Liberata l’attivista saudita per i diritti delle donne Loujain Al Hathloul

The Guardian, 11 febbraio 2021

L’attivista è stata detenuta per 1.001 giorni sulla base di accuse politicamente motivate

L’importante dissidente saudita e attivista per i diritti delle donne, Loujain al-Hathloul, è stata liberata dopo 1.001 giorni di detenzione. Hathloul ha ottenuto la libertà vigilata dal giudice di Ryad mercoledì pomeriggio, dopo una campagna organizzata dai suoi parenti e dalle organizzazioni per i diritti umani. In serata, sua sorella Lina ha pubblicato su Twitter una foto di Loujain sorridente. È la prima immagine della prigioniera politica più famosa del Regno saudita da quando è stata arrestata quasi tre anni fa. La foto è accompagnata dalla frase: Loujan è a casa!!!!!!”

L’altra sorella, di nome Alia, ha scritto in post pubblicato separatamente che Hathloul è a casa dei genitori in Arabia Saudita, aggiungendo “questo è il giorno più bello della mia vita”. È chiaro che la libertà condizionata di Hathloul le impedisce di parlare del calvario subito in prigione. Le è vietato lasciare l’Arabia Saudita, e se infrangerà i termini della sua liberazione incorrerà nella sospensione condizionale della pena.

Hathloul ha 31 anni. È stata una delle principali attiviste per i diritti delle donne in Arabia Saudita prima del cambiamento della legge alla fine del 2017. Gli appelli della sua famiglia per la sua liberazione sono stati sostenuti continuamente dalle organizzazioni per i diritti umani e dai governi di altri paesi.

Nonostante gli appelli, nel dicembre dello scorso anno è stata condannata a cinque anni e otto mesi di prigione con l’accusa di portare avanti un’agenda straniera e di utilizzare Internet per turbare l’ordine pubblico. La sentenza ha raggelato le speranze di una liberazione imminente e ha intensificato le critiche all’erede al trono saudita, il principe ereditario Mohammed bin Salman, che è stato il promotore di cambiamenti sociali diffusi nel Regno saudita, come anche di una repressione spietata del dissenso.

Hathloul ha iniziato lo sciopero della fame in segno di protesta contro la sua detenzione e si è unita ad altre attiviste nel raccontare ai giudici sauditi di essere stata torturata e aggredita sessualmente da uomini mascherati durante gli interrogatori. Le donne raccontano di essere state frustate, sottoposte a elettroshock e alla tortura del waterboarding. Alcune donne raccontano di aver subito molestie sessuali e minacciate di stupro. I genitori di Hathloul hanno raccontato di aver visto dei lividi quando le hanno fatto visita in prigione.

La sua famiglia ha riferito che la Corte di appello ha respinto, martedì, le accuse di tortura. Durante la sua prigionia, Hathloul è diventata il simbolo per i democratici negli Stati Uniti e il suo caso è stato sostenuto da Joe Biden durante la campagna presidenziale. Si pensa che la liberazione dell’attivista sia in parte collegata alla vittoria elettorale di Biden.

Biden, a differenza del suo predecessore, Donald Trump, che aveva sostenuto completamente il principe ereditario Mohammed senza mostrare alcun interesse per le questioni dei diritti umani nel Regno saudita, ha mostrato un atteggiamento più freddo nei confronti di Riyad, promettendo che riesaminerà il partenariato USA e Regno saudita in difesa dei diritti umani e dei principi democratici.

La situazione dei diritti umani in Arabia Saudita è stata sottoposta ad un controllo continuo nel mondo in seguito all’omicidio del giornalista saudita Khashoggi per mano di una squadra di assassini sauditi. Le Nazioni Unite hanno rivelato nel loro rapporto doloroso che ci sono “prove credibili” che il principe ereditario Mohammed ed altri alti funzionari siano i responsabili dell’uccisione dell’editorialista del Washington Post, accusa che il principe ereditario nega.

Per il vicedirettore del dipartimento per il Medio Oriente dell’organizzazione Human Rights Watch, “La detenzione di Louiain è finita, ma non è libera”, “Le è vietato viaggiare e pende su di lei una sentenza che la costringe al silenzio. Il dramma di Loujain è un flagrante errore giudiziario.

