I 25 Stati membri valutano il piano per la ripresa europea 
Le Monde 20 giugno 2020
"Le divisioni nel Consiglio europeo di venerdì sono profonde, ma si spera in un accordo entro la fine di luglio"

Venerdì 19 giugno, i Capi di stato e di governo europei discuteranno in videoconferenza il piano della Commissione europea, che prevede di prendere in prestito 750 miliardi di euro e di ridistribuirne 500 miliardi di euro sotto forma di concessioni ai paesi più colpiti dalla pandemia del Covid-19. Nessuno immagina in questa fase di trovare un accordo, date le novità di questo progetto che rendono l’Europa più federale e più solidale. Anche se in questi ultimi giorni le posizioni si sono avvicinate, ci sono troppi temi sui quali i 27 Stati membri non sono ancora d’accordo.

Per l’Eliseo la videoconferenza sarà “un giro di riscaldamento” che permetterà a ciascuno di esprimere la propria opinione. I negoziati più seri ci saranno a luglio, quando i Capi di stato e di governo si incontreranno da vicino dopo tre mesi di incontri virtuali. “L’idea è che lo scambio di opinioni non degeneri”, continua il diplomatico: “Sarà un successo se riusciremo a delimitare i temi del dibattito”. Non si tratta di ripetere lo psicodramma del vertice del 26 marzo, quando la discussione tra l’Italia e i Paesi Bassi, e più in generale tra il sud e il nord dell’Unione europea, ha risvegliato ricordi dolorosi della crisi della zona euro di dieci anni fa e di un’Europa divisa.

Le linee di frattura che oggi attraversano l’Unione europea sono in realtà meno nette di quanto possano sembrare, perché il muro radicale della Germania, oramai favorevole all’emissione di un debito comune per finanziare un trasferimento cospicuo ai paesi più in difficoltà, ha cambiato le carte delle alleanze abitualmente all’opera in Europa. Il presidente Emmanuel Macron e la cancelliera Angela Merkel, insieme, hanno contribuito largamente a far emergere oggi la proposta presentata dalla Commissione. Come spiega il segretario di stato francese per gli affari europei, si tratta di uscire “dalla logica dei blocchi”, del “Nord contro il Sud” oppure degli Stati “frugali” contribuenti netti contro i beneficiari”.

Un diplomatico di uno dei quattro Stati “frugali” (Austria, Paesi Bassi, Svezia, Danimarca,) legati dal gusto per la disciplina di bilancio, ammette: “Il cambio di marcia della Merkel ci ha sorpreso molto. Ma è chiaro che l’accordo tra Parigi e Berlino cambia la dinamica dei fatti”. Infatti, questi paesi oggi non contestano più il principio del debito mutualizzato, verso cui erano stati, come la Germania, molto ostili appena un mese fa. Gli stati frugali vogliono che il debito mutualizzato sia utilizzato per contrarre prestiti, e non per offrire, danaro a paesi come l’Italia o la Spagna, la cui gestione dei conti pubblici non è, secondo il loro punto di vista, tra le più virtuose.

Come ha sintetizzato il presidente del Consiglio, Charles Michel, nella lettera inviata ai Capi di stato e di governo il 16 giugno, “emerge un consenso” sulla necessità di un massiccio piano per la ripresa economica finanziato dal debito comune. Ed è già un risultato. L’Eliseo osserva che “Venerdì, gli stati “frugali” presenteranno un fronte unito. Ma in realtà, dietro a questo club, c’è un’effettiva costruzione di un complesso di attività. Il fatto che il governo di Vienna, L’Aia, Stoccolma o Copenaghen spesso sono governi di minoranza o di coalizione, lascia loro uno spazio per negoziare. Inoltre, gli stati “frugali” non esprimono la stessa convinzione. Tra i Paesi Bassi, che fanno la parte dura, e la Danimarca, che mostra segni di apertura, le posizioni divergono. “La sola cosa che li unisce è che vogliono mantenere lo sconto sul contributo che danno al bilancio europeo”. La Francia, che ha chiesto di porre fine a questa prassi, e al fatto che è venuto meno il contributo britannico a causa della Brexit, ora è pronta a negoziare, anche perché la Germania si batte per il mantenimento degli sconti…

