Presidenziali USA. Dibattito senza scintille
New York Times

E' stata la notte dei vice. Palin e Biden: giovane e repubblicana lei, anziano e democratico lui. I quotidiani americani aprono con commenti e analisi sul dibattito che si è tenuto ieri sera alla Washington University, nello stato centrale del Missouri. Palin e Biden sono cordiali ma puntuali. E' il titolo di apertura che si legge sul sito del quotidiano statunitense New York Times. "La governatrice Sarah Palin è ricorsa a un sorriso sicuro, maniere popolari e punti programmatici scritti con cura per colpire educatamente e resistere politicamente nel corso del dibattito vice-presidenziale, in una performance che il suo rivale, il senatore Joseph Biden Jr, ha cercato di smontare con critiche esposte in maniera cordiale ma rigorosa. Se temi e posizioni erano familiari a molti ascoltatori – dalle tasse all'economia, dall'energia al petrolio, dai matrimoni gay all'Iraq e all'Afghanistan – è stato il debutto della Palin in un dibattito pubblico nazionale a rendere l'evento insolito". "Difatti - prosegue Patrick Healy del New York Times – la Palin, che prima era sindaco di una piccola città, è stata differente da qualsiasi altro candidato si ricordi poiché ha utilizzato espressioni come 'un sacco di' o simili "per fare appello al voto dei lavoratori e della classe media che si sentono abbandonati da Washington". Centrale nel dibattito, come era inevitabile che fosse, l'economia. La Palin, raccontano sul New York Times, ha detto: "andate a una partita di calcio tra ragazzi e rivolgetevi a un genitore qualsiasi chiedendogli che pensa dell'economia. Scommetto che sentirete la paura nella voce di quel genitore, paura per quei pochi investimenti che alcuni di noi hanno". Sull'economia Biden ha puntato il dito su alcuni errori strategici della compagine repubblicana. "Due lunedì fa John McCain diceva alle nove del mattino che le basi dell'economia erano solide. Alle 11, quello stesso giorno, diceva invece che eravamo in crisi. Il che non vuol dire che McCain sia un cattivo ragazzo, ma fa capire quanto sia fuori dal mondo. Quei genitori lo sapevano già due mesi fa".
(Ma.To.)

Economie latino-americane con le dita incrociate
The Economist

"Se le analogie con la Grande Depressione spaventano gli americani, non meno paura provano le popolazioni dell'America Latina." L'articolo pubblicato sul settimanale finanziario The Economist traccia un parallelo tra gli anni delle Grande Depressione e la nostra epoca. Qualche anno dopo il crollo del 1929, 16 governi nella regione caddero sotto colpi di mano militari o autoritari "In anni recenti – spiega il pezzo – il dibattito si è concentrato soprattutto sull'indipendenza economica dell'America Latina rispetto ai vicini del nord. Ma il 29 settembre, quando la Camera dei deputati di Washington ha bocciato il piano di salvataggio, ci si è ricordati di quanto stretti siano ancora i legami." Di fatto, la crisi finanziaria non nasce in America Latina, e qui le banche sembrano essere abbastanza solide - ad eccezione che in Brasile. Una delle paure maggiori, in realtà, riguarda la possibilità di un rallentamento dell'economia globale che si accompagni a un declino dei prezzi delle materie prime facendo salire così la pressione. I primi effetti – secondo The Economist – si stanno già registrando in Messico. Ad agosto, ad esempio, le rimesse dei migranti messicani che vivono negli Stati Uniti hanno subito un calo record e anche il commercio tra i due stati sembra essere a rischio. Ma cosa è cambiato rispetto a ottanta anni fa? Per il settimanale britannico: "La differenza maggiore sembra che quei paesi che sono stati più ostili al capitalismo globale sembrano più esposti a questo cambio di clima. Negli anni '30, le democrazie della regione soffrirono di una crisi e di una depressione nata a migliaia di chilometri di distanza. Oggi ad avere più paura sono le monarchie elette dominate da populisti dell'economia."
(Ma.To.)