La portavoce di Grant Liberty, Lucy Rae, che si batte per i diritti dei prigionieri in Arabia Saudita, ha affermato: “Loujain Al Hathloul esca da prigione da eroina, brutalizzata dal regime, ma non piegata. Il suo coraggio è fonte di ispirazione per tutti noi. Lei non è sola, la comunità internazionale non deve compiere l’errore di pensare che la sua liberazione segni la fine dell’oppressione di coloro che difendono i diritti umani in Arabia Saudita. “La comunità internazionale non deve mollare. Oggi, oltre a Loujain, ci sono molte altre donne in carcere perché hanno lottato per i diritti umani in Arabia Saudita. Devono essere liberate senza condizioni. Nient’altro.”

Diverse altre attiviste si trovano nelle carceri dell’Arabia Saudita, dopo essere cadute nella repressione politica per aver chiesto che fosse concesso il diritto di guidare. Allora, gli alti funzionari sauditi temevano che le campagne pubbliche organizzate da donne importanti creassero l’impressione che la modifica della legge dipendesse dalla pressione esercitata dalle attiviste, piuttosto che dall’iniziativa dei governati del Regno saudita.

Un funzionario del Regno che conosce il modo di pensare del governo, ha affermato: “E’ iniziato con uno schiaffo sul polso, ma si è esteso, perché le parti si sono indignate”. “La situazione è diventata dannosa e cercavano da tempo una via di uscita”. Un ambasciatore europeo ha riferito al Guardian che la liberazione di Hathloul era vicina più di un anno fa, ma i suoi avvocati non erano disposti a firmare un accordo che le avrebbe impedito di raccontare il suo dramma.

Lina ha raccontato al Guardian della sorella imprigionata alla fine dello scorso anno: “E’ incredibile quanto sia forte e resistente. Dopo due anni e mezzo non rinuncia a una vera giustizia. Ha ancora la forza di raccontare tutto ai miei genitori, anche se sa che le autorità potrebbero reagire. “Ci siamo sempre molto preoccupati quando non ci telefonava, perché l’unica cosa che sapevamo (delle comunicazioni interrotte) era quando veniva torturata o quando faceva lo sciopero della fame”.

Per leggere l'articolo originale: Saudi women's rights activist Loujain al-Hathloul released from prison

 

Emergono le carenze del settore tessile in Marocco

El Pais, 10 febbraio 2021

La morte di 28 lavoratori folgorati in un laboratorio nel seminterrato di Tangeri evidenzia la mancanza di sicurezza nel settore tessile

Davanti alla porta del laboratorio tessile di Tangeri, dove lunedì sono morte 28 persone, il giorno dopo diversi funzionari cercano di indagare su quanto accaduto, mentre decine di persone curiose osservano sotto la pioggia. Il seminterrato si è allagato in seguito alle piogge torrenziali della notte e la maggior parte dei lavoratori è morta sul posto. I corpi senza vita sono stati trasportati nelle loro città di origine, tra questi i corpi di quattro sorelle di Fez. In una strada di case residenziali, che si trova a 15 minuti dal centro della città, c’è ancora fango. Le domande a cui bisogna rispondere sono diverse: si trattava davvero di un laboratorio illegale come hanno sostenuto le autorità? E se lo era, come è stato possibile? Il vestiario prodotto dove andava?

I mezzi di comunicazione locali spiegano, citando fonti ufficiali, che le vittime sono state folgorate a causa di un corto circuito. Altri fonti spiegano che la corrente elettrica è stata interrotta e che i lavoratori sono morti annegati. Qualunque sia la causa, è certo che mancavano le misure di sicurezza necessarie.

Adil Defouf, 38 anni, imprenditore tessile, proprietario dell’azienda Novaco, che dà lavoro a 600 persone, ed è membro dell’Associazione dell’Industria Tessile e dell’abbigliamento in Marocco, afferma: “L’attenzione è rivolta all’imprenditore, che in questo momento è in ospedale. Non lo conosco, ma mi hanno riferito che aveva chiuso i locali a causa della pandemia e che doveva pagare l’affitto del laboratorio che aveva appena riaperto. Il problema non riguarda il laboratorio, ma le infrastrutture disastrose igienico-sanitarie della città. L’azienda non investe nelle infrastrutture e le autorità ispettive non fanno i controlli”.