Gli stati “frugali” condividono almeno un altro obiettivo: la certezza che i fondi dati dalla Commissione saranno usati “con saggezza”, come è stato scritto sul Financial Times. Il piano per la ripresa europea prevede di condizionare il pagamento degli aiuti alle quote, che dovranno servire a modernizzare le economie che ne beneficeranno e ad accelerare la loro transizione ecologica e digitale. “Va bene, ma dobbiamo andare oltre”, ha affermato un diplomatico del club dei frugali. L’Europa del sud, pronta a insorgere non appena avesse immaginato che un dispositivo le ricordava un fondo fiduciario, è rimasta fino a questo momento calma. Nessuno a Roma, a Madrid o ad Atene ha sventolato la precedente crisi greca per opporsi al progetto. Il presidente italiano del Consiglio, Giuseppe Conte, insiste sul fatto che intende utilizzare questo danaro per “riformare il paese”.

Infine, i paesi dell’Est hanno accolto fino ad ora piuttosto favorevolmente le proposte della Commissione, anche se alcuni paesi ritengono di non essere trattati alla stregua dei loro partner mediterranei. Dopo l’incontro del 12 giugno, i Capi di governo del gruppo Visegrad (Polonia, Ungheria, Repubblica ceca e Slovacca) si sono impegnati ad appoggiare il piano a condizione che, come ha riassunto il primo ministro ceco, Andrej Babis, “i paesi più poveri non debbano sostenere i costi dei paesi più ricchi”. Anche il suo omologo ungherese, Viktor Orban, ritiene ingiusto che i paesi che hanno combattuto contro il Covid-19 siano feriti finanziariamente e chiede a Bruxelles di rivedere la ripartizione dei fondi. La Slovacchia e ancora di più la Polonia, che è trattata particolarmente bene dal piano per la ripresa europea perché è il terzo paese a beneficiare dopo l’Italia e la Spagna, non hanno alcuna riserva nei confronti del piano.


Il primo ministro Mark Rutte guida l’opposizione del quattro stati frugali al piano per la ripresa europea
Financial Times 18 giugno 2020
"Il primo ministro danese riceve i riconoscimenti dal suo paese per essersi opposto alle concessioni in seguito alla pandemia sostenute da Berlino"

Il primo ministro danese Mark Rutte si è affidato per lungo tempo alla Germania per sostenere la disciplina fiscale della UE, respingendo i tentativi integrazionisti di mutualizzare il debito o di allentare le regole sul deficit. Venerdì, dovrà affrontare la cancelliera tedesca Angela Merkel per opporsi al piano di spesa sostenuto da Berlino per aiutare l’Unione europea a riprendersi dalla grave recessione. Rutte guida un gruppo di quattro stati membri che si sono opposti all'erogazione di 500 miliardi di euro di concessioni ai paesi che sono stati colpiti gravemente dalla pandemia del Covid-19. Ora che Berlino è alleata di Parigi nel sostegno al piano, Rutte minaccia di ridimensionarlo chiedendo solo prestiti e condizioni più restrittive per l’erogazione delle concessioni.

Rutte e i capi di Governo dell’Austria, della Danimarca e della Svezia hanno chiesto, nel Financial Times di martedì, un “livello realistico di spesa” e la restituzione del danaro. Nell'incontro in diretta dei Capi di stato e di governo di venerdì, potrebbero unirsi alla cosiddetta alleanza dei quattro stati frugali i paesi baltici e gli stati membri dell’Europa orientale nel far sentire le critiche su parte del fondo di ripresa. La professoressa di politica europea presso l’università di Leida, Amy Verdun, ha affermato che Rutte ha utilizzato il quartetto per migliorare la sua posizione della Ue dopo la Brexit e dimostrare che L’Aia non è isolata sulle questioni economiche fondamentali. Secondo la professoressa, Rutte è il leader del quartetto frugale e gli piace.  Anche il sondaggio di marzo ha dimostrato che il primo ministro di centro, che è alla guida del terzo governo dopo essere stato al potere per dieci anni, è considerato il primo ministro più importante del paese dal dopoguerra.