La notte più lunga. Il Messico non dimentica il massacro di Tlatelolco nel suo quarantesimo anniversario
El País

Il 2 ottobre del 1968 decine e decine di studenti furono massacrati dall'esercito nella Piazza delle tre culture a Tlatelolco, Città del Messico. A quarant'anni di distanza il quotidiano spagnolo El País dedica un servizio firmato da Luis Pablo Beauregard a una strage ancora impunita. "I giovani – leggiamo – si ammassano nella Piazza delle tre culture, nella zona nord di Città del Messico. Aspettano che inizi a parlare il primo dei quattro oratori previsti. Alcuni sono qui per protestare contro l'occupazione della Città universitaria da parte dell'esercito. Altri assistono magnetizzati dalla forza sorta dal Maggio francese. Erano le 18.10 quando un bengala sfregiò il cielo di quel due ottobre del 1968. L'attenzione catturata da quella luce brillante nel cielo fu rotta da uno sparo, e poi da un altro. Cominciava la notte più lunga". "Oggi – scrive il quotidiano spagnolo – si compiono 40 anni da quella notte. Un anniversario doloroso per le giovani vite che furono stroncate nel corso di un assembramento pacifico. Ma la data resta una ferita aperta perché dalla caduta del Pri (Partito rivoluzionario istituzionale), che ha governato il paese per più di 70 anni, ancora non è stato individuato il responsabile del massacro. L'impunità è parte stessa della commemorazione". La strage si consumò quando mancavano solo dieci giorni all'apertura dei Giochi olimpici a Città del Messico. Nella piazza c'erano più di otto mila persone e il bengala sparato in cielo era un segnale, "l'ordine atteso dai reparti della Operación Galeana per aprire il fuoco. I cecchini erano su molti edifici, tra cui semplici abitazioni e la sede del ministero degli Esteri, e da lì spararono sulla folla terrorizzata. "Ancora non si conosce – a 40 anni dai fatti – il numero preciso dei morti. (...) Tra le vittime c'erano curiosi, simpatizzanti, casalinghe, ma non leader del movimento. (...) Le autorità parlarono di 33 morti. Ma molti testimoni segnalarono che nei reparti di medicina legale degli ospedali erano arrivati almeno 40 cadaveri".
(D.O.)

Paracaduti d'oro. In Francia le prime rinunce
Le Monde

Il ministero dell'economia francese ha annunciato che il patron del gruppo bancario Dexia, Axel Miller, ha rinunciato alla sua buonuscita. La ministra Christine Lagarde aveva, infatti, posto come condizione per la ricapitalizzazione della banca franco-belga la rinuncia di Miller al suo paracadute d'oro. Ne dà notizia oggi il sito del quotidiano francese Le Monde. L'indennità di Miller era stata stimata intorno ai 3,7 milioni di euro ed era stata resa nota dopo il riscatto della banca da parte delle autorità francesi, belghe e lussemburghesi per un totale di 6,4 miliardi di euro. Le reazioni dell'opinione pubblica erano state forti, tanto che il primo ministro francese Sarkozy aveva annunciato di voler inquadrare meglio dal punto di vista normativo l'attribuzione dei cosiddetti paracaduti d'oro. In un secondo articolo, Le Monde precisa che il governo ha annunciato la preparazione di un progetto di legge nelle prossime settimane. "In Francia – ricorda il quotidiano – la polemica non è affatto una novità. Dopo gli 8,4 milioni di euro accordati nel 2006 a Noël Forgeard, ex presidente esecutivo del colosso aero-spaziale EADS, ha fatto discutere anche l'indennità di 6 milioni di euro che potrebbe percepire l'ex direttrice generale di Alcatel-Lucent Patricia Russo." Stesso spirito sembra avere il governo belga. Dopo aver appreso che Herman Verwilst, direttore esecutivo della banca Fortis, riceverà un compenso secondo quanto previsto dal piano di salvataggio pubblico con una buonuscita fino a 5 milioni di euro, il primo ministro Yves Leterme ha affermato di essere contrario ai paracaduti d'or". L'articolo prosegue passando in rassegna le politiche scelte dai governi di Olanda, Germania, Gran Bretagna e Stati Uniti.
(Ma.To.)

