Caldo mortale: come l’aumento delle temperature minaccia i lavoratori dal Nicaragua al Nepal
The Guardian, 15 luglio 2021

Con il diffondersi delle temperature torride, la ricerca di modi per proteggersi dallo stress da calore sta diventando sempre più urgente

Wullian Martinez, che da bambino lavorava in una piantagione da canna da zucchero nella campagna del Nicaragua, ha imparato a sue spese quello che molti negli Stati Uniti e in Canada ora stanno imparando: che l’aumento delle temperature ha un costo in termini di vite umane e di sostentamento della gente.

Martinez, insieme agli abitanti del villaggio in La Isla, si è ammalato mentre lavorava nelle giornate massacranti nei campi sotto il sole nicaraguense per vent’anni. I lavoratori del mulino, che fornisce melassa alle aziende che producono alcohol, ha iniziato ad ammalarsi di insufficienza renale e dovrà lasciare il lavoro per sottoporsi a dialisi lunghe e costose. Suo padre e i suoi zii hanno sofferto dello stesso male e sono morti quando Martinez era un ragazzo, obbligandolo ad andare a lavorare. Sono morti negli anni così tanti lavoratori che la comunità del villaggio ha dato un nuovo nome al villaggio: La Isla de Viudas, l’Isola delle Vedove.

La malattia che ha annientato generazioni di lavoratori è nota nella letteratura accademica e nei media come la malattia renale cronica di origine sconosciuta, ma per coloro che lavorano i campi di canna da zucchero sotto il sole, la causa della loro malattia è chiara come il cielo che hanno sulla loro testa.

“Abbiamo perso molto qui, a livello comunitario, ed è una perdita che continuano a sopportare”, racconta Martinez, che ora a 29 anni è un ricercatore specializzato in materia di salute e sicurezza sul lavoro. “Ma questo non colpisce soltanto il Nicaragua, colpirà ovunque, se non si agirà per mitigare o prevenire lo stress da calore.”

Secondo un recente studio condotto su 20 anni, più di cinque milioni di persone muoiono ogni anno nel mondo a causa delle condizioni atmosferiche eccessivamente calde o fredde e i decessi collegati al caldo stanno aumentando. Un altro studio ha rivelato che il 37% dei decessi collegati al caldo nel mondo durante le stagioni calde potrebbero essere collegati all’emergenza climatica.

Con l’ondata di caldo che continua ad abbattersi sulla parte occidentale degli Stati Uniti, sottoponendo più di 31 milioni di persone a temperature al di sopra dei 45 °C, il problema si sente anche nei paesi più ricchi. I funzionari dello Stato dell’Oregon e di Washington hanno registrato circa 200 decessi come conseguenza delle temperature caldissime di questa estate, che si pensa abbiano provocato la morte anche di 500 persone nella British Columbia, nella parte occidentale del Canada. Allo stesso tempo, gli incendi provocati dall’ondata di caldo continuano a devastare la regione.

Kate Brwo, governatore del Partito Democratico nell’Oregon, ha descritto, in un’intervista rilasciata alla CBS, l’ondata di caldo come un “segnale di quello che succederà”, e ha detto che sono stati colpiti in maniera più forte le minoranze e le comunità vulnerabili, come i braccianti. “Dobbiamo concentrare le voci della popolazione nera, marrone e indigena in prima linea a lavoro mentre ci prepariamo ad affrontare le emergenze”.

Lo stress da caldo è da tempo un problema globale, anche se soltanto ora è avvertito in tutta la sua gravità negli Stati Uniti.

Le fabbriche tessili nelle città del sud est asiatico sono dei veri e propri focolai, che provocano di continuo malattie ai lavoratori.

“Le fabbriche al coperto, dove i lavoratori indossano indumenti protettivi, e dove non sempre ci sono condizionatori d’aria, sia per ragioni di natura economica e sia per ragioni relative alla produzione, sono luoghi in cui si può facilmente andare incontro ad un infarto”, afferma Jason Lee, professore presso la Yong Loo Lin School of Medicine alla National University of Singapore, e autore principale dello studio in corso su come lo stress da caldo colpisce i lavoratori all’interno e all’esterno della fabbrica a Singapore, Vietnam e Cambogia.

Secondo Lee il fatto che i lavoratori siano pagati ad ora, anziché in base alla loro produzione, riduce l’incentivo a evitare di fare pause regolari.

I lavoratori migranti del settore delle costruzioni in Medio Oriente, molti dei quali provengono dal Nepal, sono particolarmente a rischio. Uno studio realizzato dal Guardian nel 2019 ha scoperto che centinaia di lavoratori migranti nel Qatar muoiono ogni anno a causa dello stress da caldo mentre lavorano per costruire infrastrutture prima dei Mondiali di Calcio.