Ma il panorama politico nel suo paese sta cambiando e limita il suo spazio di manovra nel negoziato con Bruxelles. La sua coalizione quadripartita non ha più la maggioranza nel parlamento danese e le forze euro scettiche hanno colto subito i segnali del governo accettando di fare concessioni sul danaro dei contribuenti da destinare ai paesi dell’Europa meridionale. Una recente indagine del quotidiano danese Volkskrant from I & O Research, ha dimostrato che il 61% degli elettori danesi non appoggiano il piano di ripresa europea come è stato proposto dalla Commissione europea. L’opposizione al piano è altissima tra gli elettori di estrema destra. Soltanto il 4% degli elettori ha affermato di essere soddisfatto della proposta. Un diplomatico danese ha affermato: “Non solo l’Italia e la Francia hanno i populisti, li abbiamo anche noi”.

Il leader del Partito Laburista Danese di opposizione, Lodewijk Asscher, ha affermato che Rutte non è riuscito ad utilizzare la sua popolarità duratura in difesa dell’idea di introdurre agevolazioni finanziarie più coraggiose per gli altri Stati membri della Ue. “Avrebbe potuto utilizzare il suo capitale politico come parte di una soluzione in Europa, non come il problema”. Rutte, 53 anni, sarà garantito dal sostegno della sua coalizione, che comprende i Democratici Cristiani conservatori, il cui ministro delle Finanze, Wopke Hoekstra, ha spesso adottato una linea persino più dura del Partito del Popolo per la Libertà e la Democrazia del primo ministro. La professoressa Verdun ha affermato che “Il discorso di questo governo è sempre stato che i Paesi Bassi pagano di più di chiunque altro stato per il bilancio della Ue”.

Le elezioni politiche che si terranno a marzo il prossimo anno hanno incoraggiato le critiche della UE nei confronti della destra conservatrice. I Democratici Cristiani si trovano nel processo per la selezione del nuovo leader e stanno respingendo la minaccia che il populista anti Unione europea Thierry Baudet possa presentarsi. Baudet aveva chiesto precedentemente all’Olanda di uscire dalla zona euro. Il Forum per la Democrazia di estrema destra a cui appartiene è stato il primo partito a presentarsi con il partito di Rutte alle elezioni comunali di quest’anno.

I funzionari politici del partito dei Democratici Cristiani affermano che il leader del partito sarà utile sia per spingere ulteriormente la corrente di destra verso l’euroscetticismo e sia per sostenere il centro moderato. Il partito di centro destra di Rutte è, nel frattempo, in cima ai sondaggi, per aver ricevuto i riconoscimenti della sua gestione della pandemia e per essersi opposto alle parti più coraggiose nel tentativo di far approvare la ripresa economica della UE. Lo scorso mese nel Parlamento europeo, i parlamentari del Partito del Popolo per la Libertà e la Democrazia si sono schierati con l’estrema destra di Alternativa per la Germania e con il partito francese Rassemblement National durante un voto simbolico contro le misure di stimolo fiscale.

Il leader del Partito del Popolo per la Libertà e la Democrazia al Parlamento europeo, Malik Azmani, ha affermato che il dibattito della “frugalità” contro la “solidarietà” è una “falsa contraddizione”. Azmani ha detto al Financial Times: “Assicurarci che il danaro dei nostri contribuenti sia speso in modo saggio, trovando, nel contempo, una via d’uscita da questa crisi, sta dimostrando il tipo di solidarietà di cui abbiamo bisogno per una ripresa sostenibile”. Il dominio della coalizione formata da due partiti di destra ha oscurato l’unico partito dichiaratamente a favore della UE al governo, il partito Democratici 66 del leader Rob Jetten. Questi ha affermato che il Partito D66 è una forza moderata che ha contribuito ad ammorbidire la posizione dura di Hoekstra. Jetten ha poi aggiunto: “Dopo essersi rifiutato di parlare di qualsiasi altra cosa se non della riforma e degli errori passati dell’Italia, il governo ora ha accettato il principio dei prestiti da parte della UE, di investimenti su vasta scala e ha accolto positivamente l’introduzione di talune tasse europee”.
Secondo la professoressa Verdun, Rutte probabilmente farà retromarcia su alcune parti del pacchetto per la ripresa, che, secondo i diplomatici, dovrebbe concludersi alla fine di questa estate.” Le esperienze a livello nazionale ed europeo dimostrano che spesso cede…Quello che conta per lui è creare uno spazio per un accordo e dimostrare di essere un giocatore credibile di cui tenerne conto. Fa parte della strategia”.


