Martedì 30 novembre sono finiti i sette anni al governo di Stefan Löfven, sindacalista, socialdemocratico, ex saldatore. La sua è una storia che ha poco in comune con quella degli altri leader europei: Löfven nasce a Stoccolma nel 1957, suo padre muore prima della sua nascita, e sua madre non avendo i soldi per mantenerlo è costretta a darlo in affidamento. Suo padre affidatario è un boscaiolo (che poi diventerà operaio), con la nuova famiglia cresce e frequenta le scuole a Solfftea, un paesino dell’entroterra svedese, a 500 chilometri dalla capitale, in cui la temperatura in inverno raggiunge i 25 gradi sottozero.

A 13 anni si iscrive al Partito socialdemocratico dei lavoratori di Svezia. Finite le superiori, dopo aver completato il servizio militare obbligatorio, ha iniziato a formarsi e a lavorare come saldatore. Nel 1980 viene scelto come rappresentante sindacale nel suo stabilimento di produzione iniziando una carriera trentennale nel sindacato metalmeccanico svedese (Metall). Negli anni inizierà a ricoprire ruoli sempre più importanti, diventando, dopo 15 anni di lavoro e impegno sindacale, un sindacalista a tempo pieno e iniziando a ricoprire una serie di ruoli dirigenziali a livello nazionale nel sindacato metalmeccanico.

Nel 2006 Metall si fonde con l’Unione industriale svedese per formare il nuovo sindacato IF Metall, di cui Löfven è eletto primo segretario generale. Lo stesso anno diventa membro dell’esecutivo nazionale dei socialdemocratici, che con il sindacato mantengono ancora oggi una relazione strettissima. Sono anni complicati per i socialdemocratici svedesi, il partito continua a perdere voti e seggi, scendendo al 30,7% dei consensi, il minimo storico da un secolo, e viene sconfitto per due elezioni consecutive dalla coalizione di centrodestra, guidata dal Partito moderato, restando all’opposizione per otto anni. Il partito continua a calare nei sondaggi arrivando al 25%, rischiando di venire superato dai Moderati per la prima volta nella storia contemporanea svedese, mentre la sua leader è travolta da uno scandalo sui rimborsi e si dimette.

Il partito a questo punto decide di affidarsi a Löfven, che nel 2012 ne viene eletto leader - è la prima volta che questa scelta ricade su un dirigente sindacale - e diventa capo dell’opposizione.

La scelta funziona, il partito svolta nei sondaggi e alle elezioni del 2014 inverte la tendenza, crescendo al 31%, complice il calo dei Moderati; è abbastanza per provare a formare un governo di minoranza. Dopo qualche settimana di trattative Löfven ci riesce, forma un governo di coalizione con i Verdi e con l’appoggio esterno della Sinistra. I socialdemocratici sono tornati al governo, e Löfven, dopo 30 anni da metalmeccanico, è diventato il nuovo primo ministro della Svezia. Lo è rimasto fino ad oggi in un succedersi di governi che hanno dovuto navigare in un periodo difficile per la Svezia e in una situazione politica sempre più frammentata.

La principale novità politica che Löfven si è subito trovato ad affrontare è la forte crescita dell’estrema destra, rappresentata dai Democratici, che in pochi anni è diventata stabilmente il terzo partito svedese, sfiorando picchi del 20%. I Democratici hanno le loro origini nei movimenti neonazisti, e pur essendosi oggi comunque moderati in una certa misura, vengono spesso accusati di xenofobia, sono fortemente contrari all’immigrazione nel Paese ed euroscettici.

Subito il governo Löfven si è trovato a fare i conti con la prima di molte crisi parlamentari. Nel 2014 il governo non era in grado di far passare la legge di bilancio e sembrava che dovesse immediatamente cadere e riportare la Svezia a nuove elezioni, ma dopo mesi di estenuanti trattative Löfven è riuscito a trovare un accordo con l’opposizione (escludendo l’estrema destra). Già da subito si è vista la grande capacità che tutti gli riconoscono: quella di mediare e trovare un accordo, riuscendo a gestire le negoziazioni più complicate, nei suoi sette anni di governo gli è accaduto spesso.

Nel 2015 Löfven si è trovato gestire la crisi migratoria europea, adottando un approccio più morbido dei precedenti governi conservatori, andando in direzione opposta di molta Europa, in particolare della confinante Danimarca, che ha applicato una durissima politica di respingimenti ed espulsioni. La Svezia è arrivata ad accogliere 163 mila richiedenti asilo nel 2015, più di qualunque altro paese europeo, in proporzione alla popolazione.