Nel periodo in cui fu realizzato lo studio, un lavoratore bengalese di un sito edile vicino a Doha disse. “Ci riposiamo per 30 minuti ogni 8 ore”. “Se dovessimo riposarci 20 minuti in più, ci chiederebbero di lavorare 20 minuti in più”.

Tornando a Martinez in Nicaragua, che continua a vivere a La Isla e lavora come organizzatore comunitario, e ad altri ricercatori, questi hanno rilevato un modello che varrebbe la pena di esportare.

Martinez, che collabora con La Isla Network, un gruppo di scienziati che si occupano di proteggere i lavoratori dagli impatti più pericolosi della crisi climatica, ha convinto lo zuccherificio Ingenio San Antonio, dove Martinez lavorava, ad adottare un programma che prevede acqua potabile, riposo all'ombra a intervalli per i lavoratori. I casi di lesioni ai reni da allora sono diminuiti, e due mulini in Messico sono destinati a sperimentare il prossimo anno una versione del programma, noto come iniziativa Adelante.

Secondo Jason Glaser, amministratore delegato di La Isla Network, lo stress da calore sottrae persone alla forza lavoro, uccidendole del tutto, o causando spesso una malattia eccessivamente costosa da curare, e nella situazione del Nepal o del Nicaragua si costringono i bambini a entrare nella forza lavoro in patria o all'estero per sostituire il genitore colpito, spingendoli nel lavoro minorile. Ha aggiunto che le aziende negli Stati Uniti dovrebbero implementare pratiche simili. "Quello che stiamo facendo in Nicaragua e in Messico deve accadere a casa nostra".

Per Martínez, è chiaro che bisogna agire con urgenza. "È una questione di buon senso, dice Martinez, il pianeta sta diventando più caldo, quindi più persone saranno a rischio, il che significa che più persone lasceranno la forza lavoro e graveranno sui sistemi sanitari". "La cosa più importante è proteggere i lavoratori, e questo vale per tutti i settori del lavoro".

Per leggere l'articolo originale: Deadly heat: how rising temperatures threaten workers from Nicaragua to Nepal

 

Il desiderio di una donna sudanese: “Se solo i combattimenti si fermassero”
Inter Press Service, 13 luglio 2021

Roda pulisce a mani nude i frammenti e raccoglie quanto rimasto del suo negozio di tè distrutto dopo che gli aggressori hanno appiccato il fuoco nella città di Gumuruk, nella regione del Greater Jonglei, dove il conflitto sconvolge spesso la vita quotidiana e impedisce il progresso.

La donna ha 36 anni, è madre di sei figli ed è solo una delle tante donne sudanesi bloccate nel ciclo faticoso di distruzioni e ricostruzioni.

Il negozio di tè è, oppure era, situato nel cuore del mercato locale di Gumuruk. È costruito con pochi fogli di lamiera tenuti insieme sul terreno sterrato, prima dell’attacco il negozio era il luogo in cui gli abitanti del posto potevano godere della reciproca compagnia davanti a un tè dolce e caldo.

Ma tutto questo è stato distrutto dallo scoppio della violenza che ha demolito la sala da tè di Roda che in un giorno ha perso l’intero investimento per il quale aveva lavorato tanto duramente per costruirlo in un anno.

La scorsa settimana sono stati celebrati 10 anni dalla nascita del Sud Sudan. Dopo decenni di lotte e dopo il desiderio di autodeterminazione, il Sud Sudan ha vissuto i suoi alti e bassi nei primi dieci anni dalla sua nascita.  Il Programma Alimentare Mondiale e le agenzie delle Nazioni Unite sono rimasti presenti sul territorio dalla sua nascita per aiutare il popolo a conseguire il sogno di sviluppare la loro nazione.

Oltre 7 milioni di persone, il 60% della popolazione, non sa se riuscirà a mangiare il prossimo pasto a causa dell’intensificarsi del conflitto, degli effetti del cambiamento climatico e, di recente, a causa dell’impatto della pandemia del coronavirus.

L’insicurezza, le imboscate e i raid violenti stanno impedendo anche la distribuzione degli aiuti di assistenza umanitaria e stanno mettendo in pericolo le vite umane. Nella sola città di Gumuruk, sono state saccheggiate e distrutte 550 tonnellate di cibo, sufficienti a nutrire per un mese 33.000 persone che soffrono di insicurezza alimentare. Le derrate alimentari comprendevano cereali, legumi, olio per cucinare e integratori nutrizionali per la cura e la prevenzione della malnutrizione dei bambini e delle donne.

Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) e altre agenzie delle Nazioni Unite sono state presenti sul territorio del Sud Sudan dalla sua indipendenza, il 9 luglio 2011, fornendo a milioni di persone un'ancora di salvezza fatta di cibo e assistenza nutrizionale e aiutandole a realizzare il sogno di sviluppare la loro nazione.

In molte parti del Sud Sudan, un paese che conta 12.2 milioni di persone, donne, uomini e bambini che hanno beneficiato dei progetti di sicurezza alimentare e dei programmi del WF di lungo termine, come l'assistenza alimentare in cambio di beni strumentali e una vasta iniziativa per l’alimentazione scolastica.

Il Programma Mondiale per l'Alimentazione prevede per quest'anno di raggiungere 5.3 milioni di persone con assistenza alimentare e oltre 730.000 persone con progetti per il sostentamento che rafforzano la resilienza contro le crisi e promuovono l'autosufficienza.

Nonostante i progressi che sono stati fatti tramite questi e altri progetti in corso, i combattimenti tra le comunità del paese hanno distrutto molti dei benefici conosciuti dai sud sudanesi, con conseguenti opportunità mancate per il giovane paese.

Il negozio di tè di Roda ne è un esempio. Dopo aver lavorato sodo per guadagnarsi da vivere per sé e per i suoi figli, ha il cuore straziato per aver perso tutti i suoi sforzi e le sue entrate.

"Non c'è niente di cui essere felici", dice Roda "La violenza ha distrutto la città in cui sono nata e il mio negozio. E ora non c'è acqua".

Prima dell'attacco alla città di Gumuruk in maggio, il Programma Mondiale per l'Alimentazione stava compiendo progressi costanti per raggiungere le famiglie della città più in difficoltà sul piano alimentare, con cibo e alimenti salvavita. Roda e la sua comunità dipendevano da una fonte d'acqua locale per cucinare il cibo per loro stessi e per le loro famiglie.

Roda dice: "Io e i miei figli non saremmo in grado di sopravvivere senza questi alimenti del PAM".

Poi i saccheggiatori hanno distrutto il serbatoio dell'acqua nella zona, lasciando Roda, la sua famiglia e centinaia di altre persone senza accesso all'acqua pulita per cucinare o per i servizi igienici. Il distributore d'acqua più vicino è a mezza giornata di viaggio a piedi, e lei non può trasportare tanto peso. Suo marito è anziano e malato.

In alcuni giorni Roda non riesce a portare a casa abbastanza acqua per cucinare per sé e per la sua famiglia. Il giorno in cui l'ho incontrata, era rimasta senza mangiare per tutto il giorno, scegliendo di razionare la poca acqua che aveva quel giorno per cucinare e nutrire i suoi figli.

Questo è un esempio di come il conflitto tra comunità abbia distrutto risorse e opportunità per i sud sudanesi. 10 anni di opportunità sprecate per crescere, svilupparsi e costruire vite felici e soddisfacenti. Il conflitto blocca persone come Roda, che stanno lavorando duramente per costruire le loro vite, in un sistema in cui fanno un passo avanti e due indietro.

Una vita longeva è un lusso in realtà come Gumuruk. La capacità di immaginare e pianificare il proprio futuro poggia su fondamenta stabili non solo costruite col duro lavoro, ma anche con la speranza e la fiducia che sono alimentate da piccoli successi graduali.

Il ciclo di costruzione e distruzione rende la vita di Roda e di molti altri nel Sud Sudan un'impresa assolutamente inutile che fa deragliare il loro sogno di un domani più roseo. Non importa quanto duro lavoro ci si metta, invece di costruire le sue conquiste passo dopo passo, scopre che sono di nuovo al punto di partenza. "Se solo i combattimenti si fermassero, allora forse arriverebbe un futuro migliore".

Si può fare poco per cambiare il passato, ma si può usare l'esperienza per assicurare che il futuro sia più roseo per persone come Roda e per tutti i sud sudanesi. Anche se non possiamo tornare indietro e cambiare gli ultimi dieci anni, possiamo fare in modo che il prossimo anno sia migliore per Roda e la sua gente.

Mentre continua a pulire i frammenti del suo negozio, di tanto in tanto la mano sporca di Roda trova una piccola pentola o un cucchiaio sepolti sotto cumuli di cenere. "Posso ancora usarli", dice Roda mentre infila i resti anneriti in una borsa. Nonostante quanto trovato sia misero, la sua determinazione diventa più forte.