Si profila una battaglia sulle norme di bilancio dell’Unione europea
Financial Times 17 giugno 2010

Tra i dibattiti accantonati in modo sbrigativo quando il coronavirus ha colpito l’Europa è stato il dibattito sul futuro delle regole fiscali. La Commissione europea aveva organizzato un dibattito nel mese di febbraio sulla “governance economica” del blocco europeo, volto a creare lo spazio politico per ritoccare la normativa invisa e scomoda per i bilanci dei suoi stati membri. L’European Fiscal Board, un organismo indipendente di consulenza della Commissione, composto da economisti indipendenti, aveva già pubblicato una serie di rapporti per una valutazione delle norme esistenti, che richiedono agli Stati membri di “perseguire finanze pubbliche sane”, e aveva lavorato per proporre dei miglioramenti.

Il dibattito sta ritornando con l’apertura delle attività economiche. Le conseguenze della crisi obbligheranno i dirigenti a guardare il loro quadro fiscale e a domandarsi se è adeguato alla situazione di oggi. Ogni Stato membro dell’Unione europea dovrà gestire quest’anno enormi disavanzi di bilancio, ed uscire dalla fase acuta della crisi con un debito maggiore rispetto a quello atteso precedentemente. Per Silvia Merler, direttrice della ricerca presso il think tank Algebris, un fondo di investimento, “Le conseguenze del Covid…lasceranno i paesi con posizioni molto diverse”. “Il rischio è che i paesi con debito alto avranno meno spazio per espandersi e garantire una ripresa costante”. Alcuni paesi le cui finanze pubbliche stanno subendo il colpo peggiore, come l’Italia e la Spagna, hanno un debito sproporzionalmente maggiore con cui iniziare.

Roel Beetsma, professore presso l’Amsterdam School of Economics e membro dell’Efb, concorda sul fatto che “si dovrebbe sapere che il debito in rapporto al Pil sarà molto diverso dopo la crisi attuale e per alcuni paesi sarà estremamente alto”. Nessuno contesta il fatto che i governi devono spendere il necessario per contrastare la crisi e riportare le loro economie in carreggiata. La UE ha attivato una clausola generale di salvaguardia nel patto di stabilità e crescita senza problemi quando sono diventate chiare le dimensioni della crisi causata dal Covid-19.

Ma la Commissione non ha presentato una data di scadenza, e né ha indicato quali sono le condizioni della clausola di salvaguardia per essere disattivata. Beetsma afferma che “la nostra preoccupazione è che alcune disposizioni sunset sono assenti. Dovrebbe essere quantomeno fissata una data per la revisione”. Il carattere aperto di questa clausola di salvaguardia ha messo a dura prova alcuni degli stati membri più aggressivi sul piano fiscale. Gli inviti alla chiarezza su quali regole si applicheranno probabilmente si intensificheranno quando i leader dovranno accordarsi sul fondo di ripresa europea dalla pandemia e sul bilancio ordinario pluriennale, necessario per l’inizio del 2021.

Quando la clausola di salvaguardia è disattivata, “si applicano per default le regole esistenti nel modo in cui avveniva prima”, afferma Beetsma. “La domanda è se la disattivazione rappresenta anche il momento o l’opportunità per fare una revisione molto necessaria delle regole”. L’Efb dovrebbe pronunciarsi su questo punto nel prossimo rapporto, previsto per il 1° luglio. Alcuni economisti mettono in guardia dal ripristinare le regole esistenti invariate. Merler afferma “bisognerà riconoscere che il quadro fiscale ha bisogno di riforme e di semplificazione, inclusa la regola sulla riduzione del debito.” Questa regola richiede ad un paese di ridurre il peso del suo debito ogni anno di un ventesimo della parte eccedente il 60% del Pil. Per un paese come l’Italia, questo significa tagliare il debito in rapporto al Pil di 5 punti percentuali l’anno cercando di far riprendere l’economia. 

