“L’amministrazione ha dato ordine di mettere un’etichetta gialla sul vestiario, in modo da poter distinguere da lontano i prigionieri politici”. Memorie di un ebreo sopravvissuto a un lager nazista? No, testimonianza di un prigioniero politico bielorusso, Vitold Ašcurak, condannato a cinque anni di carcere per aver partecipato alle proteste di massa indette in tutto il paese dopo le elezioni presidenziali dell’agosto 2020 e deceduto nella colonia penale di Škloŭ, in circostanze tuttora non chiarite, il 21 maggio dell’anno successivo.

Ašcurak era un attivista politico e un ecologista molto noto e rispettato in Bielorussia; è in sua memoria che l’organizzazione per i diritti umani Viasna ha proclamato il 21 maggio come Giornata del prigioniero politico in Bielorussia, dove il regime di Lukašėnko, fedele alleato di Vladimir Putin, detiene tuttora 1.203 prigionieri politici. Si tratta di persone provenienti da tutti gli strati della società: attivisti e giornalisti, studenti e operai, insegnanti ed ex poliziotti, dottori e pensionati, madri di famiglia e perfino minori, incarcerati anche con pene pesanti per aver semplicemente partecipato a manifestazioni pacifiche sia contro il regime totalitario sia, più recentemente, contro la guerra in Ucraina.

I detenuti politici in attesa di giudizio vengono automaticamente schedati, in via preventiva, come “inclini all’estremismo e ad altre azioni distruttive”, identificati quindi con etichette gialle e sottoposti a un regime molto più restrittivo di quello dei detenuti comuni: ad esempio, sono sempre ammanettati e guardati a vista quando si muovono dentro la colonia penale e possono conferire con i propri legali solo attraverso uno schermo. Alcuni vengono schedati anche come inclini “alla violenza contro l’amministrazione e al rapimento di ostaggi”, “al suicidio e all’auto-mutilazione” e “alla fuga”, il che fa temere ai detenuti di poter essere sottoposti a regimi persino peggiori, una volta condannati definitivamente. Anche quando tornano in libertà, gli ex prigionieri schedati in giallo sono sottoposti a ogni tipo di vessazioni, sul posto di lavoro e nella vita sociale di questo mondo orwelliano, come l’ha definito un ex detenuto politico, Kirill Saleev.

La situazione è divenuta ancora più preoccupante in questi giorni, dopo che il 18 maggio Lukašenko ha dato l’approvazione presidenziale alla nuova legislazione che ha introdotto la pena di morte per “tentati atti di terrorismo”, una mossa che, riporta Amnesty International, si ritiene possa essere un giro di vite in risposta ai sabotaggi delle ferrovie bielorusse effettuate dai ferrovieri locali, i “partigiani della ferrovia”, che hanno ostacolato il passaggio attraverso la Bielorussia di rifornimenti per l’esercito russo.  Secondo Viasna, dozzine di attivisti politici sono già stati accusati di “tentato terrorismo”: tra di loro, anche la leader in esilio dell’opposizione, Svjatlána Cichanóŭskaja, la principale avversaria di Lukašenko di nelle elezioni del 2020, il cui esito non è stato riconosciuto come valido dall’Unione Europea proprio a causa dei brogli elettorali da una parte e delle detenzioni arbitrarie seguite alle manifestazioni pacifiche contro l’elezione di Lukašenko dall’altra.

Così come in Russia, quindi, anche e soprattutto in Bielorussia quello di opporsi è un atto di vero coraggio. Nel giorno del 21 maggio azioni dimostrative, per quanto limitate, hanno avuto luogo in diverse città, da Minsk a Gomel a Vitebsk. Si è mobilitata anche la comunità bielorussa in esilio, a Tel Aviv, Varsavia e Cracovia, Tbilisi e Batumi, Praga e Kaunas, Edimburgo e Toronto. A Vilnius, la capitale lituana, gli attivisti di Viasna hanno eretto davanti all’ambasciata bielorussa la sagoma di una figura umana alta tre metri composta da tante etichette gialle quanti sono gli attuali “estremisti” prigionieri politici. Tra questi anche molti leader e membri dell’organizzazione stessa, che proprio per il coraggio della sua trentennale attività in favore dei diritti umani riceverà in settembre dalla Clooney Foundation for Justice il premio “Giustizia per i Difensori della Democrazia” intitolato al giudice Albie Sachs, leggendario attivista antiapartheid sudafricano e uno dei principali padri fondatori della Costituzione di quel paese.

Mentre in Bielorussia si applicano quindi misure detentive che ricordano sinistramente le pratiche naziste, in Crimea e nelle regioni ucraine occupate dalle truppe russe appaiono sui canali social dei video, girati in località e circostanze ignote, in cui alcuni abitanti affermano di aver superato “un corso di denazificazione”, come ci racconta il quotidiano online Meduza. È quanto, evidentemente, intendono le forze di occupazione quando, dopo aver individuato persone che si sono espresse in modo ritenuto ingiurioso nei confronti delle truppe russe, le costringono a scusarsi di fronte a una telecamera. Diversi video appaiono sul canale Telegram di un blogger della Crimea, che annuncia l’apertura della sezione “denazificazione”. 

Vediamo così una giovane donna di Cherson, che si identifica con tanto di nome e indirizzo e si scusa pubblicamente per aver insultato i militari russi, chiamandoli “orchi”; in un altro video un uomo dichiara di essere caduto preda della “propaganda ucraina” e aver “augurato la morte” ai soldati russi, pentendosene tuttavia dopo aver intrapreso “un corso completo di denazificazione”. Una donna di Odessa, che sul proprio canale Telegram aveva raccontato di aver strappato da un’automobile una vignetta con un simbolo “fascista” (probabilmente la Z, emblema russo di questa guerra), dichiara nel video che “questa operazione militare speciale” è necessaria perché “il regime nazista delle autorità ucraine opprime il proprio popolo così come quello della Russia, il che è inaccettabile”. Inutile dire che tutti i dichiaranti appaiono spaventati e a volte balbettano.  

Nel frattempo, Meduza informa che il quotidiano tedesco Spiegel ha appena pubblicato, il 22 maggio, il contenuto di un rapporto del Servizio di intelligence federale tedesco sulla presenza di gruppi di estremisti di destra e neonazisti nella guerra in Ucraina a fianco della Russia. Vengono menzionati i gruppi Rusič e Imperskij legion, che avevano partecipato anche alla guerra in Donbass nel 2014. In aprile si era già saputo della partecipazione di Rusič a questa guerra; nello stesso mese, riporta ancora Meduza, il capo dell’autoproclamata Repubblica popolare di Donetsk, Denis Pušilin, era stato ripreso in un video mentre consegnava un premio a un miliziano, le cui insegne erano leggermente modificate rispetto a quelle della divisione SS del Totenkopf.