Mentre il 16 febbraio del 1959 il trentatreenne Fidel Castro assume l’incarico di primo ministro e capo delle forze armate dell’isola di Cuba, nello stesso giorno, in Italia, la caduta del governo "monocolore" democristiano - in carica dal luglio dell’anno precedente - è il primo di una serie di eventi che segneranno uno snodo importante nella storia del nostro Paese.

Dopo le dimissioni del secondo governo di Amintore Fanfani, e di un altro, brevissimo, guidato per la seconda volta dal democristiano Antonio Segni, il 26 marzo 1960 il presidente della Repubblica Giovanni Gronchi incarica un altro esponente della Dc, Fernando Tambroni, di formare un nuovo governo.

Il governo Tambroni

Il governo Tambroni è stato il quindicesimo esecutivo della Repubblica Italiana, il terzo della terza legislatura, il primo a essere sostenuto da una maggioranza di centro-destra durante la Prima Repubblica. Rimarrà in carica dal 25 marzo 1960 al mese di luglio dello stesso anno.

Nel marzo del 1960, dopo le consultazioni di rito, Fernando Tambroni presenta la lista dei ministri, nella quale - rileva da subito la stampa - sono rappresentate tutte le correnti interne della Dc, condizione imprescindibile per scongiurare l’insidia dei franchi tiratori. Nello stesso giorno Tambroni e i ministri giurano nelle mani del capo dello Stato. L’esecutivo è a maggioranza non precostituita e nelle intenzioni del suo presidente dovrebbe ottenere i voti in Parlamento attraverso un’opera di convincimento dei singoli partiti sul programma.

L’ex ministro dell’Interno avrebbe dovuto guidare un governo di transizione verso una maggioranza di centrosinistra, tuttavia nel discorso con il quale si presenta alle Camere per chiedere la fiducia il presidente del Consiglio incaricato presenta un indirizzo politico ispirato al binomio "legge e ordine", ottenendo per la prima volta la fiducia grazie ai 24 voti del Movimento Sociale Italiano, determinando uno spostamento a destra degli equilibri politici e favorendo il tentativo del partito neofascista di uscire dall’isolamento in cui fin dalla sua nascita era stato relegato.

Per protesta contro l’appoggio determinante del Msi al governo si dimettono i ministri della Dc Fiorentino Sullo e Giorgio Bo, i sottosegretari Antonio Pecoraro, Lorenzo Spallino e Giulio Pastore. Annunciano la volontà di rimettere il loro incarico i ministri Benigno Zaccagnini, Emilio Colombo, Mariano Rumor, Mario Martinelli, Guido Gonella, Armando Angelini e Antonio Segni ed il Direttivo dei deputati della Dc si pronuncia per le immediate dimissioni del governo, richiesta cui si associano tutti i partiti. Nel pomeriggio del 12 aprile Tambroni si reca da Gronchi per presentare le dimissioni.

Fallito il tentativo di Fanfani di costituire un nuovo governo e non avendo altra alternativa che lo scioglimento delle Camere in prossimità della sessione di bilancio, il presidente della Repubblica Gronchi rinvia Tambroni in Parlamento per chiedere la fiducia del Senato sulla base di un mandato a tempo limitato. Il 29 aprile la direzione nazionale della Dc assicura pieno sostegno a Fernando Tambroni al di là di ogni scelta politica.

La reazione della Cgil

“Di fronte al governo appoggiato dai fascisti” la Cgil lancia un appello agli altri sindacati.

“La Cgil - vi si legge - considera necessaria e urgente una più intensa e sistematica collaborazione di tutte le organizzazioni sindacali (….) Gli ultimi sviluppi della situazione chiamano il movimento sindacale a nuove responsabilità e pensiamo sia preciso dovere dei sindacati fare apertamente fronte a queste responsabilità, nell’interesse dei lavoratori e della democrazia italiana”.

Seguiranno Genova, Licata, Roma, Reggio Emilia, Catania e Palermo. Seguiranno morti e feriti. Ma alla fine i lavoratori e la democrazia avranno la meglio.

Scriveva Luciano Romagnoli su Rinascita: “Che cosa era in discussione a Genova? E, dopo ancora, a Licata, a Roma e a Reggio Emilia? Che cos’era in discussione nel Paese? Era il fondamento stesso dello Stato democratico: l’antifascismo, la resistenza e la Costituzione repubblicana”.

Così nel mese di luglio, sempre su Rinascita, Vittorio Foa:

Il fascismo per i lavoratori italiani oggi non è solo l’eco remota e nostalgica delle squadracce e delle aquile e degli orpelli barbarici dell’età mussoliniana, ma è, nelle condizioni mutate, l’arbitrio in luogo della giustizia, la disciplina subordinata in luogo della parità dei diritti e doveri reciproci fra lavoratore e padrone, la corruzione e l’avvilimento, la mancanza di prospettiva, il contrasto tra i profitti giganteschi e i salari stagnanti, lo sfruttamento intensivo della forza lavoro che impedisce all’uomo, finito il lavoro, di avere forze bastevoli per partecipare alla vita nelle sue forme più alte.

La vittoria del sindacato

“Abbiamo sconfitto i fascisti e Tambroni”, dirà esultante Rinaldo Scheda affermando:

Lo sciopero generale nazionale di protesta dichiarato dalla Cgil l’8 luglio in seguito all’uccisione da parte della polizia di cinque lavoratori di Reggio Emilia, ha determinato nel Paese un sussulto vigoroso, ha contribuito in modo decisivo a cacciare dalla direzione governativa la compagine clerico – fascista capeggiata dall’on. Tambroni. Le rabbiose reazioni dei circoli governativi e padronali contro questa grande manifestazione, le tragiche sparatorie della polizia a Palermo e a Catania nella giornata dell’8 luglio contro gli scioperanti, forniscono la prova drammatica della riuscita dello sciopero, delle larghe adesioni che esso ha avuto tra i lavoratori. L’ondata di manifestazioni antifasciste che hanno dominato la vita politica del paese nelle ultime due settimane in risposta alle provocazioni messe in atto dal governo Tambroni, ha avuto nella giornata dell’8 luglio il suo momento più avanzato. Lo sciopero generale ha consolidato l’unita di tutti gli antifascisti mobilitati per impedire una involuzione antidemocratica del paese e ha offerto uno sblocco legittimo alla spinta crescente delle masse lavoratrici verso un mutamento profondo della situazione politica, sociale ed economica dell’Italia.

È la fine davvero. Con la piena approvazione delle convergenze democratiche tra Dc, Psdi, Pri e Pli, Tambroni riunisce il Consiglio dei ministri. Preso atto della formazione di una nuova maggioranza il presidente del Consiglio il 19 luglio si reca dal capo dello Stato per presentare le dimissioni.