Il direttore generale dell’OMS: il G20 deve investire in un mondo post pandemia più sano e più verde
Financial Times 8 luglio 2021

Il caldo estremo sta devastando l’America del nord, causando la morte di centinaia di persone. Questa è la crisi climatica in atto, alimentata dalla nostra dipendenza dai combustibili fossili, con conseguenze devastanti reali per la nostra salute. Nonostante l’impatto oramai innegabile di questa crisi climatica, i governi del G20 si sono, tuttavia, impegnati a sostenere l’energia proveniente dai combustibili fossili con 300 miliardi di dollari in stimoli finanziari da gennaio 2020.

Mentre i ministri delle Finanze del G20 si riuniscono questa settimana a Venezia per portare avanti l’agenda verde del G20, il bisogno della loro collaborazione non è mai stata così vitale. I Paesi del G20 stanno affrontando due sfide dure importanti: la prima è tracciare un percorso che ci faccia uscire dalla fase attuale della pandemia e, secondo, rilanciare l’economia globale dopo il Covid – 19 in modo da evitare di esacerbare la crisi climatica.

Entrambe le sfide richiederanno solidarietà globale e impegni finanziari adeguati. Nei recenti mesi, insieme ai colleghi delle Nazioni Unite abbiamo ripetutamente chiesto alle economie avanzate di elaborare una strategia coordinata accelerata, sostenuta da finanziamenti nuovi, per vaccinare il mondo in modo equo. La creazione di una task force formata da più agenzie sui vaccini contro il Covid-19, sulle terapie e dispositivi diagnostici per i paesi in via di sviluppo richiederà energia, ambizione e coordinamento aggiuntivi alla risposta da dare alla pandemia. Più di 25 capi di Stato e di Governo nel mondo chiedono di elaborare un trattato globale per migliorare la prevenzione e la risposta alla pandemia, da discutere in una sessione speciale dell’Assemblea mondiale della sanità che si terrà a novembre.

Gli impegni assunti nel vertice del G7 in Cornovaglia lo scorso giugno, con la promessa di condividere 870 milioni di dosi di vaccino anti Covid-19 nel 2021 e nel 2022, hanno rappresentato un passo importante nella giusta direzione, ma queste promesse devono essere realizzate subito se si vuole far fronte alla crescente disuguaglianza nell’accesso ai vaccini nel mondo. La donazione di vaccini per il prossimo anno arriverà troppo tardi per coloro che oggi stanno morendo. Abbiamo bisogno entro la fine di quest’anno di un miliardo di dosi da consegnare ai paesi con reddito medio basso per vaccinare coloro più a rischio di contrarre malattie gravi e di morire.

Tuttavia, la solidarietà globale significa che le economie avanzate devono investire nel lungo termine in una ripresa resiliente, giusta e verde. I pacchetti di stimolo devono migliorare la salute pubblica, devono essere non inquinanti e non devono influire sul clima. Inoltre, devono evitare di bloccare i modelli di sviluppo economico che recano danni permanenti ai sistemi ecologici che sostengono la salute umana e i mezzi per il sostentamento.

Da quando è iniziata la pandemia, quasi la metà degli stimoli del G20 spesi per attività che producono e consumano energia sono andati a carbone, petrolio e gas. Questa è una notizia terribile per la nostra salute. L’inquinamento atmosferico prodotto dai combustibili fossili causa circa 13 morti premature al minuto, ossia 7 milioni di morti premature l’anno. È la pandemia silenziosa, è la conseguenza di decenni di inazione nonostante il forte monito degli scienziati.

Questo deve e può essere fermato. Investire ora per accelerare rapidamente le tecnologie e le infrastrutture di energia pulita è uno dei contributi più grandi che i governi, le imprese e gli investitori possono apportare per migliorare la salute pubblica nel lungo termine. Creerà, inoltre, milioni di nuovi posti di lavoro, sosterrà la crescita e il benessere a livello globale e contribuirà ad evitare le conseguenze peggiori per la salute dovute all’intensificarsi della crisi climatica.

Ci sono esempi di come questo potrebbe funzionare. L’OMC, in collaborazione con Gavi, l’alleanza per i vaccini, e l’Unicef, il Fondo delle Nazioni Unite per l’Infanzia, sta fornendo pannelli solari per alimentare frigoriferi necessari per la conservazione sicura dei vaccini nelle strutture sanitarie senza la fornitura dell’energia elettrica tradizionale.

