Il luogo di maggiore contesa dello scontro israeliano-palestinese è la "città santa", culla delle tre religioni ebraica, cristiana e musulmana. La decisione di conferire a Gerusalemme lo status giuridico internazionale sotto mandato Onu, nell’atto di formazione dello Stato di Israele (1947-1948), non è mai stata ritenuta valida dai governi israeliani che si sono succeduti da allora a oggi. L’obiettivo comune degli esecutivi è sempre stato quello di fare di Gerusalemme la capitale dello Stato di Israele. Alla formazione dello Stato, Gerusalemme si trova divisa in due aree: la parte Ovest abitata dalla popolazione ebraica, la parte Est abitata dalla popolazione palestinese e araba. La parte Est di Gerusalemme è stata sempre considerata dai palestinesi capitale dello stato di Palestina. Le due posizioni in contrasto hanno acuito le tensioni tra le popolazioni Est-Ovest della città, per la discriminazione nei confronti delle popolazioni a Est di Gerusalemme.

Fare di Gerusalemme la capitale dello Stato ebraico, allontanando i palestinesi, è stato il progetto di Netanyahu, la cui presidenza è durata ben 12 anni. A dargli manforte nell’annullamento dell’identità e della presenza palestinese è intervenuto il presidente statunitense Donald Trump, sostenendo il progetto di fare di Gerusalemme la capitale di Israele, decretando come legittimi gli insediamenti delle colonie israeliane sui territori palestinesi occupati e riconoscendo ufficialmente Gerusalemme come capitale dello Stato, dove trasferisce l’ambasciata Usa.

Il 10 maggio 2021 esplode l’ennesimo conflitto israeliano-palestinese. Il piccolo quartiere di Sheikh Jarrah, al confine tra la parte occidentale e orientale di Gerusalemme, è al centro delle tensioni che hanno portato al peggior conflitto tra Israele e Gaza dal 2014. Alla base dello scontro c'è la politica di espellere gli abitanti palestinesi da Gerusalemme Est, i quali la considerano capitale della Palestina. Scintilla dello scontro l'espulsione di famiglie palestinesi dalle proprie case e dal quartiere di Sheikh Jarrah, con la sostituzione di abitanti ebrei-israeliani. Questa volta il progetto provoca il rifiuto a oltranza della popolazione, che tenta di evitare lo sfratto con la mobilitazione di gruppi di giovani palestinesi e arabi, nei confronti dei quali interviene la polizia attaccandoli violentemente. Alle proteste dei giovani palestinesi aveva risposto il gruppo estremista Lehava, della destra israeliana, sfilando nel centro di Gerusalemme al grido di “A morte gli arabi” e attaccando passanti palestinesi. Le tensioni israeliano-palestinesi da Gerusalemme si estendono così alla Cisgiordania, a Gaza e nelle altre città del Paese.

Hamas, che detiene il potere sulla striscia di Gaza, sotto embargo israeliano, valuta la decisione di Netanyahu di procedere con gli sfratti come una strategia mirata a espellere i palestinesi da Gerusalemme Est. Per questi motivi chiede perentoriamente al governo israeliano il ritiro delle forze di polizia da Sheikh Jarrah. La richiesta di Hamas viene ignorata dal governo Netanyahu, e Hamas reagisce lanciando razzi contro Gerusalemme nel pomeriggio del 10 maggio. Netanyahu replica di "non tollerare attacchi al nostro territorio”, e immediatamente ordina centinaia di raid aerei a bombardare Gaza. Dopo 11 giorni di bombardamenti israeliani su Gaza e lanci di razzi di Hamas su Israele, lanci che raggiungono non solo città di confine come Ashkelon e Lod, ma anche Tel Aviv, il bilancio è tragico: Israele conta dieci vittime (di cui due sono immigrati, più un bambino ferito), mentre Gaza, semidistrutta dai bombardamenti, vede la morte di 230 palestinesi, in maggioranza civili, tra cui 70 bambini.

Cessate le armi, si assiste a un'inaspettata presa di posizione dei giovani israeliani per i quali il sistema di disuguaglianza e ingiustizia che si protrae da oltre 70 anni è intollerabile. La politica di Netanyahu viene rifiutata, come si evince da un messaggio diventato virale in rete: "Not In Our Name". È un’apertura, un riconoscimento verso i giovani palestinesi e un rifiuto delle politiche e delle violenze di Netanyahu .Le giovani generazioni palestinesi della Cisgiordania, chiuse nelle isole murate, in conclave separate, incomunicabili, per lo più politicamente apartitiche, sono quelle che hanno acceso le proteste contro gli sfratti. Il comportamento dei giovani israeliani e dei giovani palestinesi adombra la possibilità di un futuro in cui possano incontrarsi e dialogare, costruendo un futuro di pace e riconoscimento reciproco.