Secondo Defouf, “il laboratorio non era illegale, non era un’azienda fantasma. Mostra l’iscrizione dell’azienda nel registro del commercio, dove compare dal 2017 con il nome A&M Confection, e il nome del direttore, Adil Al Boullaili. Si domanda se il ministero abbia visitato il laboratorio e avvertito circa il mancato rispetto delle condizioni di lavoro. I lavoratori non erano sfruttati, come la gente racconta, perché nessuno viene a lavorare se non si paga il salario minimo, che è di 300 euro al mese, e con i bonus può arrivare a 350 euro. La gente entrava e usciva dal laboratorio. Inoltre, le attrezzature avevano bisogno di un carico elettrico industriale”, afferma l’imprenditore, che aggiunge: “Chi gli garantisce quel carico elettrico? Fuori dal mio laboratorio c’è una guardia, in strada e nel quartiere ci sono ancora guardie, che a loro volta hanno un superiore. Ogni giorno si vede entrare ed uscire molta gente.”. Defouf accusa: “Il sindaco di Tangeri (Bachir Abdellaui) e il ministro del Lavoro (Mohamed Amekraz) dovrebbero dimettersi”.

La versione fornita dal presidente dell’associazione Attawassul, Buker Al Khamil, di Tangeri, è molto diversa dall’imprenditore: “Abbiamo esaminato questi laboratori a Tangeri per anni. Sappiamo che le condizioni di sicurezza sono pessime. Come è possibile che 50 persone lavorino in un laboratorio di un seminterrato senza ventilazione, senza uscite di sicurezza e senza finestre?”

Pressioni e minacce

L’organizzazione Attawassul e l’associazione Setem, con sede in Catalogna, hanno condotto un sondaggio sul settore tessile di Tangeri, intervistando 132 lavoratori, in maggioranza donne.

Il 36% delle intervistate ha riferito non essere iscritta alla previdenza sociale, il 56% ha detto di riceve un salario inferiore al salario minimo, e tre intervistate su quattro hanno detto di sentirsi molto spesso spossate. Infine, il 40% ha riferito che c'era violenza verbale nell'azienda e il 70% ha detto di aver subito pressioni e minacce sul lavoro. Al momento, nessuno sa dove siano finiti i vestiti prodotti nel seminterrato del laboratorio. Denisse Dahuabe, membro di Setem, e Bouker el Khamil, credono che il destinatario dei prodotti finiti fosse una grande multinazionale. Ma ammettono di non avere ancora prove per dimostrarlo. Dahuabe afferma: "Denunciamo da molti anni l'ombra della catena di fornitura di queste multinazionali, che hanno un modo molto sottile di sfuggire dalla loro responsabilità". L’imprenditore Defouf crede che il laboratorio nel seminterrato abbia lavorato per qualche grande azienda: "Ci sono laboratori che hanno la capacità di produrre solo 3.000 pantaloni la settimana. Allora come è possibile che alcuni laboratori producano 15.000 pantaloni? Da dove li prendono? Beh, sicuramente usano questi scantinati come punto di appoggio.  Ci sono grandi aziende che controllano la produzione ogni giorno, mattina e sera. Ma non tutte i marchi eseguono questo lavoro di supervisione. L'attivista Dahuabe sostiene che le condizioni di lavoro sono diventate ancora più "degradanti" con le migliaia di licenziamenti causati dalla pandemia. "E la responsabilità delle condizioni del laboratorio deve ricadere prima di tutto sul proprietario del negozio. E alla fine sull’azienda che ha creato la domanda”.

Per leggere l'articolo originale: Las lagunas del textil marroquí salen a la luz


I manifestanti nel Myanmar rischiano di esacerbare la repressione per sfidare il colpo di stato

The New York Times, 8 febbraio 2021

La gente ha marciato lungo la cittadina di Monywa, nel cuore del Myanmar, situata sulla costa orientale, e lungo la cittadina di Mawlamyine, sulla costa occidentale, per chiedere la fine del governo militare. Non si sono dispersi nella città del casinò di Myawaddy, anche quando la polizia ha aperto il fuoco come avvertimento. Nella divisione Sgaing, ai piedi dell'Himalaya, un uomo del gruppo etnico Naga indossava una pelliccia decorata con piume di bucero e zanne di cinghiale e ha alzato il braccio in saluto di sfida. Nella città grande del paese, Yangon, colonne di manifestanti vestiti di rosso si sono diretti verso Sule Pagoda.