Un altro esempio è dato dal programma sanitario ideato dall'OMS, in collaborazione con il governo del Regno Unito, che occuperà la prossima presidenza della Conferenza sul clima dell'ONU, la COP26, il prossimo novembre. Questo programma invita i governi a costruire sistemi sanitari che siano allo stesso tempo resilienti al clima e presentino basse emissioni di carbonio.

Progetti come questi, con un appropriato sostegno, possono essere realizzati rapidamente per salvaguardare la salute e il clima. Presentano il vantaggio aggiuntivo di tenere i gas dei combustibili fossili fuori dai nostri polmoni e dall'atmosfera del mondo. Il danno provocato dell'inquinamento atmosferico non può essere compensato da azioni verdi in qualche parte del mondo, o in un momento futuro. Deve invece essere prevenuto. Eliminare tutti i permessi, i sussidi e i finanziamenti per l'uso dei combustibili fossili è un primo passo cruciale.

Questo libererebbe risorse significative che potrebbero essere reindirizzate verso riprese sane e verdi. Il G20 può inviare un segnale chiaro e uniforme per rendere più verde la propria ripresa, mentre fornisce, nel contempo, fondi significativi e incentivi agli altri governi perché facciano lo stesso. È tempo di investire nel futuro che vogliamo. Questo significa finanziare un mondo più sano, più giusto e più resiliente.

Per leggere l'articolo originale: WHO chief: the G20 must invest in a healthier, greener post-pandemic world

 

Donne afghane armate scendono nelle strade in segno di sfida contro i Talebani
The Guardian, 8 luglio 2021

Le donne hanno imbracciato le armi nell'Afghanistan settentrionale e centrale, marciando nelle strade a centinaia e condividendo foto di sé stesse con fucili d'assalto sui social media, in segno di fida mentre i talebani fanno progressi a livello nazionale. Una delle più grandi manifestazioni si è tenuta nella provincia centrale di Ghor, dove centinaia di donne nel fine settimana hanno manifestato, agitando pistole e cantando slogan contro i talebani.

È probabile che non si presentino subito in gran numero in prima linea in gran numero, a causa del conservatorismo sociale e della mancanza di esperienza. Ma le manifestazioni pubbliche, in un momento in cui i militanti Talibani minacciano, sono un monito di quante donne siano spaventate da quello che il dominio talebano potrebbe significare per loro e per le loro famiglie.

Halima Parastish, che è la responsabile del direttorio femminile di Ghor e una delle manifestanti, ha detto: "Alcune donne vogliono ispirare le forze di sicurezza, solo simbolicamente, ma molte più donne sono pronte ad andare al campo di battaglia". "Questo riguarda anche me. Io e altre donne abbiamo detto al governatore circa un mese fa che siamo pronte ad andare a combattere".

I Talebani hanno conquistato decine di distretti nelle campagne dell'Afghanistan, anche in luoghi come la provincia settentrionale del Badakhshan, che 20 anni fa era una roccaforte anti-talebana. Ora controllano più capoluoghi di provincia che sono realmente sotto assedio.

Gli attivisti e i residenti di quelle aree affermano che i Talebani hanno già introdotto nelle aree da loro controllate restrizioni all’istruzione delle donne, alla loro libertà di movimento ed al loro modo di vestire. In un’area sono stati diffusi volantini con i quali si chiede alle donne di indossare il burqa.

Secondo un nuovo sondaggio su un gruppo di donne le cui voci sono raramente ascoltate, anche le donne delle zone rurali estremamente conservatrici aspirano a una maggiore istruzione, a una maggiore libertà di movimento e a un ruolo più importante nelle loro famiglie. Il dominio talebano le porterà nella direzione opposta.

"Nessuna donna vuole combattere, voglio solo continuare la mia istruzione e stare lontana dalla violenza, ma le condizioni hanno fatto sì che io e altre donne ci difendessimo", ha detto una giornalista poco più che ventenne del Jowzjan settentrionale, dove esistono precedenti di donne che combattono.

Lei ha partecipato a una giornata di addestramento su come maneggiare le armi nella capitale della provincia, che è attualmente assediata. Ha chiesto di non essere nominata nel caso in cui cadesse nelle mani dei talebani. "Non voglio che il paese sia sotto il controllo di persone che trattano le donne in questo modo. Abbiamo preso le armi per dimostrare che se dobbiamo combattere, lo faremo".