Beetma dell’Efb afferma che “rimaniamo ancora sulla nostra proposta” per una semplificazione delle regole con l’unico obiettivo del debito a lungo termine e con una regola semplice per la crescita della spesa netta per raggiungerlo. Ma dice che “devono essere stabiliti percorsi realistici per la riduzione del debito”. Un modo per farlo sostiene, “è differenziare i tassi di aggiustamento per la riduzione del debito pubblico “tra i paesi.
Sembra che si stia profilando una battaglia sulle regole fiscali, anche se è l’ultima cosa che i Capi di stato e di governo vogliono di fronte ad una ripresa e ad una spesa di bilancio non ancora risolta.


 L’opinione del The Guardian sulla minaccia della disoccupazione: allarme rosso
The Guardian 17 giugno 2020
"Il governo non sta mostrando l’urgenza richiesta ora per evitare che nel corso dell’anno si verifichi una calamità occupazionale"

Affermare che gli effetti dannosi della disoccupazione durano per l’arco di una vita significa sottostimare il danno. Una lezione da trarre dalle recessioni selvagge di inizio anni ’80 e ’90 è che le conseguenze della disoccupazione si trasmettono alle generazioni successive. Gran parte del Regno Unito porta ancora le cicatrici economiche e sociali dell’era della deindustrializzazione della Thatcher. Persino molti conservatori che difendono le politiche macroeconomiche ammettono che l’assenza dell’intervento dello stato volto a reintegrare la forza lavoro è stata un errore. Coloro che hanno provato in prima persona le difficoltà vedono in questo errore qualcosa molto vicino ad un crimine.

Rishi Sunak, cancelliere dello Scacchiere del governo Johnson, non era ancora nato quando Margaret Thatcher fu eletta, e avrebbe fatto bene a studiare le conseguenze di quel periodo dato che si profilano ancora una vota licenziamenti su vasta scala. I dati presentati all'inizio di questa settimana mostrano che su una serie di indicatori del mercato del lavoro stanno lampeggiando spie rosse. C’è stato da marzo un calo di 200.000 lavoratori, il che indica una perdita di posti di lavoro nonostante il programma per la cassa integrazione del governo stia aiutando 9.1 milioni di lavoratori. Il loro futuro è disperatamente incerto. I sussidi del governo ai salari dovranno finire ad ottobre.

Nel frattempo, l’alto numero di persone che chiede aiuti, tra questi alcuni che hanno un lavoro ma non guadagnano abbastanza per vivere, sta ad indicare che il terreno sotto la forza lavoro sta franando. Il numero dei richiedenti aiuto ammontava a maggio a 2.8 milioni. I salari sono diminuiti in termini reali, così come il numero dei lavoratori autonomi. Nel percorrere questa strada, il Regno Unito si sta dirigendo verso una crisi dell’occupazione emblema dell’epoca attuale, anche se il disastro non dovesse diventare una tragedia prolungata nel tempo. La strategia può attenuare il danno, traendo lezione dagli anni ’80 e opponendosi alla dottrina del laissez-faire che impedisce l’intervento dello stato come se fosse un affronto alla legge naturale.

Il ministero del Tesoro dovrà accettare di sostenere i posti di lavoro esistenti e incubarne dei nuovi. Un’opportunità ovvia è accelerare la transizione verso un’economia più rispettosa del clima che accolga misure del “green new deal”. Alcuni nel governo lo hanno capito. È stato riferito che Sunak abbia previsto una “rivoluzione industriale verde” all’interno delle misure di stimolo per sostenere l’economia in generale. Ma quanto emerge dall’amministrazione di Boris Johnson, non ci sarebbe l’intenzione dietro questo segnale. Se il ministero del Tesoro prendesse sul serio un progetto di rinnovamento nazionale, il lavoro preparatorio inizierebbe subito, non con una legge di bilancio in autunno. Ogni mese di ritardo fa aumentare il numero delle persone che soffriranno per mancanza di lavoro.