Durante il suo governo sono stati aumentati i sussidi per i disoccupati e gli investimenti per la riconversione ecologica. In politica estera è continuato lo storico impegno svedese a favore della pace e dei diritti umani. Nel 2014 la Svezia ha riconosciuto la Palestina, prima Stato tra i membri dell’Unione Europea a compiere questo passo.

Dopo anni di declino continuo, durante il governo Löfven sono ripresi a crescere gli iscritti al sindacato, nel 2020 la confederazione sindacale svedese (Lo) ha accolto 20 mila nuovi membri.

Nel 2018 Löfven si presentava alle elezioni da sfavorito, ma a sorpresa è riuscito a rimanere al governo, sfruttando le sue doti da mediatore. Inizia così nel 2019 un nuovo mandato ancora più complesso del precedente in cui deve bilanciare la non sfiducia dei Liberali e del Partito di centro e il sostegno della Sinistra, spesso necessario per legiferare. Per mantenere questo equilibrio i socialdemocratici sono stati costretti a fare diverse concessioni ai centristi, per cui hanno ricevuto diverse critiche, in particolare una politica fiscale e migratoria più rigida (questa tendenza si è notata poi con le posizioni pro-austerity svedesi durante la trattativa per il Recovery Fund). 

Su Löfven c’è un aneddoto, circolato parecchio sulla stampa internazionale che coinvolge anche l’Italia: nel 2018 Giuseppe Conte, appena nominato capo del governo Lega-5stelle va al Consiglio europeo “sbattendo i pugni sul tavolo“ per chiedere maggiori concessioni, in particolare sulla ricollocazione  dei migranti. Le trattive non procedono bene e a un certo punto sbotta: “I am a Professor of Law”, e Löfven gli risponde: “E allora? Io sono un saldatore”, suscitando l’ilarità dei capi di governo presenti.

Ho potuto constatare direttamente l’instabilità politica svedese e le capacità di mediazione di Löfven. A giugno ero in Svezia per lavorare con i socialdemocratici svedesi e, mentre a Stoccolma stavo pranzando con alcuni dirigenti del partito, incluso un membro dello staff presidenziale, è arrivata la notizia di una nuova crisi parlamentare, l’ennesima. La Sinistra non era più disposta a sostenere il governo, perché si trovava in disaccordo con le sue politiche abitative. Mi ha sorpreso la totale calma con cui hanno preso la notizia i commensali, che mi spiegavano come fosse una dinamica completamente normale che si ripeteva di continuo e che sicuramente Löfven avrebbe trovato una mediazione e convinto qualche partito a non votare la mozione di sfiducia. Forse sottovalutavano un po’ la cosa, poiché non abbiamo fatto tempo ad alzarci da tavola che si era creata una maggioranza favorevole alla sfiducia, che qualche giorno dopo porterà alla fine del secondo governo Löfven. Anche questa volta però è riuscito a trovare una soluzione, riuscendo a luglio a negoziare un terzo governo, sempre in coalizione con i Verdi e con l’appoggio esterno di Sinistra e Liberali.

Pur essendo sopravvissuto a ogni crisi politica Löfven, ha deciso di non ricandidarsi al congresso del partito di novembre per aiutare i socialdemocratici ad arrivare pronti alle elezioni del 2022 e iniziare subito un rinnovamento. È stata eletta alla guida del partito Magdalena Andersson, ministro delle Finanze per tutti i sette anni dei governi Löfven, che di conseguenza lo rimpiazzerà anche alla guida del governo, diventando la prima premier donna della Svezia.

Succedere a Löfven in un clima politico così instabile non sarà semplice, però. Andersson ne ha avuto subito la prova, otto ore dopo aver ricevuto la fiducia, quando i Verdi, dopo che il Parlamento aveva passato un bilancio con un accordo tra i partiti conservatori, sono usciti dalla maggioranza e Andersson si è dovuta dimettere, prima ancora di avere avuto la possibilità di insediarsi. Ha avuto una seconda occasione lunedì, riuscendo a formare un nuovo governo di minoranza con la fiducia approvata solo dai socialdemocratici e l’astensione di Sinistra, Verdi e partito di Centro.

Finisce così dopo 43 anni la carriera di Stefan Löfven, metalmeccanico, sindacalista e primo ministro. Senza di lui il futuro della Svezia è più incerto.