Ha raccontato che ci sono decine di donne che stanno imparando ad usare le armi come lei, e che nonostante la loro inesperienza avrebbero un vantaggio sugli uomini se dovessero affrontare i talebani che "hanno paura di essere uccisi da noi, lo considerano vergognoso".

Per i militanti conservatori, affrontare le donne in battaglia può essere umiliante. Si dice che i combattenti dell'Isis in Siria fossero più spaventati di morire per mano delle forze curde femminili che di essere uccisi dagli uomini.

È un fatto raro, ma non insolito, che le donne afgane imbraccino le armi, in particolare nelle aree meno conservatrici del paese. L'anno scorso un'adolescente, Qamar Gul, è diventata famosa a livello nazionale dopo aver combattuto un gruppo di talebani che avevano ucciso i suoi genitori. Tra i militanti c'era il suo stesso marito.

Nella provincia di Baghlan, una donna di nome Bibi Aisha Habibi è diventata l'unica donna signora della guerra del paese dopo l'invasione sovietica e la guerra civile che è seguita. Era conosciuta come Comandante Kaftar (Piccione).

E nel nord di Balkh, Salima Mazari, 39 anni, ha recentemente combattuto in prima linea a Charkint, dove è la governatrice del distretto.

Negli ultimi vent'anni anche le donne si sono unite alle forze di sicurezza dell'Afghanistan, sono state addestrate come piloti di elicotteri, anche se hanno affrontato discriminazioni e molestie da parte dei colleghi e raramente sono andate in prima linea.

I Talebani hanno preso le distanze dai precedenti storici dell'Afghanistan, sostenendo che le manifestazioni erano propaganda e che gli uomini non avrebbero permesso alle donne della famiglia di combattere.

“Le donne non prenderanno mai le armi contro di noi. Sono inermi, costrette dal nemico sconfitto”, afferma il portavoce Zabihullah Mujahid. “Non sono in grado di combattere”.

Il governatore della provincia di Ghor, Abdulzahir Faizzada, dichiara in un’intervista telefonica che alcune donne scese nelle strade della capitale della provincia, Firozkok, hanno già combattuto i Talebani e la maggior parte di loro ha subito violenze di gruppo. E continua: “La maggioranza di queste donne sono scappate di recente dalle aree controllate dai Talibani. Hanno già vissuto la guerra nei loro villaggi, hanno perso figli e fratelli e sono infuriate”. Faizzada ha aggiunto che se il governo di Kabul lo approverà, addestrerà le donne che non hanno esperienza di armi”.

Paratish, la responsabile del direttorio femminile di Ghor, , afferma che le regole conservatrici dei Talibani non sono viste con favore a Ghor, dove le donne per tradizione si coprono la testa con il velo, anziché coprirsi del tutto con il burqa, e lavorano nei campi e nei villaggi accanto agli uomini.

I Talibani hanno vietato alle donne persino di prendersi cura degli animali o di lavorare la terra nelle aree di Ghor controllate da loro. Hanno chiuso le scuole femminili, ordinato alle donne di non uscire di casa senza essere accompagnate da un guardiano maschio e hanno vietato persino di partecipare ai matrimoni, permesso solo agli uomini.

Le donne che hanno manifestato provengono da queste aree. “Più di una decina di donne sono fuggite la scorsa settimana da Allahyar, situato nel distretto di Shahrak, per venire da noi e ci hanno chiesto le armi per difendere le loro terre e la libertà. La stessa situazione è accaduta nella regione di Charsadda”, ha affermato Paratish e ha aggiunto: “Veniamo uccise e ferite senza difenderci, perché non rispondere? Sappiamo che almeno due donne hanno partorito nella regione dove non ci sono attrezzature mediche e non potevano essere accompagnate”. L’unica cosa al momento che trattiene le donne sono gli uomini al potere. “Il governatore ha detto che non c’è bisogno di noi per ora e che ce lo faranno sapere”.

Per leggere l'articolo originale: Armed Afghan women take to streets in show of defiance against Taliban

 

Bennett in Cisgiordania fa il gioco dei coloni
Le Monde, 4 – 5 luglio 2021

Prima di lasciare l’insediamento, le cinquanta famiglie che si erano insediate illegalmente nell’insediamento desertico di Evytar hanno eretto una gigantesca stella di Davide e la scritta “Ritorneremo” di fronte alla città pastinese di Beita, situata sulla collina vicina, nel nord della Cisgiordania occupata.