Le vite possono essere salvate e migliorate nel Sud Sudan se vengono resi disponibili fondi sufficienti. Per i prossimi sei mesi, il Programma Mondiale di Alimentazione ha bisogno di 170 milioni di dollari per continuare a fornire assistenza alimentare ai più vulnerabili e promuovere progetti di sostentamento che incoraggino l'autosufficienza.

Per leggere l'articolo originale: “If Only the Fighting Would Stop “A Sudanese Woman’s Wish

 

La pandemia e l’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari causano un forte aumento della fame nel mondo
Financial Times, 13 luglio 2021

Per le Nazioni Unite l’aumento di 320 milioni di persone che hanno perso lo scorso anno l’accesso ad un’alimentazione adeguata equivale ai cinque anni precedenti messi insieme.

Le conseguenze economiche della pandemia e il rapido aumento dei prezzi dei prodotti alimentari hanno causato un forte aumento del numero di persone che soffre la fame nel mondo. È quanto sostengono le Nazioni Unite.

Nel rapporto pubblicato lunedì, le Nazioni Unite hanno affermato che il numero di coloro che non ha accesso ad un’alimentazione adeguata è aumentato lo scorso anno di 320 milioni, passando a 2.4 miliardi, quasi un terzo della popolazione mondiale. L’aumento delle persone che non ha accesso ad un’alimentazione adeguata equivale ai cinque anni precedenti messi insieme. Il numero delle persone che soffrono per l’insicurezza alimentare in modo grave ha raggiunto livelli record. Questo, secondo le Nazioni Unite, crea preoccupazioni per i disordini sociali e per l’aumento della migrazione. Quasi un miliardo di persone si trova in condizioni di insicurezza alimentare, un aumento di un quinto rispetto al 2019.

Arif Husain, capo economista per il Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite, ha affermato che la situazione è stata causata dall’aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e dal netto calo dei redditi delle famiglie: “Quanto vediamo oggi è un aumento sconcertante dei prezzi e, allo stesso tempo, decimazione dei redditi e conseguenze devastanti”.

Sono stati particolarmente colpiti i paesi che stavano già affrontando difficoltà economiche e conflitti. Il prezzo medio della farina di grano in Libano, dove le turbolenze economiche si sono accelerate nell'ultimo anno, è aumentato del 219%, mentre in Siria il prezzo dell'olio per cucinare è aumentato del 440%.

Il Fondo Monetario Internazionale ha recentemente indicato gli sconvolgimenti metereologici e la forte domanda di prodotti alimentari di base da parte dell'uomo e degli animali, insieme a un'impennata dei costi di spedizione, come i fattori trainanti di questa tendenza. Gli effetti sarebbero "sentiti maggiormente dai consumatori nei mercati emergenti e nelle economie in via di sviluppo che devono ancora affrontare gli effetti della pandemia.

Husain delle Nazioni Unite ha messo in guardia dalle conseguenze geopolitiche; dall'aumento dell'insicurezza alimentare che potrebbe alimentare la migrazione delle persone dai paesi più poveri verso quelli più ricchi. Husain ha aggiunto: “Dobbiamo capire che la fame provoca conflitti, che i conflitti causano la destabilizzazione che apre le porte al terrorismo e allo sfollamento forzato, non solo all’interno dei paesi ma lungo le frontiere”.

Per Joe Glauber, ricercatore senior del gruppo di ricerca International Food Policy Research Institute ed ex capo economista del Dipartimento dell'Agricoltura degli Stati Uniti, l'insicurezza alimentare è spesso il fattore scatenante dei disordini sociali.

Nel citare gli eventi dell'Africa settentrionale avvenuti nel 2007-08 e nel 2011, Glauber ha detto che, quando i prezzi del grano raggiungono livelli record, "è la scintilla che accende il fuoco". I prezzi alti del mais giallo nel 2007 hanno costretto i produttori di bestiame in Messico a nutrire i loro animali con mais bianco, il che ha contribuito in quell'anno alle cosiddette rivolte della tortilla.

l FMI ha avvertito recentemente che, anche se l'aumento del costo del cibo ha colpito principalmente i paesi in via di sviluppo dall'inizio della pandemia, la tendenza potrebbe colpire le economie sviluppate nel corso di quest'anno.

"Il recente aumento brusco dei prezzi internazionali dei prodotti alimentari ha già iniziato lentamente ad incidere sui prezzi al consumo interno in alcune regioni, poiché i rivenditori, che non riescono ad assorbire l'aumento dei costi, stanno trasferendo gli aumenti dei prezzi sui consumatori".