È passata quasi una settimana da quando i generali hanno organizzato il colpo di stato, arrestando i leader della società civile e catapultando Myanmar nuovamente sotto il dominio dell'esercito, e la gente protesta. Centinaia di migliaia di manifestanti hanno marciato, durante il fine settimana, nei villaggi e nelle città di tutto il paese. Hanno con sé palloncini e nastri rossi, la bandiera decorata con una stella bianca e un pavone dorato della Lega Nazionale per la Democrazia. Ancora una volta, cantano all'unisono per la libertà di Daw Aung San Suu Kyi, la dirigente che ha passato 15 anni agli arresti domiciliari durante il regime militare che dura da 50 anni.

Per cinque anni, la Lega Nazionale per la Democrazia di Aung San Suu Kyi ha guidato un governo civile con mandati decisivi dall'elettorato, anche se i militari sono rimasti al potere. Il colpo di stato dell'esercito del 1° febbraio ha posto fine all'illusione di condivisione del potere. I militari hanno affrontato in passato manifestazioni come queste con le armi, sparando sui monaci buddisti, sui manifestanti e sugli studenti. La risposta dei militari ha già provocato decine di arresti e l'interruzione delle telecomunicazioni che ricordano i giorni dell'isolamento sotto il governo della giunta. Ma il ricordo dei massacri dei manifestanti in favore della democrazia perpetrati dall'esercito nel 2007 non hanno fermato le marce che si sono riversate nelle strade durante il fine settimana. 

Ko Nyi Zaw, ha partecipato alla protesta domenica e ha detto: “Non importa se sparano perché siamo sotto un regime militare, la nostre non è comunque vita”. “Dobbiamo protestare prima di morire del tutto”.

Anche nella capitale di Naypyidaw, costruita dai generali all'inizio di questo secolo, centinaia di motociclette hanno percorso viali vuoti, sventolando la bandiera della Lega Nazionale per la Democrazia. Nei campi profughi del Bangladesh, dove si riparano circa un milione di musulmani Rohingya fuggiti ai massacri dell'esercito nel Myanmar, la gente si è unita alla richiesta di ritornare al governo civile, anche se Aung San Suu Kyi ha difeso i militari dalle accuse di genocidio dei giudici internazionali.

Abdur Rahim, fuggito dal Myanmar per riparare nel campo di Kutupalong in Bangladesh, l'insediamento più grande di rifugiati al mondo, ha detto: “Hanno ucciso i Rohingya, ci hanno torturato, non abbiamo dimenticato la brutalità di quei giorni”. “Siamo solidali con coloro che protestano contro il governo militare nel Myanmar”.

L'accesso a Internet nel Myanmar è stato disattivato sabato, proprio come durante il colpo di stato, ma è stato ripristinato dopo un giorno. Nessuno sa quando ci sarà un'altra interruzione nel paese. I manifestanti hanno postato nelle ore di accesso a Internet dirette video su Facebook.

Decine di milioni di persone hanno espresso il loro sostegno online, con cuori e “like” ad ogni manifestazione di sfida nella città. Sabato sera, un rumore nell'aria sembrava essere uno sparo, per poi essersi rivelato solo un petardo, perché si è diffusa la voce della liberazione di Aung San Suu Kyi e la gente ha utilizzato petardi per la gioia e ha cantato inni di protesta. Ma si è trattata solo di una voce. Domenica, alcuni manifestanti hanno detto che i militari hanno diffuso notizie false sulla liberazione di Daw Aung San Suu Kyi per non far riversare le persone nelle strade.

L'ambasciata statunitense in Myanmar ha postato, nel fine settimana, un Twitter dove ha sostenuto “il diritto del popolo del Myanmar a protestare a sostegno del governo democraticamente eletto e al diritto al libero accesso all'informazione.” In un secondo tweet: “Ribadiamo i nostri appelli ai militari affinché lascino il potere, sia ripristinato il governo democraticamente eletto, siano rilasciati i detenuti, eliminata ogni restrizione alle telecomunicazioni e l'uso della violenza”.