L’evacuazione dell’insediamento ha avuto luogo venerdì 2 luglio, esattamente come voleva il nuovo primo ministro Nafatli Bennett: senza incidenti davanti alle telecamere. Il suo governo ha raggiunto un compromesso che sembrerebbe una resa per i coloni: le baracche bianche, un misto di costruzioni in muratura e di prefabbricati, installati in alcune settimane nei campi di ulivo a sud di Nablus, resteranno sul posto sotto la sorveglianza di soldati, nell’attesa che il governo esamini lo stato dei terreni sui quali sono stati eretti.

Era quasi inevitabile che la colonia fosse evacuata dal momento che l’amministrazione civile israeliana, responsabile nella Cisgiordania occupata e subordinata all’esercito, aveva già ordinato la demolizione delle costruzioni. Ma il nuovo accordo sospende le demolizioni delle costruzioni. I coloni credono che l’insediamento di Evyatar sarà presto legalizzato, almeno secondo la legge israeliana, dal momento che il diritto internazionale considera il trasferimento delle popolazioni civili di una potenza occupante verso un territorio come un crimine di guerra.

Per il portavoce del movimento Nahala, Ayelet Shlisel, che presiede la comunità, “questo è stato il compromesso migliore che potessimo trovare”. Lo afferma mentre sua figlia stringe la sua gonna nera e aggiunge: “Ci ritiriamo per un po', mentre finiscono gli aspetti burocratici e torneremo”. Nel frattempo, ritorna nella sua casa di 190 metri quadri in un’altra colonia, ad Ariel, con cinque figli. L’israeliana ha 36 anni ed aveva già cercato di insediarsi a Evyatar otto anni fa, erigendo tende poi smontate frettolosamente pochi giorni dopo.

Nessuno aveva ancora preparato i bagagli, quando giovedì era stato raggiunto l’accordo. I bambini e gli adolescenti si spostavano da casa in casa lungo le strade già asfaltate e sotto un sole cocente, mentre alcuni più grandi erano armati di fucili automatici e le ragazze giovani trasportavano sacchi di cemento a significare che i coloni erano impegnati a costruire fino alla fine. Alcune baracche avevano già l’aria condizionata, come quella di Serah Lisson, religiosa di 34 anni, madre di sei figli, insediatasi quasi nove settimane fa a Evyatar, che è cresciuta grazie “alle decine di persone arrivate ad aiutare tutti i giorni”. L’entrata della colonia è indicata su un cartello scritto in ebraico posto nella strada sottostante, sorvegliata da due poliziotti posizionati sotto una tenda. Sui pali sono stati istallati dei riflettori per dare luce la notte.

Vuoto politico

Daniella Weiss indossa una camicia bianca e un fazzoletto nero sulla testa e dice di aspettare questo momento da oltre vent’anni. È un’ebrea ortodossa di 76 anni, condannata più volte per reati di ordine pubblico, milita da anni a sostegno della campagna per la creazione di nuovi insediamenti nella Cisgiordania occupata, prima nel movimento messianico dei coloni Gush Emunim, poi come responsabile del movimento Nahala.

“Questo è un posto speciale perché non siamo vicini a nessun altro insediamento esistente, siamo isolati. Questo inaugura una politica nuova: d’ora in poi, gli ebrei potranno stabilirsi su qualsiasi collina” in Cisgiordania.

La sua organizzazione non ha esitato a sfruttare la morte dell’israeliano diciannovenne, Yehuda Guetta, ucciso il 2 maggio da proiettili di un palestinese sparati all’incrocio in fondo alla strada che porta a Evyatar, per insediarsi poche ore dopo con la copertura del buio. Daniella Weiss racconta con calma che "L'esercito stava cercando gli assassini. Finché non li hanno trovati, non ci hanno impedito di costruire qui.”

I coloni hanno approfittato anche del vuoto politico, dato che dall'inizio di maggio, i colloqui per formare una coalizione contro Benyamin Netanyahu dopo le elezioni di marzo erano a un punto morto. Dopo che Hamas ha lanciato razzi su Gerusalemme Il 10 maggio, in risposta a un attacco delle forze di sicurezza israeliane sulla Spianata delle Moschee, lo stato ebraico ha intrapreso un'intensa campagna di bombardamenti a Gaza. Contemporaneamente, il paese è stato investito da scontri violenti tra ebrei e arabi nelle città "miste". Evyatar cresce in modo esponenziale, protetta dall'esercito.

