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I più colpiti dalla crisi post-Covid sono i giovani con lavori precari. Come Anne, 25 anni e un figlio: non le hanno rinnovato il contratto. 900 mila under 25 lavorano in settori in ginocchio: arti, spettacolo, alberghi e servizi
Altro che grande livellatore. Il Covid-19 ha una mira spietata. I suoi effetti sul mondo del lavoro colpiscono le categorie non garantite: giovani, donne, contratti precari. In questo caso non è morte, per fortuna, ma denudamento di un sistema che fallisce. Immagine nitida di un ordinamento misero. Qui Gran Bretagna. Ma potrebbe essere ovunque. Ad avere la macchina del tempo di H.G. Wells, sarebbe il caso di andare a trovare Margaret Thatcher per mostrarle questi anni e dirle: “Guarda il tuo neoliberismo. Alla prova di una pandemia travolgerà milioni di vite”. Ma quella macchina non esiste. Il passato è irraggiungibile.
Invece c’è il presente, che ha un nome ed è Anne, giovane madre di 25 anni, impiegata presso l’amministrazione di una università di Londra con un contratto a termine in scadenza ad agosto. I suoi capi le hanno fatto sapere che il contratto non sarà rinnovato. La ragazza - un figlio di due anni - ha denunciato la perdita del lavoro al Mirror usando un nome fittizio, ma nella sua denuncia non c’è nulla di falso. Le avevano promesso un contratto stabile. Poi l’esplosione del coronavirus. Anne ne è certa: i capi hanno “protetto” l’istituzione dalle conseguenze economiche della pandemia insistendo con contratti temporanei a rotazione, così da avere mano libera nella gestione del personale.
“Le università sono in guai seri: non riescono ad ottenere i soldi di cui hanno bisogno dalle tasse studentesche, perché non sanno quanti studenti internazionali arriveranno a settembre. Intanto il personale viene sfruttato o, in caso di contratti precari, licenziato”. Questo è il commento di un dirigente sindacale dell’Ucu (University and College Union, la categoria che rappresenta tutti i lavoratori delle università britanniche) raccolto in un dossier su coronavirus e mondo del lavoro pubblicato dal Centre for Labour and Social Studies (Class).
Laureata in geografia e management di azienda, Anne adesso si sostiene grazie al sussidio (universal credit). “Di solito non è difficile trovare lavoro, ma questi sono tempi senza precedenti”, ammette. È sola e, paradossalmente, non lo è: da un’indagine PwC emerge che in Gran Bretagna il 78% delle persone che hanno perso il lavoro a causa della pandemia sono donne e lavoratrici precarie.
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Non è sola, Anne, bisogna aggiungere, anche perché è giovane. Usciamo dal mondo dell’università e allarghiamo lo sguardo. Un’indagine recente del Tuc (la centrale sindacale britannica), dimostra che proprio i giovani lavoratori di età pari o inferiore ai 25 anni sono quelli che più rischiano di perdere il lavoro (o che l’hanno già perso) a causa del coronavirus. Il sindacato valuta questo rischio tre volte superiore a quello di altre fasce d’età. Lo scenario, in mancanza di interventi di politica del lavoro, è quello di una deflagrazione della disoccupazione giovanile in Gran Bretagna.
“È chiaro - si legge nell’indagine del Tuc - che due settori sono stati colpiti molto più di altri: l'industria alberghiera e alimentare e l'industria artistica, dello spettacolo e del tempo libero. Questi sono gli unici due casi in cui la maggior parte delle imprese è stata temporaneamente sospesa, la maggior parte ha visto diminuire il fatturato di oltre il 50% e la maggior parte della forza lavoro è stata licenziata”. Il punto è che i giovani, in questi settori, sono sovrarappresentati: il 37% di chi ci lavora ha meno di 25 anni. Secondo le stime del Tuc, si tratta di circa 900 mila persone.
“C'è un'altra crisi in arrivo - commenta Kathryn Mackridge del Tuc - e il governo deve agire ora per fermare la disoccupazione giovanile di massa”. Il sindacato chiede uno schema di garanzia per il lavoro dei giovani. Si tratta, osserva la sindacalista, di “intraprendere azioni coraggiose ora - come fatto per proteggere i posti di lavoro durante l'isolamento - e garantire un lavoro buono e dignitoso, costruendo al contempo un'economia sostenibile e verde per il bene pubblico”. Il Tuc chiede “un ambizioso sistema” realizzato a livello regionale e nazionale, che si basi su posti ben pagati, utili alla comunità e che portino benefici pubblici, come ad esempio la decarbonizzazione dell’economia e la sfida climatica. “Dovrebbe essere aperto al maggior numero possibile di persone che devono affrontare la disoccupazione di lunga durata”, conclude Mackridge, ma dando la priorità a venticinquenni o under 25 disoccupati da più di tre mesi.
Come sintetizza il dossier Class già citato (curato dalle ricercatrici Faiza Shaheen e Raquel Jesse) l’economia della Gran Bretagna è stata aggredita dal Covid-19 proprio mentre sigillava un “decennio di progressi perduti”. Gli anni 2010-2019, scanditi da governi conservatori, hanno estremizzato il mercato del lavoro ed eroso i diritti: “L'occupazione ha raggiunto livelli record, ma anche la povertà dei lavoratori e il numero di contratti a zero ore”. La disuguaglianza sociale e la precarietà sono aumentate, e i salari sono diminuiti. La società e l’economia britanniche si sono, in sostanza, uberizzate - ragionano le due studiose - mentre le politiche di austerità tagliavano servizi pubblici e welfare.
Se a tutto questo si aggiungono le crisi e le incognite della Brexit e del Covid-19, emerge il ritratto di un Paese impreparato a difendere i suoi lavoratori, nativi o immigrati che siano. Forse esattamente il Paese che sognava Margaret Thatcher. Ma non il Paese che sognano Anne e suo figlio.