L’urgenza arriva più velocemente per coloro che hanno conosciuto in prima persona la rovinosa disoccupazione di massa o che ne sono testimoni. Questa prospettiva non è abbastanza presente nella generazione attuale dei conservatori, la cui esperienza di economia è forgiata dalle tesi in materia di politica fiscale. Nel governo non c’è memoria istituzionale che ricordi una grave recessione con forti ricadute negative sull'occupazione, e non c’è tra le file dei Tory una sensibilità culturale sufficiente capace di leggere le conseguenze sociali. C’è il serio pericolo che un’insufficiente comprensione di un capitolo cupo della storia dell’economia britannica condanni milioni di persone a riviverlo inutilmente.


Le nuove sanzioni degli Stati Uniti mirano a paralizzare ulteriormente Al Assad in Siria
Al Jazeera 17 giugno 2020

Le sanzioni del Caeser Act prendono il nome del disertore dell’esercito siriano che ha documentato la tortura sistematica nelle prigioni controllate da Assad. L‘economia siriana in difficoltà ha dovuto affrontare un altro colpo, quando, mercoledì, gli Stati Uniti hanno imposto nuove sanzioni punitive che mirano a indebolire ulteriormente il governo in Siria del presidente Bashar Al Assad. Il Ceasar Act, approvato come parte della legge annuale per la spesa in materia di difesa annuo, contiene sanzioni severissime del governo da quando la guerra civile siriana ebbe inizio nove anni fa.

Le sanzioni americane attuali hanno congelato i beni dello stato siriano e quelli di decine di imprese e di individui collegati al governo di Al Assad, compreso il personale militare e di sicurezza. Inoltre, hanno limitato gli investimenti nuovi, le esportazioni, le vendite o la fornitura di servizi alla Siria da parte di qualsiasi cittadino o residente americano. Le ultime misure sarebbero dirette agli attori ovunque si trovino nel mondo, tra cui i paesi del Golfo e l’Europa, che tentano di aiutare il regime di Al Assad nei suoi tentativi di ricostruzione. Nella fattispecie, le misure penalizzeranno ogni società straniera o donatore che “fornisce consapevolmente, direttamente o indirettamente, servizi significativi di costruzione o di ingegneria al governo siriano”. Le misure riguarderanno anche gli stati vicini del Libano, della Giordania e dell’Iraq, una decisione diretta a coloro che sono accusati regolarmente di contrabbandare merci in Siria.

Le misure sono collegialmente conosciute come Caesar Syrian Civilian Protection Act, o brevemente come il Ceasar Act. I primi tentativi per approvare la legge negli Stati Uniti naufragarono, quindi la misura fu incorporata nella legge di autorizzazione delle spese militari, la National Defense Authorization Act, che per l’anno fiscale del 2020, è stata firmata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump nel dicembre del 2019.

Ceasar è il nome in codice di un fotografo forense militare siriano che iniziò a salvare le immagini raccapriccianti delle vittime della tortura e dei crimini di guerra all’inizio del 2011, che documentarono la tortura sistematica e le esecuzioni di 11.000 siriani nelle prigioni controllate dal governo.
Nel 2013, Ceasar lasciò la Siria e contrabbandò 55.000 fotografie fuori dal paese in chiavette USB nel Qatar arrivando attraverso la Giordania. Fornì le prove agli Stati Uniti e, nel 2014, testimoniò dinanzi al Congresso degli Stati Uniti. Ritornò a marzo davanti al Congresso per implorare il Senato di applicare sanzioni nuove, affermando che “le uccisioni sono aumentate negli stessi posti e nelle stesse modalità per mano degli stessi criminali”. E aggiunse: “Il regime di Assad ha considerato l’inazione della comunità internazionale e le semplici dichiarazioni di condanna come un via libera”.