L'insediamento diventa un punto di contrasto con la nascita della nuova coalizione del 13 giugno, formata da un'alleanza eterogenea che va da sinistra all'estrema destra, con l'appoggio di deputati arabi per la prima volta in Israele. Il partito di sinistra Meretz, che difende la cosiddetta "soluzione dei due stati", dice che Evyatar deve essere evacuato perché è illegale, mentre altri, compreso il partito del primo ministro Naftali Bennett, che favorisce l'annessione della Cisgiordania, stanno cercando di fare promesse ai loro elettori coloni.

Sono questi ultimi a prevalere, e dimostrano i limiti di questo "governo del cambiamento", battezzato in questo modo per distinguerlo dalla politica di Benyamin Netanyahu, almeno nei territori palestinesi occupati dal 1967. È "una decisione grave presa da un governo che non porta alcun cambiamento", ha denunciato Ahmed Tibi, parlamentare eletto dall'altra lista araba, all'opposizione, "è vergognoso, stiamo perpetuando un crimine di guerra e il furto della terra palestinese".

Dalla città palestinese di Beita, sulla collina di fronte, un piccolo gruppo seduto su sedie di plastica all'ombra, fissa le baracche bianche in lontananza. Nella strada sottostante bruciano due pneumatici e mandano un denso fumo nero verso l'insediamento. Quasi tutti qui sono stati feriti dall'esercito israeliano durante le manifestazioni quotidiane contro i coloni. Mohamed Hamayel si sta ristabilendo dopo essere stato colpito al collo a metà maggio da un soldato che si trovava "a nemmeno 20 metri da lui". Il 21enne palestinese ha avuto da allora difficoltà a muovere la spalla ed è stato in ospedale per cinque giorni. "Stanno facendo come vogliono, un minuto prima dicono 'ce ne andiamo', il minuto dopo 'non ce ne andiamo'. Compromesso o no, solo noi siamo i proprietari di questa terra".

Al centro del compromesso negoziato con il governo israeliano c'è la questione dello status della terra. I coloni sostengono che appartengono allo Stato e può quindi essere sequestrata. Per la ONG israeliana anti-colonizzazione, Peace Now, non è vero, la terra è proprietà privata. È quanto sostengono gli abitanti di Beita, che hanno comunque il diritto internazionale dalla loro parte. Abu Jarah, 67 anni, indica gli ulivi appena fuori Evyatar. "Questi campi sono miei, tra qualche mese sarà tempo del raccolto ma non potremo accedervi", racconta il proprietario di 12 ettari. Abbiamo i documenti che lo provano.”

Per ben tre volte gli abitanti di Beita avevano cercato di impedire la creazione di un insediamento sulle colline vicine. Jabal Sabih è un luogo strategico perché permette di accedere alla Cisgiordania settentrionale. In 67 giorni di manifestazioni, sono già caduti cinque "martiri", tra cui quattro di Beita, e più di mille sono stati feriti.

"L'esercito protegge i coloni"

"Chiunque arrivi al centro della collina viene colpito. L'esercito protegge i coloni”, afferma Mohamed Hamayel. Tutti dicono che a parte il lancio di pietre, le manifestazioni del venerdì, dopo le preghiere e ogni sera, quando il buio avvolge le colline, sono pacifiche. Durante il giorno, bruciano pneumatici, spargendo un fumo che soffoca i coloni. Di notte, puntano i laser negli occhi dei soldati. I palestinesi raccontano che l'esercito ha chiuso diversi ingressi alla città e ha fatto diversi arresti grazie all’identificazione di manifestanti tramite i video.

Al solo nominare l'Autorità palestinese, gli occhi si posano altrove. Lo stesso vale per la comunità internazionale. "Siamo soli, ma per fortuna siamo uniti. Nessuna organizzazione ci sostiene, nessun partito politico, nessun aiuto. A volte alcune persone vengono ad aiutarci, ma non sono abbastanza", dice Akram Dweikat, che è stato colpito ad entrambe le gambe ed è stato costretto a interrompere gli studi di ingegneria civile. Non sappiamo cosa succederà. Accanto a lui, è seduto Thaer Hamayel che spegne una sigaretta. Sta per compiere 40 anni ma sembra molto più vecchio. Ha perso suo fratello minore, Zakaria, 25 anni, colpito da un proiettile al cuore il 28 maggio. "Perché ci uccidono? Perché stiamo difendendo la nostra terra? afferma, lanciando lo sguardo indietro verso la collina. Vengo qui tutti i giorni. E’ mio dovere cacciarli”.