Le proteste tenute nelle strade di Yangon, domenica, sono state avvertire come una festa enorme, una liberazione dalla pressione psicologica del colpo di stato, ed anche un momento per ignorare la pandemia del coronavirus nel primo assembramento dopo mesi. Ma lo spettro dei militari continua ad essere minaccioso. I medici hanno mantenuto alta la guardia, nel timore di quello che poteva accadere. La gente ha monitorato gli spostamenti dei militari dalle basi militari, nel caso in cui fossero avvistati soldati dirigersi verso le proteste. I manifestanti hanno dato agli agenti di polizia in tenuta antisommossa cibo, acqua e rose rosse in segno di pace. Alcuni si sono inginocchiati in segno di rispetto.

I funzionari del Partito della Lega Nazionale per la Democrazia hanno chiesto alla gente di non scendere nelle strade, ma hanno sollecitato la campagna di disobbedienza civile, che è aumentata con il passare dei giorni. U Aung Kyaw Thu, anziano membro del partito, sopravvissuto alla sanguinosa repressione militare del 1988, ha affermato che i ricordi di quel massacro sono ancora vivi: “Voglio che la genti resti a casa perché non essendo in grado di trattenere le proprie emozioni, potrebbero contribuire ad aumentare la tensione e le vittime”. “Spareranno e ho paura per la gente”.

Per leggere l'articolo originale: Protesters Across Myanmar Risk Crackdown to Defy Coup

 

La pandemia potrebbe minare i progressi fragili raggiunti in Africa

The Economist, 6 febbraio 2021

Negli anni che hanno preceduto la comparsa del Covid-19, gli africani del sub Sahara non solo erano i più giovani al mondo, con un’età media inferiore ai 20 anni, ma erano anche tra i più ottimisti. Il 12% dei giapponesi intervistato dai sondaggisti crede che la propria vita sarebbe stata migliore nei 15 anni successivi, rispetto al 78% dei kenioti. I nigeriani ed i senegalesi erano ancora più ottimisti.

La pandemia ha reso più difficile la possibilità di essere solari. Quando è apparso per la prima volta il Covid-19, molti esperti hanno pensato che agli africani sarebbe stato risparmiato il peggio, perché molti sono giovani o perché lavorano la terra (e per questo sarebbero stati interessati di meno dai lockdown). Eppure, ora sembra che il virus lascerà cicatrici più durature nel tempo in Africa che in qualsiasi altro posto.

Mentre i paesi ricchi possono sperare in una ripresa economica rapida mentre vaccinano le loro popolazioni, l’Africa è lontana dal poter vaccinare in modo sufficiente e raggiungere l’immunità generale. Il Fondo Monetario Internazionale prevede che la regione registrerà la crescita più lenta. Inoltre, le ondate ripetute di infezioni interromperanno l’istruzione di milioni di allievi, mettendo a rischio le tendenze educative e demografiche che sono le ragioni migliori per avere speranza in Africa.

L’ottimismo per l’Africa ha avuto inizio prima della comparsa della pandemia, con un lungo boom delle materie prime negli anni fino al 2014, che ha alimentato una crescita economica rapida. La percentuale di africani estremamente povera è diminuita, passando dal 56% nel 2003 al 40% nel 2018. Molti bambini hanno iniziato ad andare a scuola. Ad esempio, in Etiopia, quasi tutti i bambini sono risultati iscritti alla scuola elementare in periodo di pandemia, rispetto al 65% del 2003. I bambini con un’istruzione più alta guadagnano di più da adulti. Nel caso delle bambine, queste tendono ad avere famiglie più ristrette e compiono sforzi maggiori per educare i loro figli. La transizione demografica dell’Africa ha promesso prosperità per il futuro.

Durante la prima ondata di Covid-19, l’Africa è sembrata resistere bene. Il Pil dell’Africa sub Sahaiana è diminuito del 2.6% nel 2020, rispetto al 3.5% nel mondo. 11 dei 24 paesi che hanno registrato la crescita economica appartengono all’Africa sub Sahariana. Anche le statistiche ufficiali sul Covid – 19 sembrano buone, con il 3% di contagi e decessi rispetto al 14% della popolazione mondiale. Tuttavia, queste statistiche di sicuro ingannano. Sono pochi i paesi africani ad aver realizzato abbastanza test per avere un’idea reale dei casi di contagio e ad aver superato una piccola parte dei decessi. Se si prende come guida il Sud Africa, che realizza molti test, i casi di contagio e di decessi nel resto dell’Africa sarebbero molto più alti di quelli riferiti.