Per leggere l'articolo originale: Pandemic and higher food prices fuel sharp rise in global hunger

 

Cuba sta vivendo le proteste più grandi contro il governo dallo scoppio della crisi degli anni ‘90
El Pais, 12 luglio 2021

Mille persone hanno manifestato nel paese contro l’esecutivo, spinte dalla grave carenza e dalle difficoltà che vive l’isola, aggravate dalla pandemia. Sono più di cento gli arresti.

Le strade dell’Avana, di varie città e dei villaggi di Cuba hanno conosciuto domenica le manifestazioni più grandi contro il governo dal “maleconazo” del 1994, quando, durante il Periodo Speciale, centinaia di cubani protestarono contro la situazione economica del momento alla vigilia dello scoppio della crisi delle zattere. A provocare le proteste di questa domenica, a cui hanno partecipato migliaia di perone in tutto il paese, e che hanno provocato centinaia di arresti, è stata la grave carenza di generi alimentari e i disagi subiti dagli abitanti dell’isola, aggravati dalle conseguenze della pandemia. Gli insoliti gridi di “libertà” e “abbasso la dittatura” si sono sentiti a L’Avana Vecchia e in altre parti di Cuba, amplificati dai social network, che negli ultimi mesi hanno scosso il panorama politico del paese caraibico.

Il presidente cubano Miguel Diaz-Canel è apparso in televisione ed ha addossato la responsabilità del peggioramento della situazione economica che incoraggia le proteste agli Stati Uniti e alla loro politica di embargo e, riferendosi alle proteste, ha detto: “Stiamo convocando i rivoluzionari, i comunisti, a scendere nelle strade per andare nei luoghi dove si verificano queste provocazioni”.

La scintilla è scoppiata domenica nella piccola città dell'Avana di San Antonio de los Baños, dove centinaia di persone sono scese in strada per protestare contro le lunghe interruzioni dell'elettricità e per chiedere alle autorità di vaccinarle contro il Covid-19. Poco dopo, però, le loro richieste si sono trasformate in grida di "libertà" e di cambiamento politico. La protesta ed è stata trasmessa in diretta su Facebook dopo pochi minuti, generando appelli per altre manifestazioni sulle reti. Diaz-Canel è andato a San Antonio de los Baños a mezzogiorno e ha visitato la città, ha parlato della difficile situazione epidemiologica nel paese e degli sforzi del governo per affrontarla. Negli ultimi giorni il numero di casi positivi al Covid-19 e i decessi hanno subito un aumento esponenziale, mettendo province come Matanzas sull'orlo del collasso sanitario.

Il presidente cubano ha messo in guardia dal fatto che "ci sono persone legittimamente insoddisfatte per la situazione che stanno vivendo, e ci sono anche rivoluzionari confusi", e allo stesso tempo "ci sono opportunisti, controrivoluzionari e mercenari pagati dal governo degli Stati Uniti per organizzare questo tipo di manifestazioni".

E' stato allora che ha detto che "le provocazioni non saranno permesse" e ha pronunciato la famosa frase che era un mantra di Fidel Castro: "La strada appartiene ai rivoluzionari". "Qui nessun verme o controrivoluzionario scenderà in piazza", ha detto, esortando a fermare "le campagne mediatiche" e che "il popolo non deve lasciarsi provocare". In altre parole, i fedeli scenderanno in strada per combattere le proteste.

Sono apparse subito su Internet notizie di manifestazioni parallele nella città orientale di Palma Soriano, a Santiago de Cuba, ad Alquízar e in altri luoghi, qualcosa di assolutamente inedito a Cuba, e c'è stato anche un appello davanti all'Istituto Cubano di Radio e Televisione (ICRT), nel quartiere Vedado della capitale, lanciato da alcuni membri del 27-N, il gruppo di artisti che alla fine dello scorso anno manifestò davanti al Ministero della Cultura chiedendo libertà di espressione e la fine delle intimidazioni contro i sostenitori delle contestazioni e i dissidenti. Il sit-in all'ICRT, a cui hanno partecipato decine di persone, si è trasformato in una contromanifestazione che si è conclusa con un atto di repressione e l'arresto di tutti i manifestanti.

Contemporaneamente, diverse migliaia di persone, che avevano visto l'appello alla protesta sui social network, si sono riunite nel parco della Fraternità, vicino al Campidoglio, all'Avana Vecchia.  In poco tempo, si sono riuniti manifestanti, curiosi e gruppi di difensori della rivoluzione. Alcuni hanno gridato "Libertad" (Libertà) e "Patria y vida" (Patria e vita), le parole della canzone di un gruppo di artisti cubani con sede a Miami e sull'isola che ha sfidato il governo dell'Avana. Altri cantavano "Viva la revolución" e "Patria y Fidel".