La legge è stata sponsorizzata dal deputato Elio Enge, un democratico dello stato di New York. Gli sponsor della legge erano inizialmente 36 deputati democratici e repubblicani. Gli sponsor della legge ed altri importanti repubblicani e democratici del comitato affari esteri del Congresso hanno chiesto, lunedì, di applicare con decisione le nuove misure quando entreranno in vigore il 17 giugno. In una dichiarazione rilasciata dai deputati, questi hanno affermato: “Il regime ed i suoi sponsor devono fermare il massacro di persone innocenti e offrire al popolo siriano una strada per la riconciliazione, la stabilità e la libertà”.

Le sanzioni precedenti imposte dagli Stati Uniti e dai suoi alleati combinate con la corruzione del governo e delle lotte interne, una pandemia ed una crisi finanziaria nel paese vicino del Libano, principale legame della Siria con il resto del mondo, ha lasciato il paese sull’orlo del baratro.
I siriani hanno manifestato nei recenti giorni nelle strade delle zone del paese controllate dal governo per protestare contro l’aumento dei prezzi e il crollo della valuta. In alcune zone del paese, i prezzi aumentano diverse volte durante il giorno, obbligando molti negozi a chiudere ed a lasciare scorte scarse di beni di prima necessità, come lo zucchero, il riso e i medicinali. Questa settimana, la valuta siriana è diminuita nel mercato nero, raggiungendo il punto record di 3.500 lire siriane rispetto al dollaro e rispetto alle 700 sterline siriane a inizio guerra.

Il governo siriano ha definito le sanzioni “terrorismo economico” volto ad affamare il popolo siriano. Il deputato siriano Muhannad Haj Ali, che ha conosciuto per otto anni le sanzioni europee ed americane, ha affermato all'agenzia stampa Associated Press che il suo paese ha sopravvissuto alle crisi economiche del passato e supererà anche il Caesar Act. Ed ha affermato: “Quello che i terroristi e gli americani non sono riusciti ad ottenere sul campo di battaglia, dove abbiamo pagato con il nostro sangue e i nostri feriti, non riusciranno ad averlo sul piano politico, non importa quanta pressione eserciteranno”.


Un milione e mezzo di persone presentano la domanda di disoccupazione nell’ultimo conteggio settimanale
The New York Times 18 giugno 2020
"Le aziende stanno riaprendo, ma i licenziamenti non cessano"

Il Dipartimento del lavoro ha dichiarato giovedì che un altro milione e mezzo di persone hanno presentato la domanda di indennità di disoccupazione la scorsa settimana. Per la tredicesima settimana consecutiva le domande presentate allo stato superano un milione di richieste. Prima che si presentasse la crisi del coronavirus, le richieste di indennità di disoccupazione raggiunsero in una sola settimana il livello più alto nel 1982 con 695.000 richieste. Si sono aggiunte al totale 760.000 richieste di indennità di disoccupazione a causa della pandemia presentate nell'ambito del programma federale per i lavoratori autonomi, per gli imprenditori indipendenti e per altri aventi diritto all'indennità.

ll direttore dell’Istituto di politica economica, Heidi Shierloz, un think tank di orientamento progressista, ha affermato: “È una continua perdita di posti lavoro mai vista prima”. Gli economisti hanno affermato che i recenti licenziamenti, sebbene siano stati di meno rispetto all'ondata del mese di marzo e inizio aprile, suggeriscono che la crisi sta raggiungendo il punto più profondo nell'economia.

L’operatore alberghiero Hilton Worldwide ha dichiarato questa settimana che sta per eliminare 2.100 posti di lavoro a livello globale e che estenderà le precedenti casse integrazioni e ridurrà l’orario di lavoro e i salari per 90 giorni. Secondo uno dei sindacati del settore delle telecomunicazioni, l’AT&T ha reso noto piani per licenziare 3.400 posti di lavoro per tecnici e impiegati a livello nazionale e di chiudere definitivamente più di 250 magazzini. La catena delle palestre 24 Hour Fitness ha affermato che ha presentato la richiesta per la protezione fallimentare e che chiuderà definitivamente più di 100 sedi.