Probabilmente il danno maggiore non proviene dall'impatto immediato della pandemia, ma piuttosto dalle sue conseguenze collaterali sull’economia, sulle famiglie e sulle società. Si pensi alle economie africane. La crescita era già lenta prima della pandemia. Considerato che la popolazione della regione cresce ad un ritmo del 2,7% l'anno, circa il doppio a quello dell'Asia, l'Africa ha bisogno di almeno altrettanta espansione economica solo per restare ferma. Eppure, il Pil dal 2016 non ha tenuto il passo con la crescita della popolazione.

Inoltre, i governi sono entrati nella crisi con bilanci sotto pressione. Alla fine del 2019, il debito pubblico era del 62% in rapporto al Pil. Nel 2020 il rapporto debito/Pil è passato al 70%. I paesi ricchi possono contrarre prestiti a buon mercato e pagare i cittadini per restare a casa: hanno speso in media più del 7% del Pil per attutire il trauma del Covid-19. I governi africani hanno speso solo il 3% del Pil, ed anche questo è stato pesante. 46 paesi hanno introdotto sussidi per l’assistenza sociale, ma non hanno impedito a 32 milioni di persone di cadere in condizioni di povertà estrema. Inoltre, molti governi africani potrebbero ridurre la spesa per le infrastrutture per evitare la crisi del debito. Questo ostacolerà la crescita. Senza porti, strade ed energia elettrica migliore, l'Africa trarrà meno benefici da un accordo di libero scambio continentale entrato in vigore il mese scorso.

Purtroppo, l'Africa è in coda per ricevere vaccini. L'Economist Intelligence Unit prevede che la regione lotterà per ottenere le dosi sufficienti che le permetteranno di raggiungere l'immunità di gregge prima del 2024. Mentre gran parte del resto del mondo torna a lavorare, a viaggiare e a divertirsi, l'Africa potrebbe scoprire che il Covid-19 ha, in realtà, un carattere endemico. I visitatori e i turisti che contribuiscono a creare il 9% del Pil staranno lontani. I lockdown e i coprifuochi strozzeranno mercati e bar. La cosa più preoccupante è che le scuole potrebbero chiudere nuovamente.

Le classi delle scuole dell'Africa subsahariana sono state completamente o parzialmente chiuse per 23 settimane, al di sopra della media globale. Dato che la metà degli africani è senza elettricità, per non parlare che non ha computer portatili e Wi-Fi, l'apprendimento da remoto è difficile. Una valutazione della Banca Mondiale suggerisce che le classi abbandonate costeranno quasi 500 miliardi di dollari di guadagni futuri, equivalenti a 7.000 dollari per bambino. Questa è una somma enorme in una parte del mondo in cui il PIL medio pro-capite è inferiore a 1.600 dollari l'anno.

Il fatto che molti bambini, soprattutto ragazze, non prenderanno mai più in mano i loro libri peggiora la situazione. Molti diventeranno bambini lavoratori o spose bambine. Ad esempio, nella zona costiera del Kenya, solo 388 su 946 studentesse rimaste incinte durante la chiusura della scuola dello scorso anno hanno ripreso gli studi. È troppo presto per sapere quante ragazze abbandoneranno gli studi per sempre, ma se lo fanno in gran numero, la transizione demografica dell'Africa potrebbe essere a rischio. In generale, coloro che non hanno un’istruzione continuano ad avere sei o più figli. Il numero scende a circa quattro per le donne che terminano la scuola elementare e due per la scuola secondaria.

Devono accadere urgentemente due cose perché si possa attenuare il disastro indotto dal Covid in Africa. Innanzitutto, le persone devono essere vaccinate più rapidamente rispetto ai piani attuali. La diffidenza di molti governi africani nei confronti dei costi dei vaccini li ha indotti a rallentare l’ordine dei vaccini. Tuttavia, è probabile che i vantaggi derivanti dalla spesa per i vaccini siano di gran lunga superiori rispetto a qualsiasi altra cosa. L'approvazione di nuovi vaccini promette di aiutare ad alleviare la mancanza di vaccini a livello globale. I paesi ricchi, che hanno ordinato più vaccini del necessario, dovrebbero donare le scorte e il denaro in eccesso al programma per l’accesso globale al vaccino anti Covid- 19, il Covax.