Per leggere l'articolo originale: En Cisjordanie, Bennett fait le jeu des colons

 

Il dilagare dello scandalo dei vaccini in Brasile provoca proteste
The New York Times, 4 luglio 2021

I colpi di scena sullo scandalo delle tangenti sui vaccini contro il coronavirus che ha scosso la capitale brasiliana sono stati degni di un reality show televisivo. La scena principale è stata la sala del Congresso, dove decine testimoni hanno fatto luce sulla risposta confusionaria data dal governo alla pandemia, che ha provocato la morte di oltre 520.000 persone nel paese. Ci sono state molte proteste, un po' pianti e una discreta quantità di affermazioni mentre veniva a galla la dimensione di uno schema spudorato portato avanti dai funzionari del ministero della salute per chiedere tangenti ai rivenditori di vaccini.

La rabbia ha spinto decine di migliaia di brasiliani a protestare sabato in diverse città. È stata la terza grande ondata di manifestazioni delle ultime settimane.  Gran parte degli aspetti dello scandalo, sui quali i procuratori federali stanno indagando, risultano poco chiari e controversi. Ma il fatto che l’indagine si stia allargando è tale da rappresentare una minaccia grande per la rielezione del presidente Jair Bolsonaro nelle elezioni del prossimo anno, e forse anche per la sua capacità di arrivare alla fine del suo mandato. Su richiesta della Corte Suprema, l’ufficio del procuratore generale ha aperto venerdì un’indagine sul ruolo avuto da Bolsonaro nella corruzione per l’acquisto dei vaccini.

il presidente brasiliano è indagato nell’ambito dell’accordo di 20 milioni di dosi di vaccini per non aver completato test clinici o ricevuto l’approvazione dei regolatori. È accusato di aver ignorato l’avvertimento sulle irregolarità presenti nell’accordo. In aggiunta, un gruppo di 100 deputati rappresentanti una rosa ampia di partiti politici ha presentato una bozza di impeachment all’inizio della settimana, nella quale sono descritti decine di reati presunti, che vanno dalle azioni svolte dal presidente per indebolire le istituzioni democratiche ai resoconti negligenti e illeciti che hanno ostacolato la campagna vaccinale del Brasile contro il Covid-19.

