Con la sottoscrizione di tutti i rappresentanti del Congresso della Dichiarazione d’Indipendenza, il 4 luglio 1776 nascono ufficialmente gli Stati Uniti d’America. In realtà, la separazione effettiva delle tredici colonie (New Hampshire, Massachusetts, Rhode Island, Connecticut, New York, New Jersey, Pennsylvania, Delaware, Maryland, Virginia, Carolina del Nord, Carolina del Sud e Georgia) dalla madrepatria avviene il 2 luglio, quando il secondo congresso continentale a Philadelphia vota la risoluzione proposta il mese precedente da Richard Lee, rappresentante della Virginia.

Due giorni dopo, il Congresso emana una dichiarazione pubblica per spiegare le motivazioni della propria azione. 

La bozza della Dichiarazione, il cui autore principale fu Thomas Jefferson (futuro terzo presidente degli Stati Uniti), sarà approvata dai delegati il 4 luglio. 

“Noi riteniamo - vi si legge - che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati…”.

Ma alla fine è andata proprio così?

Tra armi, aborto e guerre il mito appannato della libertà americana si allontana sempre di più.

Per quanto fosse prevedibile, la sentenza pronunciata dalla Corte suprema statunitense qualche giorno fa sul tema dell’ aborto - ultimo campanello d’allarme di una divaricazione sempre più netta - rimane scioccante.

Più di metà dei cinquanta Stati potranno adesso vietare il ricorso all'interruzione di gravidanza, e di questi tredici fin da subito.

“L’aborto è illegale in Texas con effetto immediato” ha prontamente dichiarato il procuratore generale del Texas, Ken Paxton, specificando che le strutture che offrono interruzioni di gravidanza possono essere considerate “responsabili penalmente a partire da oggi” (se Texas e Missouri hanno già manifestato l’intenzione di rendere illegale l’interruzione volontaria della gravidanza, lo Stato di New York ha assicurato che “resta possibile”. California, Oregon e Washington hanno annunciato un impegno comune a difendere questo diritto). 

La Corte Suprema americana è arrivata alla decisione con i giudici divisi, ma con una maggioranza di 6 voti.

Tutti e tre i giudici nominati da Donald Trump durante il suo mandato hanno votato per l’abolizione della sentenza del 1973.

“Dio ha preso la decisione”, è stato il commento dell’ex presidente alla notizia. 

“Oggi è un giorno triste per la Corte suprema e il Paese (…) - dice al contrario Joe Biden - Permettetemi di essere molto chiaro e inequivocabile: l’unico modo in cui possiamo garantire il diritto di scelta di una donna è che il Congresso ripristini questo diritto con una legge federale. Non c'è nessuna azione esecutiva del presidente che possa farlo. Ma al momento al Congresso mancano i voti per farlo ora, dunque gli elettori alle elezioni di novembre devono far sentire la loro voce”.

“La decisione sull’interruzione di gravidanza - aggiunge Kamala Harris - non chiude la partita. Gli elettori hanno l’ultima parola”.

La partita non è chiusa, speriamo. Gli elettori hanno l’ultima parola, ci auguriamo. Ma cosa rischia di succedere? 

Rischia di accadere che milioni di donne negli Stati Uniti (la decisione dovrebbe riguardare circa 36 milioni di donne in etа riproduttiva, secondo una ricerca di Planned Parenthood) potrebbero perdere il diritto legale all’interruzione di gravidanza.

Un passo indietro di 50 anni francamente inaccettabile.

Ogni anno nel mondo si praticano circa 45 milioni di aborti indotti e poco meno della metà non sono eseguiti in modo sicuro. 

Complicazioni causate dall’aborto provocano problemi di salute per almeno sette milioni di donne e la morte di circa 22mila donne l’anno nei Paesi in via di sviluppo.

In sei Paesi su dieci nel mondo l’aborto è illegale o è permesso solo in casi estremi (Angola, Egitto, Gabon, Guinea-Bissau, Madagascar, Senegal, Iraq, Laos, Isole Marshall, Filippine, Repubblica Dominicana, El Salvador, Haiti e Nicaragua sono solo alcuni dei Paesi in cui l’interruzione volontaria di gravidanza non è consentita nemmeno nel caso in cui la vita della gestante sia in pericolo).

In Europa sono otto i Paesi ad avere una legislazione fortemente restrittiva nei confronti dell’interruzione volontaria di gravidanza. E anche nei paesi in cui la legge lo prevede, spesso, troppo spesso, abortire diventa quasi impossibile per l’altissima percentuale di medici obiettori.

“La sentenza della Corte Suprema sull’aborto - commentava qualche giorno fa Susanna Camusso - non riguarda solo gli Stati Uniti: descrive senza appello la trasformazione della destra politica in tanti, troppi paesi democratici. Una destra che abbraccia e sostiene, negli Stati Uniti come in Europa, l’idea del ritorno a casa delle donne, giustifica la discriminazione, cancella la libertà dei loro corpi e la loro libertà di scegliere”.

Una destra che non ci piace.