La polizia ha arrestato oltre cento persone tra coloro che chiedevano più libertà. I veicoli della polizia sono stati colpiti quando qualcuno veniva portato via. Un fotografo spagnolo della Associated Press è stato aggredito dalla polizia nei disordini. A Cardenas, una delle città più colpite dall’epidemia del coronavirus, è stata ribaltata un’auto della polizia. Dietro quanto accaduto c’è il grande malcontento popolare per la crisi che sta attraversando il paese, con code di ore per comprare beni di prima necessità e con una carenza grave di medicinali. Dopo aver percorso le strade di San Antonio de los Baños, Díaz-Canel è apparso in televisione per dire che il filo conduttore di quanto sta succedendo, al di là delle gravi difficoltà dovute all’inefficienza dell’economia cubana, è rappresentato dall’intensificarsi dell’embargo statunitense. “Hanno cominciato a intensificare una serie di misure restrittive, di inasprimento del blocco, di persecuzione finanziaria contro il settore energetico nell’intento di soffocare la nostra economia, per provocare l’attesa esplosione sociale di massa al fine di creare le condizioni affinché, con tutta la campagna ideologica fatta, si arrivi a chiedere interventi umanitari che finiscono per essere interventi militari e interferenze”.

Ha ricordato la situazione molto difficile nella provincia di Matanzas, dove, negli ultimi 15 giorni, è stato registrato un aumento dei contagi, con 1.300 persone contagiate su 100.000 abitanti. Questo ha determinato l’adozione di misure di emergenza, come l’invio da parte del governo di membri delle brigate mediche Henry Reeve, che Cuba invia normalmente per le missioni internazionali quando accadono catastrofi umanitarie e che prima d’ora non erano mai stati inviate all’interno del paese. Díaz-Canel ha affermato: “A partire dalle situazioni più complicate registrate nelle province di Matanzas e Cielo de Avila, coloro che hanno sempre approvato il blocco, mercenari della strada del blocco yankee, cominciano in modo codardo, sottile, opportunista e perverso a presentarsi con dottrine relative agli aiuti umanitari ed a corridoi umanitari”.

A testimoniare la preoccupazione ufficiale per le manifestazioni di domenica, dopo il discorso di Díaz-Canel, la televisione cubana ha trasmesso un programma in diretta in cui si è collegata con tutte le province del paese presentando dichiarazioni a sostegno della rivoluzione e assicurando che quanto è successo è il prodotto della sovversione incoraggiata dagli Stati Uniti e amplificata dalle reti sociali. Per ogni evenienza, nelle strade più calde dell'Avana, è stata dispiegata nella notte una grande operazione di polizia.

Per leggere l'articolo originale: Cuba vive las mayores protestas contra el Gobierno desde la crisis de los años noventa

 

Vaccinazioni: la grande frattura nord – sud
Le Monde, 11 – 12 luglio 2021 

Solo l'1% di 3.3 miliardi delle dosi già fornite nel mondo è stato somministrato nei Paesi più poveri.

È un bilancio tragico. È quanto ha affermato l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) mercoledì 7 luglio. La soglia di quattro milioni di morti per Covid-19 è stata superata e le cifre sono state di sicuro molto sottostimate, ha sottolineato il segretario dell'OMS, Tedros Adhanom Ghebreyesus, allarmato dalla ripresa dell'epidemia in molti paesi, che con la variante Delta molto più contagiosa si sta diffondendo a macchia d'olio in tutto il pianeta. Ha avvertito che il mondo si trova “a un punto pericoloso in questa pandemia”. Sono mesi che l'OMS mette in guardia dai pericoli che la vaccinazione a due velocità comporta, che lascia i paesi poveri in gran parte impotenti di fronte al virus e favorisce l'emergere di varianti sempre più pericolose. Nonostante le loro promesse, i paesi ricchi finora hanno raramente condiviso i loro vaccini, dato che dei 3.3 miliardi di dosi già fornite, solo l'1% è stato somministrato nei paesi più poveri. Secondo il lavoro del Duke Global Health Innovation Center di Durham, del North Carolina, citato dalla rivista Nature, sono necessarie circa 11 miliardi di dosi per vaccinare il 70% del pianeta, e raggiungere la soglia teorica dell'immunità collettiva, ma se le dosi di vaccino non saranno condivise in modo più equo, questo obiettivo non sarà raggiunto prima del 2023. Il programma Covax, che mira a garantire l'accesso ai vaccini nei paesi a basso e medio reddito, ha finora fornito 100 milioni di dosi a 135 territori che partecipano al programma.  Ma secondo l'OMS, che co-dirige il programma Covax, la fornitura delle dosi si è praticamente esaurita questo mese. “Il mondo sta fallendo”, aveva avvertito a fine giugno Tedros Ghebreyesus, che aveva espresso l'augurio che ogni Paese iniziasse a vaccinare i propri operatori sanitari e le persone più vulnerabili nei primi cento giorni del 2021.