Per l’opposizione del Congresso, lo scandalo dei vaccini rischia di scatenare manifestazioni nelle strade come quelle che hanno portato alla cacciata della presidente Dilma Rousseff nel 2016. "Ogni reato commesso dal presidente è grave, ma questo è ancora più grave perché coinvolge le vite delle persone", ha affermato Joice Hasselmann, membro del Congresso di San Paolo che è stato tra i più feroci difensori di Bolsonaro fino a quando non hanno avuto un diverbio nel 2019. "Il Brasile non può sopportare un altro anno con Bolsonaro". Bolsonaro non ha negato che alti funzionari del suo governo possano aver agito illegalmente nei negoziati sui vaccini. Ma ha definito ingiusti i tentavi che gli attribuiscono atti illeciti. "Non ho modo di sapere cosa sta succedendo nei ministeri", ha detto ai sostenitori lunedì. "Non abbiamo fatto nulla di sbagliato". La rabbia di sabato per le ultime rivelazioni era palpabile, quando decine di migliaia di persone sono scese in strada contro il governo Bolsonaro per la terza volta. Nel centro di Rio de Janeiro, migliaia di persone hanno marciato al ritmo dei tamburi e hanno cantato "Fuori Bolsonaro!", mentre gli attivisti pronunciavano discorsi infuocati dai camion. Su un grande cartello di cartone tenuto da un uomo si leggeva: "Il popolo scende in piazza nel mezzo di una pandemia quando il governo è più pericoloso del virus". Amanda Machado, 45 anni, veterinaria, indossava un costume da triste mietitore con in mano una testa mozzata insanguinata con la faccia di Bolsonaro. "Questo è il mio desiderio", ha affermato, mentre mostrava l'oggetto sanguinante. Machado ha addossato a Bolsonaro la responsabilità della morte di colleghi, amici e parenti vittime del virus, mentre il presidente aveva minimizzato ripetutamente il rischio, seminato dubbi sui vaccini e promosso grandi manifestazioni. "Essere qui all’aperto è un rischio". "Ma non otteniamo nulla stando a casa", ha affermato Machada. Lo scandalo dei vaccini ha iniziato a nascere a giugno, quando i membri di una Commissione del Congresso, istituita in aprile, si sono insospettiti sui termini di un accordo da 316 milioni di dollari concluso dal governo per l’acquisto di 20 milioni di dosi del vaccino indiano Covaxin contro il Covid-19. L'acquisto del vaccino era anomalo perché il Brasile per mesi aveva ignorato le ripetute offerte di Pfizer, che aveva offerto subito milioni di dosi. L'approvazione precipitosa dell'accordo Covaxin era anche strana perché il vaccino non aveva ancora completato i test clinici e non era stato autorizzato dal regolatore sanitario del Brasile. Il prezzo era esageratamente più alto rispetto a quello annunciato dal produttore all'inizio di quest'anno. La vendita è stata mediata da un intermediario. Un parlamentare alleato di Bolsonaro, Luis Claudio Miranda, alla fine di giugno, ha indossato un giubbotto antiproiettile per offrire una testimonianza esplosiva al Congresso. Ha detto ai parlamentari che lui e suo fratello, Luis Ricardo Miranda, un funzionario del ministero della salute, a marzo hanno incontrato in privato Bolsonaro per mettere in guardia il presidente dalle irregolarità nell'accordo Covaxin. I parlamentari alla guida di un comitato speciale contro il Covid-19 hanno detto che non ci sono prove che Bolsonaro abbia chiesto alle forze dell'ordine di indagare sulle accuse. Giorni dopo, Luiz Paulo Dominguetti, dirigente di un’azienda di forniture mediche, ha raccontato al quotidiano Folha de São Paulo che il capo della logistica al ministero della sanità del paese, Roberto Ferreira Dias, avesse cercato di negoziare un accordo per acquistare i vaccini AstraZeneca a fronte di una tangente di 1 dollaro per dose. Dominguetti ha stupito i parlamentari affermando in un'udienza al Congresso che il parlamentare Miranda, che aveva spifferato l'accordo Covaxin, ha avuto un ruolo nel negoziare l'acquisto di AstraZeneca. Miranda ha negato di aver fatto qualcosa di illecito. Mentre aumentava la rabbia per le accuse, Bolsonaro ha licenziato Dias, il funzionario del ministero della salute, che ha negato di aver cercato tangenti. Il ministero ora cerca di tirarsi fuori dall’accordo Covaxin. Humberto Costa, senatore presente nel comitato speciale contro il Covid-19, ha detto che lo scandalo ha indebolito l'immagine politica onesta di Bolsonaro, che è stata fondamentale per la vittoria del dirigente di estrema destra nel 2018. "L'indagine sul Congresso ha compromesso seriamente l’immagine anti-corruzione del governo e del presidente", ha affermato Costa. Mentre il costo umano ed economico della pandemia devastava le famiglie brasiliane negli ultimi 15 mesi, i sondaggi mostrano che il sostegno a Bolsonaro si è ridotto drasticamente. Un sondaggio pubblicato alla fine del mese scorso dalla società di ricerca di opinione pubblica – Ipec - suggeriva che Bolsonaro sarebbe stato sconfitto dal suo principale rivale politico, l'ex presidente Luiz Inácio Lula da Silva, se si fossero tenute le elezioni presidenziali.  Guilherme Casarões, analista politico e professore alla Fondazione Getulio Vargas a San Paolo, ha detto che l’isolamento politico in aumento del presidente lo ha reso più rigido, piuttosto che conciliante. "Questo può lasciarlo in una situazione più velenosa" che potrebbe portare a una rottura con la democrazia, ha afferamto Casarões. "Ha già dato chiare indicazioni che non rispetta le istituzioni, dalla Corte Suprema al Congresso".

