In Europa, ormai, l'Italia è isolata rispetto agli altri paesi. Ma l’Unione e le politiche di austerità che i trattati europei hanno imposto agli stati membri hanno anche allontanato i cittadini dal sogno dei suoi padri fondatori. I sindacati europei, in ogni caso, stanno reagendo. E l'unità dei lavoratori appare come uno strumento essenziale per provare a reagire e a resistere. “Il governo italiano sta pagando un atteggiamento che nel corso degli ultimi mesi lo ha portato in rotta di collisione con pressoché tutte le istituzioni europee. L’incredibile tira e molla sulla manovra, le polemiche con Draghi e con la Banca centrale europea, le varie accuse sul tema dei migranti, e l’assurda vicenda del richiamo per consultazioni dell'ambasciatore francese hanno fatto sì che la credibilità internazionale dell’Italia sia ai minimi storici”. Lo ha detto, ai microfoni di RadioArticolo1, Fausto Durante, coordinatore dell'area politica internazionale-Europa della Cgil nazionale.

Sul piano economico, però, i rapporti del nostro Paese con gli altri stati membri “seguono vie diverse da quelle degli incidenti diplomatici di Conte, Salvini, Di Maio”. Eppure, per Durante, “stiamo comunque diventando un Paese poco affidabile per i nostri partner storici. Il caso della Francia è solo uno degli ultimi esempi. Abbiamo anche sfiorato la collisione con la cancelliera Merkel, e stiamo stringendo amicizia con compagnie che a livello europeo non sono certo ben considerate, come il premier ungherese Viktor Orban, il cancelliere austriaco di estrema destra, e il primo ministro polacco. E’ la percezione dell'Italia che continua ad appannarsi a livello globale”. La speranza è quindi che “non ci sia un ritorno negativo per le nostre imprese e per il nostro sistema produttivo, per le grandi commesse che all'estero si aggiudicano i campioni dell'industria e dell'economia nazionale”.

D’altro canto, le politiche economiche messe in campo da questo governo seguono “interventi di politica industriale limitati”, che non hanno finora “aiutato il sistema produttivo italiano a recuperare competitività”. Questi caratteri sono “confermati negli indirizzi di politica economica del governo Conte-Salvini-Di Maio”. Per la Cgil, invece, servirebbe “un'altra politica economica, e un'altra politica sociale”. Sarebbe necessaria “una politica industriale in grado di valorizzare le grandi capacità di cui comunque l'Italia è dotata”, a partire da “una tradizione manifatturiera votata all'export, una parte consistente del Paese votata a un sistema produttivo industriale di tipo sovranazionale ed europeo”. Per questo servirebbe “un governo che fosse in grado di assecondare i processi economici virtuosi e i processi industriali positivi”, mentre invece si assiste a una “sorta di tirare a campare che non aiuta il sistema”.

Per salvare l'Europa, però, bisogna anche cambiarla. E’ questo un tratto comune che muove le rivendicazioni di lavoratori e sindacati nei diversi paesi. “Le scelte politiche, economiche e sociali che sono state fatte dalla Commissione europea - ha detto infatti Durante - vengono direttamente dall'impostazione liberista dei trattati con cui è stata regolata fino a questo momento l'economia. Il sistema della governance punta di fatto alla svalorizzazione del lavoro e a considerare la contrattazione e la rappresentanza sindacale come ostacolo da abbattere”. Anche per questo in Belgio la scorsa settimana c'è stato un grande sciopero generale di tutti i sindacati. “Il caso del Belgio è paradigmatico, ma potremmo parlare di ciò che è avvenuto con gli interventi sul mercato del lavoro in Spagna, in Francia, e nel decennio precedente in Germania. Si tende in tutti questi casi a scaricare sulla forza lavoro, sulla capacità di rappresentante e di azione collettiva dei sindacati, il peso e i costi della ricerca spasmodica di competitività. Questa è la negazione del modello sociale europeo”.

Per questo, conclude il dirigente sindacale, “se l'Europa vuole salvarsi, deve cambiare. Bisogna mettere mano ai trattati, rivedere l'ideologia liberista che li ha ispirati, in special modo il Fiscal compact. Bisogna rivedere il modello di governance dell'Unione europea, altrimenti non ne usciamo”.