Differenze notevoli
I dati sulle vaccinazioni preparati dal sito Our World in Data dell'Università di Oxford parlano da soli. Nel mondo ci sono situazioni molto diverse. Se più della metà della popolazione ha già ricevuto almeno una dose negli Stati Uniti o nell'Unione Europea, a malapena il 30% degli abitanti del Sudamerica ne ha potuto beneficiare: ha ricevuto una prima dose di vaccino quasi il 40% dei brasiliani e degli argentini, ma solo il 25% dei colombiani, il 20% degli ecuadoriani, il 15% dei peruviani e dei boliviani e il 5% dei guatemaltechi. In Brasile, dove si registra il numero di decessi giornalieri più alto al mondo, meno del 15% della popolazione è vaccinata completamente. Anche in Asia le disuguaglianze sono importanti: mentre poco più del 20% degli indiani ha ricevuto una prima dose, solo il 10-15% di srilankesi e indonesiani, meno del 10% dei filippini e meno del 5% dei bengalesi hanno ricevuto la prima dose. Il continente africano sembra essere il peggiore, con un tasso di popolazione vaccinata inferiore al 2%. Ha ricevuto solo 70 milioni di dosi di vaccini, di cui 26 attraverso il programma di solidarietà Covax, per una popolazione di 1.3 miliardi di abitanti, mentre venti Paesi africani stanno facendo fronte alla terza ondata più grave delle precedenti, a causa della diffusione della variante Delta. Il Sudafrica, la Repubblica Democratica del Congo (RDC), l'Uganda e lo Zambia, stanno conoscendo, tra gli altri stati, la saturazione delle capacità delle strutture ospedaliere. Si teme uno scenario “indiano”, con un aumento improvviso del numero dei decessi. In questo contesto, gli errori del programma Covax vengono denunciati sempre più a testa alta. “Covax ha concentrato la sua intera strategia sull'acquisto di vaccini AstraZeneca dal Serum Institute of India. Se avesse finanziato unità produttive in Sudafrica, Marocco, Egitto, dove esiste già la produzione di vaccini nel continente, non saremmo di fronte a un simile fallimento', accusa Strive Masiyiwa, coordinatore della piattaforma africana per l'acquisizione di vaccini (Avatt), istituita dall'Unione Africana nel novembre 2020 per subentrare al programma Covax.

Consegne delle forniture in ritardo
“Siamo sempre stati chiari che Covax non avrebbe fornito tutto e che gli africani avrebbero dovuto fare la loro parte”, ha risposto Matshidiso Moeti, responsabile dell'ufficio regionale di Brazzaville. Era previsto che il programma Covax avrebbe fornito inizialmente gratuitamente la consegna di 700 milioni di dosi per vaccinare il 20% della popolazione. Avrebbe dovuto intervenire il meccanismo africano per raggiungere un tasso di vaccinazione del 60% entro la fine del 2022.  Il programma Covax è stato privato dei vaccini del Serum Institute of India, suo principale fornitore, e ha fatto appello ai paesi ricchi in questi ultimi mesi affinché aumentassero le donazioni. I capi di Stato e di Governo del G7 si sono impegnati, a metà giugno, a fornire 870 milioni di dosi per ridurre il divario, metà delle dosi avrebbero dovuto essere spedite entro la fine dell'anno. Ma quasi un mese dopo questo bellissimo slancio di solidarietà, quanto promesso arriva con il contagocce. La direttrice scientifica dell’OMS, Soumya Swaminathan, ricorda che il programma ha superato il tetto di 100 milioni di dosi consegnate, molto al di sotto dei 300-400 milioni di dosi inizialmente previste.  Nell'ambito del programma Covax sono stati firmati allo stesso tempo nuovi accordi con Moderna per l'acquisto a maggio e giugno di 500 milioni di dosi, con Johnson & Johnson di 200 milioni, con Novavax di 350 milioni e con la cinese Clover 414 milioni di dosi per diversificare il paniere di vaccini. In totale, il programma si è assicurato ordini per 3.2 miliardi di dosi, più gli impegni dei paesi ad alto reddito. Ma il grosso delle forniture non raggiungerà i beneficiari del programma se non ad autunno e nel 2022.La distribuzione dei vaccini rimarrà fino ad allora scarsa.