L’avvocato Danielle Oliveira di Rio de Janeiro ha detto di non essere scesa in piazza durante la pandemia per paura di prendere il virus, ma sabato ha deciso di unirsi alla folla dopo aver ricevuto la prima dose di vaccino. "L'impeachment a questo punto non è probabile", ha detto Oliveira, 47 anni, che alla manifestazione indossa due mascherine e uno schermo facciale. "Ma se rimaniamo nelle strade tutto questo potrebbe cambiare". Dato che aumenta il numero di parlamentari a sostegno dell’impeachment, il presidente ha iniziato a mettere in guardia dalle frodi nelle elezioni presidenziali del prossimo anno, previste per ottobre 2022. Bolsonaro ha suggerito, senza presentare prove, che il voto elettronico in Brasile può essere truccato facilmente, e che la sconfitta elettorale del prossimo anno sarebbe il risultato di una frode.  Bolsonaro si è opposto all’inchiesta del Congresso, chiamando "banditi" i parlamentari e dicendo che non ha senso parlare di impeachment. "Non ha senso provocarci, inventare cose, diffamarci, attaccarci 24 ore al giorno, perché non otterranno nulla", ha detto lo scorso fine settimana. "Solo Dio mi rimuoverà da Brasilia".

Per leggere l'articolo originale: Widening Vaccine Bribery Scandal Spurs Protests in Brazil

 

Rapporto sul “furto dei salari” nella catena di fornitori di Primark, Nike e H&M
The Guardian, 2 luglio 2021

I sostenitori della campagna dichiarano di avere elementi che comprovano il “furto dei salari” nelle catene di fornitura di Primark, Nike e H&M in un rapporto che spiega le conseguenze devastanti della pandemia sui lavoratori dell’abbigliamento in Indonesia, in Cambogia e in Bangladesh.

La ricerca condotta dalla Campagna Vestiti Puliti ha rilevato che, sebbene i grandi marchi non abbiano violato nessuna legge, non sono riusciti ad assicurare ai lavoratori una paga adeguata durante la pandemia.

Le interviste rivolte a decine di lavoratori dell’abbigliamento in Indonesia, in Cambogia e in Bangladesh hanno evidenziato che molti lavoratori hanno vissuto periodi nell’ultimo anno durante i quali non hanno ricevuto salari per intero. Dei 49 lavoratori intervistati, più della metà ha affermato di essere stato pagato meno rispetto al periodo precedente della pandemia.

La Campagna Vestiti Puliti ha affermato che i lavoratori hanno fatto fronte all’aumento degli obiettivi di produzione mentre la tendenza era fare licenziamenti di massa e non pagare gli straordinari.

I grandi marchi della moda a livello mondiale hanno cancellato nel 2020 miliardi di sterline di ordinativi di capi di abbigliamento chiesti alle aziende fornitrici mentre i confinamenti causati dal coronavirus chiudevano le strade rinomate in tutto il mondo.

Esiste un numero crescente di elementi di prove secondo cui il “furto dei salari” nei confronti di lavoratori pagati male si è verificato su scala significativa durante la pandemia, collegato a numerosi grandi marchi nel mondo. Secondo il rapporto di aprile del Consorzio per i diritti dei lavoratori si stima che il furto del trattamento di fine rapporto nelle catene di fornitura dei marchi e dei rivenditori a livello mondiale durante il Covid – 19, sia stato tra i 500 milioni e gli 850 milioni di dollari. L’autore principale del rapporto della Campagna Vestiti Puliti, Meg Lewis, ha affermato che “I grandi marchi hanno continuato a trarre profitti e potevano permettersi di pagare i lavoratori. Hanno il potere e la responsabilità di garantire che i lavoratori delle catene di fornitura siano pagati”. “I salari nel settore dell’abbigliamento sono già stati fissati a livelli di povertà, pertanto qualsiasi riduzione dei salari rappresenta un problema enorme nella vita dei lavoratori. I lavoratori non dovrebbero pagare per questa pandemia”.

Tutti i grandi marchi nominati nel rapporto hanno riconosciuto che la pandemia è stata devastante per l’industria mondiale della moda.

H&M e Nike hanno riferito che i lavoratori della catena di fornitura sono stati compensati secondo i requisiti legali locali. Primark ha affermato che considererà seriamente i risultati del rapporto e che accoglierà ogni elemento che comprovi l’esistenza di problemi legati ai salari nelle aziende fornitrici nominate nel rapporto.

Dopo aver sopportato perdite nella prima metà del 2020, la Nike, H&M e Primark sono ritornati a realizzare notevoli profitti. Nel novembre del 2020, il proprietario di Primark, l’Associated British Foods, ha registrato utili al lordo delle imposte per 914 milioni di sterline nel 2020. Il Gruppo H&M ha annunciato un utile operativo di 3.099 milioni di corone nel 2020, e un utile netto al 31 maggio del 2021 di 5.7 miliardi di dollari.

Per leggere l'articolo originale: ‘Wage theft’ in Primark, Nike and H&M supply chain – report