Durante i primi mesi della pandemia più di un quarto dei lavoratori si è ritrovato senza occupazione. Un europeo su cinque ha problemi di sopravvivenza economica. L'indagine della Fondazione di Dublino
Il 28% dei cittadini europei ha perso il lavoro in modo permanente (il 5%) o temporaneo (il 23%) a causa della pandemia da Coronavirus, e il 16% ritiene molto probabile perderlo entro i prossimi tre mesi. La metà (quasi il 50%) lavora con orari ridotti. Un europeo su cinque ha problemi di sopravvivenza economica e una percentuale consistente (il 27%) non ha più risparmi sui quali fare affidamento. Solo tre mesi di crisi epidemica hanno già creato uno scenario da dopoguerra o anni ‘30 del secolo scorso. Uno scenario europeo, come si evince dai primi risultati di una ricerca diffusa dalla Fondazione di Dublino (per esteso: la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro).
Il rapporto intermedio della Fondazione raccoglie le risposte fornite da oltre 85 mila persone a un’indagine elettronica sull’impatto della pandemia nel lavoro e nelle condizioni di vita entro l’Unione europea. L’indagine è ancora in corso. I risultati definitivi saranno pubblicati a settembre 2020. Questi primi dati riguardano quindi i mesi della fase 1, quando la maggior parte degli europei si è trovata in quarantena. E mostrano “risultati sorprendenti” - questo il giudizio dei ricercatori -, ad esempio sul livello di soddisfazione al minimo in paesi come Francia, Italia e Belgio. Ma in tutta la Ue l’ottimismo è crollato sotto il 45%, mentre la fiducia nei confronti di governi e istituzioni europee è molto bassa: quella per le misure varate a livello nazionale non supera i 4,8 punti in una scala da uno a dieci. Va peggio alle istituzioni Ue, che si fermano a 4,6.
“Quasi il 40% delle persone in Europa dichiara che la propria situazione finanziaria è peggiorata rispetto a prima della pandemia”, si legge nella ricerca. Più della metà dichiara di non riuscire a mantenere il proprio tenore di vita. Tra i disoccupati “la situazione è ancora più drammatica”: tre quarti non riescono a tirare avanti oltre i tre mesi e l'82% dichiara di avere difficoltà a sbarcare il lunario”.
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La Fondazione ha registrato “alti livelli di solitudine”, soprattutto tra gli under 35, che si sono sentiti “più colpiti dalle restrizioni rispetto ad altre fasce d'età, con eventi sociali cancellati e nell’impossibilità di incontrare amici al di fuori della famiglia”. Quanto all’ottimismo, banalmente: diminuisce con l'aumentare dell'età: “Il 53% degli under 35 si dichiara ottimista, contro appena il 41% degli over 50”. Di certo i disoccupati sono i meno ottimisti sul futuro (26%), e dalla ricerca emerge “una differenza tra i dipendenti (50%) e i lavoratori autonomi (43%)”.
Come si diceva sopra, durante il mese di aprile più di un quarto degli europei è uscito dal mondo del lavoro. “I giovani uomini sotto i 35 anni sono più colpiti”, rileva il rapporto: il 24% ha perso il lavoro definitivamente e il 6% per un periodo temporaneo. Ma la Fondazione di Dublino avverte che è molto complicato valutare le perdite temporanee di occupazione, alla luce delle politiche di sostegno governative in continuo aggiornamento, e delle diverse politiche aziendali di “congelamento” della forza lavoro.
L'insicurezza sul futuro del proprio lavoro “è più alta in diversi Stati membri dell'Est e del Sud. Il 20% in Bulgaria e il 15% dei lavoratori in Grecia ritengono molto probabile perdere il posto a causa della crisi”. Quanto all’orario di lavoro, è diminuito per metà della popolazione attiva, ma “più di un terzo (34%) degli occupati ha dichiarato che il proprio orario è diminuito ‘molto’, e il 16% che è diminuito ‘un poco’”, si legge nei risultati, che mostrano anche come Grecia, Francia, Italia e Cipro siano paesi in cui circa la metà dei lavoratori ha denunciato una diminuzione rilevante dell’orario. Una parte dei lavoratori intervistati (il 7%) dichiara però un aumento considerevole del proprio orario durante i primi mesi della pandemia. Poche o nessuna variazione nei paesi del Nord: Svezia, Finlandia e Danimarca (52%, 49% e 45%).
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“Se la gente non potrà tornare al lavoro nel prossimo futuro, la disoccupazione supererà il picco della crisi finanziaria del 2008, innescando una depressione peggiore rispetto a quella degli anni '30”. Questo il commento di Luca Visentini, segretario generale del sindacato europeo (la Ces), che richiama i governi a “dare priorità al benessere sociale”, a “ridurre le emissioni di gas serra” e a “investire in tecnologie verdi”. Per il dirigente sindacale l’Europa ha bisogno “del più grande piano di ripresa dalla fine della Seconda guerra mondiale”. Un piano - ragiona Visentini - che offra condizioni eque a tutti i lavoratori, che garantisca l’impegno fiscale di multinazionali e fasce abbienti per il finanziamento di servizi pubblici e “lavoro nei servizi pubblici” stessi.
Occorre “mobilitare massicci investimenti di denaro pubblico fresco per il rinnovamento dell'industria e delle attività economiche sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale, oltre a rafforzare i sistemi di welfare e la protezione sociale. Tutto questo - conclude Visentini - non può avvenire facendo gravare ancora una volta l'onere sui bilanci pubblici nazionali, attraverso prestiti a condizioni molto severe, ma al contrario costruendo finalmente una reale capacità economica e fiscale che permetta all'Ue di investire in un futuro in cui nessuno sia lasciato indietro”.
Una risposta a queste domande potrebbe venire dall’intesa franco-tedesca del 18 maggio sul Recovery fund. Un piano da 500 miliardi di euro che dovrebbe essere finanziato col bilancio dell'Unione europea, per essere messo a disposizione delle regioni e dei settori più colpiti dalla pandemia. Non si tratterà di prestiti, ma di sovvenzioni a fondo perduto, basate sul bilancio pluriennale europeo. Forse a settembre, nel rapporto finale della Fondazione di Dublino, l’indice della fiducia sarà aumentato. O forse no.