"Stiamo lavorando senza sosta per attivare i siti di produzione nella nostra rete globale. Tuttavia, come per tutti i vaccini, la catena di produzione e fornitura è molto complessa, e ci vuole tempo per aumentare la produzione", dichiara Johnson & Johnson. Le aziende farmaceutiche hanno fatto di tutto negli ultimi mesi per accelerare la produzione e fornire più dosi. Ma il portafoglio di ordini è pieno, e tra ritardi dovuti alla produzione, al controllo della qualità e la distribuzione ci vorranno diversi mesi perché le dosi raggiungano i loro destinatari.

La situazione locale
La carenza di vaccini potrebbe spingere l'OMS a rivedere la sua strategia: "La solidarietà non ha funzionato. Dobbiamo trarne le conseguenze per i prossimi cicli di distribuzione, tenendo conto del profilo epidemiologico dei paesi, ma anche della loro capacità di garantire la distribuzione dei vaccini", suggerisce Richard Mihigo, coordinatore del programma vaccinale dell'OMS Africa. La Repubblica Democratica del Congo e il Sud Sudan sono stati costretti a restituire parte della loro quota a causa della mancanza di richieste di vaccini. Altri, come il Ruanda e il Ghana, stanno aspettando i vaccini promessi prima di poter iniettare le seconde dosi. Non potendo contare su AstraZeneca prima dell'inizio del prossimo anno, l'agenzia sanitaria dell'Unione Africana, CDC-Africa, ha raccomandato di rivolgersi, per quanto possibile, ad altri vaccini come Pfizer o Moderna per non perdere il beneficio della prima dose. In questa situazione, alcuni scienziati mettono in dubbio la possibilità che siano somministrate vaccinazioni a breve termine. "Non sarebbe meglio investire con urgenza nei sistemi sanitari per aiutarli a far fronte alla terza ondata, sapendo che in alcuni paesi è probabilmente troppo tardi per vaccinare?" chiede Eric Delaporte, ricercatore dell'Institut de recherche pour le développement, sottolineando che in alcuni paesi la popolazione ha raggiunto già un alto livello di immunità. "Siamo nella logica di fornire vaccini a tutti, ma non ci chiediamo quale sia la situazione in ogni paese. La priorità è quella di fare uno studio affidabile per valutare meglio il contesto locale", dice il ricercatore, che ritiene che gran parte della popolazione possa in realtà essere già immune al virus.

Uno studio di siero prevalenza, pubblicato il 5 giugno, suggerisce che la circolazione del virus sia stata maggiore a quanto le cifre ufficiali suggeriscano. A Kinshasa, nella Repubblica Democratica del Congo, più del 16% della popolazione aveva anticorpi contro la SARS-CoV-2 dopo la prima ondata. Il sondaggio è stato ripetuto dopo la seconda ondata e i primi risultati, che non sono ancora stati pubblicati, indicano che il 40% della popolazione potrebbe essere stata contagiata in alcune città africane. Uno studio condotto in Mali, pubblicato il 29 giugno, ha anche scoperto che il  siero prevalenza è aumentato, passando dall'11% dopo la prima ondata al 55% dopo la seconda, con un picco del 77% nelle aree urbane. "Il virus si è diffuso molto ma con un impatto moderato sul tasso di mortalità", afferma Eric Delaporte, coautore dello studio, sottolineando che in Africa, meno del 5% della popolazione ha più di 65 anni. Afferma: "Forse basterebbe vaccinare i più vulnerabili per limitare le conseguenze dell'epidemia". Ma ci sono ancora molte domande. Mentre il virus sta circolando più velocemente dei vaccini, la grande incognita riguarda la potenziale evoluzione della SARS-CoV-2 . "Non sappiamo cosa ci aspetta", dice Florence Débarre, ricercatrice del CNRS in biologia evolutiva. "L'evoluzione della SARS-CoV-2 non è prevedibile. Dobbiamo prevede una serie di scenari per il futuro". L'emergere della variante Delta, che ha una mutazione (L452R) che non era presente nelle precedenti varianti (Alpha, Beta, Gamma), "illustra che non c'è un solo percorso evolutivo". Il rischio è che queste mutazioni preoccupanti si moltiplichino. "Più virus circolano, più biglietti compriamo nella lotteria delle mutazioni. Dovremmo continuare a essere sorpresi", avverte lo scienziato, secondo il quale è molto importante ridurre il numero dei contagi con tutti i mezzi possibili, anche monitorando i contatti e isolando i pazienti. "Condividere i vaccini con altri paesi non è solo carità. Si tratta di prevenire l'emergere di varianti con caratteristiche che potrebbero causare nuove ondate", ha detto. "Non finirà finché non finirà ovunque nel mondo".

Per leggere l'articolo originale: Vaccination: la grande fracture Nord - Sud