Anche se i vaccini dovessero arrivare presto, i ministeri africani del Tesoro avrebbero ancora bisogno di aiuto per evitare che le crisi del debito si estendano e che i tagli alla spesa strozzino la crescita. I finanziatori come la Banca Mondiale e il Fmi dovrebbero offrire prestiti più economici e sostenere le proposte della Banca Africana di Sviluppo e di altre istituzioni per prendere più capitali privati.

Le grida di aiuto dell'Africa, sotto forma di vaccini o prestiti, rischiano di perdersi nella confusione di una crisi veramente globale. Ma la fragilità delle economie e delle società africane è la ragione per agire rapidamente, così come è nell'interesse degli estranei fornire aiuti, considerato che finché il virus è in circolazione da qualche parte, può mutare e diffondersi ovunque.

Per leggere l'articolo originale: The pandemic could undercut Africa’s precarious progress

 

Colpo ad Amazon: i magazzinieri dell'Alabama danno il via al voto per eleggere la rappresentanza sindacale
The Guardian, 5 febbraio 2021

La Commissione Nazionale per le Relazioni Industriali degli Stati Uniti nega che Amazon abbia tentato di ritardare le elezioni sindacali e afferma che il voto può essere realizzato mediante posta.

L'agenzia per le relazioni industriali ha affermato, venerdì, che i magazzinieri di Amazon dell'Alabama potranno tenere le elezioni sindacali via posta. È un brutto colpo per gli intensi tentativi antisindacali organizzati dal gigante della vendita online. La Commissione nazionale per le relazioni industriali ha stabilito che le schede elettorali dei lavoratori presso il centro di smistamento di Bessemer nello stato dell'Alabama, situato fuori Birmingham, potranno essere spedite entro l'8 febbraio dopo che Amazon ha sollevato obiezioni alle modalità di voto che si tiene via posta.

Il voto via posta è diventato comune durante la pandemia. Ma in un appello rivolto alla Commissione, gli avvocati di Amazon hanno sostenuto che le elezioni via posta richiedono troppo tempo e troppe risorse. Amazon ha proposto nel mese di gennaio che le elezioni si tenessero di persona per una durata di quattro giorni nel parcheggio del centro di smistamento, anche se l'Alabama registra quotidianamente 2.000 nuovi casi di contagio. Venerdì (5 febbraio), la Commissione ha dichiarato in una decisione breve che l'azienda “non solleva problemi sostanziali da giustificare la revisione” e nega il tentativo di Amazon di ritardare le elezioni.

8.500 lavoratori dovrebbero ricevere le schede elettorali per eleggere la rappresentanza sindacale. Il sindacato di settore, Wholesale and Department Store Union, Rwdsu, sta organizzando la sindacalizzazione e rappresenterà i lavoratori nel caso dovessero eleggerlo. L'attività commerciale di Amazon ha prosperato durante la pandemia, ma l'azienda è stata criticata per la mancata attuazione di misure di sicurezza nel magazzino mentre il virus infuriava. I tentativi di sindacalizzare i magazzinieri sono apparsi nei centri di smistamento del paese, ma la spinta alla sindacalizzazione nell'Alabama è ad oggi la più riuscita. Se i lavoratori voteranno per creare il sindacato, si costituirà il primo sindacato dei magazzinieri nell'azienda di Amazon.

In vista del voto sindacale, Amazon ha lanciato una campagna volta a scoraggiare fortemente i lavoratori dall'eleggere un sindacato. L'azienda ha creato un sito web antisindacale e inviato ai lavoratori dei testi nei quali affermava che la sindacalizzazione significa “rinunciare al diritto di parlare per sé” e che il sindacato avrebbe preso “il vostro danaro in cambio di niente”. Ancora una volta, i lavoratori di Amazon hanno vinto un'altra battaglia nel tentativo di veder riconosciuta l'espressione sindacale”, ha affermato il presidente del sindacato di settore, Stuart Appelbaum, in una dichiarazione rilasciata dopo la decisione della Commissione. “Le elezioni che si tengono oggi dimostrano che è oramai tempo che Amazon inizi a rispettare i suoi dipendenti, e permetta loro di organizzare le elezioni senza intimidazione e interferenza”.

Per leggere l'articolo originale: Blow to Amazon as Alabama warehouse workers given go-ahead for union vote