovo ordine mondiale. Quindi la strada per fermare la guerra e mettere in campo la comunità internazionale sembra esistere anche per loro, perché su questo punto ci troviamo d’accordo. Si tratta di scelte politiche e non di ineluttabilità della soluzione militare.

Il prezzo altissimo pagato dal mondo del lavoro

Il costo, in vite umane, in perdite economiche e distruzioni, che sta pagando la popolazione ucraina è altissimo. Nei primi otto mesi di guerra si calcola che oltre 200 lavoratori hanno perso la vita e 600 sono rimasti feriti dai bombardamenti mentre svolgevano loro mansioni. Il 20 per cento degli iscritti al sindacato sono stati inviati al fronte. I lavoratori marittimi imbarcati sulle navi (circa centomila lavoratori) da oltre un anno non possono rientrare nel paese, per non perdere il lavoro visto il divieto di espatriare per tutti gli uomini dai 18 ai 60 anni o per dover andare al fronte.

Le scuole possono funzionare solamente se dotate di rifugio, e solo il 30 per cento lo è. Mentre le scuole d’infanzia sono chiuse dallo scoppio della guerra. Nella capitale si fa scuola nelle fermate della metro. Ma per la maggioranza degli studenti l’unica possibilità sono le lezioni on line, quando c’è la corrente ed il collegamento. Oltre due milioni di posti di lavoro sono stati distrutti. Lo Stato dovrebbe assistere chi ha perso il reddito ma la priorità è il fronte militare e non sempre a fine mese arriva l’assegno.

Queste sono solamente alcune informazioni raccolte, ma sufficienti per trasmettere il contesto e comprendere come la guerra stia distruggendo la società, il lavoro, le famiglie, le speranze dei giovani.

Con l’Ucraina, con la forza del diritto

Nessun dubbio sul da che parte stare: sempre con le vittime, oggi con la popolazione ucraina. Ma con la forza e la ragione del diritto e non con la guerra. Questa guerra, come tutte le altre guerre moderne, non finisce e non si vince lasciando sul campo distruzione e divisioni profonde, società non più governabili, impregnate di odi e di vendette, terreno fertile per ogni tipo di radicalismo o di autocrazie eterodirette.

Fermare Putin e la guerra

La comunità internazionale, a partire dall’Europa, è responsabile del protrarsi di questa guerra. Ovviamente è una responsabilità diversa da quella di Putin, che comunque vada a finire è già condannato dalla storia come uno dei tanti criminali di guerra. La risposta militare intrapresa dagli Stati membri, su esplicita indicazione della Nato, è parte del problema e non della soluzione.

Occorre dialogare e spingere Cina e Usa al tavolo del negoziato, far sentire la voce dell’Europa all’interno dell’Alleanza Atlantica, collaborare con i paesi del cosiddetto “global south”: Brasile, Messico, Colombia, Argentina, Cile, India, Sud Africa. Per mandare un segnale forte, deciso, ineludibile all’aggressore esigendo il ripristino dei confini territoriali e nello stesso tempo impegnandosi per costruire un nuovo sistema fondato sulla sicurezza comune, sulla cooperazione, sul multilateralismo e non più sulla deterrenza nucleare. 

Una strada difficile e complicata, ma è la sola strada che ci permetterà di eliminare la guerra dalla storia e non di eliminare l’umanità e il pianeta dalla storia.

Sergio Bassoli, Area internazionale Cgil