Wal-Mart boicotta il cotone uzbeko
Financial Times

Un articolo di Jonathan Birchall, corrispondente da New York del Ft, ricostruisce come Wal-Mart, la più grande catena di grandi magazzini al mondo, abbia chiesto ai suoi fornitori di "non usare più cotone importato dall'Uzbekistan, aggregandosi così alla campagna di boicottaggio del lavoro minorile nella raccolta di cotone organizzata da alcuni marchi globali". "All'inizio dell'anno – scrive l'Ft - Wal-Mart ha avuto un ruolo determinante nell'organizzare una coalizione dei maggiori distributori e importatori di cotone americani che, ad agosto, hanno fatto appello al governo uzbeko affinché faccia passi concreti verso la cessazione del ricorso al lavoro minorile nella raccolta del cotone". Il quotidiano riporta anche il varo di un piano nazionale, da parte del governo uzbeko, per lo sradicamento del fenomeno. Il piano è stato varato a settembre, ma ha il grosso difetto di "non contemperare meccanismi esterni e indipendenti che ne assicurino l'efficacia". Il più recente rapporto sull' Uzbekistan, diffuso a marzo dal Dipartimento di stato americano sui diritti umani, evidenziava "una mobilitazione coatta, su larga scala, di giovani e studenti nella raccolta autunnale di cotone nelle principali aree rurali del paese". L' Uzbekistan – scrive l'Ft – "produce più di 800 mila tonnellate di cotone annue" un terzo delle quali utilizzate in Europa. "Il regime autocratico del presidente Islam Karimov ha soppresso il dissenso politico. Nel 2005, le forze dell'ordine aprirono il fuoco sui dimostranti nella città orientale di Andijan, assassinando centinaia di persone".
(D.O.)

In Cina Skype censura gli utenti. Vietato scrivere "latte in polvere"
Tageszeitung

"In Cina i messaggi testuali inviati tramite una variante di Skype sono sottoposti a censura. Il sistema cerca parole chiave come 'Falun Gong' o 'latte in polvere'". Ne dà notizia un servizio della Tageszeitung, basato sulla denuncia diffusa da una rete di attivisti dell'università di Toronto. "Tom-Skype – leggiamo nel servizio – è un'azienda nata dalla partnership tra l'impresa di comunicazioni cinese TomGroup e la piattaforma internet eBay, e possiede i diritti sul software Skype", tramite il quale si può comunicare telefonicamente o via chat. Gli attivisti canadesi, nel rapporto "Breaching Trust", descrivono però come Tom-Skype "sorvegli e controlli gli scambi in chat. Se il sistema riconosce una parola chiave, il messaggio testuale viene bloccato, e inviato a server speciali dove viene salvato. Contemporaneamente vengono anche raccolti gli indirizzi Ip e ulteriori informazioni personali sugli utenti. Informazioni – prosegue la Taz – che potrebbero essere messe a disposizione del governo. Già nel 2006 erano emersi i primi sospetti che Tom-Skype filtrasse la comunicazione dei propri utenti. All'epoca Skype confermò l'esistenza di un sistema di controllo, ma negò che i messaggi fossero salvati o inoltrati ad altri server". Gli attivisti del Citizen Lab sono però riusciti a entrare nei server di Tom-Skype, e hanno trovato "milioni di messaggi di testo archiviati perfettamente, insieme ad altri dati. Un'analisi successiva del sistema avrebbe dimostrato che il sistema si basa su un elenco di concetti. Così vengono censurate chat nelle quali compaiono, tra le altre, parole come 'giochi olimpici', 'comunista', 'terremoto', e 'latte in polvere'.
(D.O.)

Troppa polvere nascosta sotto il tappeto. Messo a tacere lo scandalo del latte che coinvolge uno degli sponsor dei giochi
Rassegna Sindacale

"Favorevoli alle superstizioni popolari, le autorità cinesi avevano puntato tutto su un anno il cui numero si concludeva con il fortunato otto." Attacca così il pezzo di Leopoldo Tartaglia, del dipartimento internazionale della Cgil, pubblicato sull'ultimo numero di Rassegna Sindacale (2-8 ottobre). Anche questo articolo parla dello scandalo del latte contaminato, ma lo fa raccontando la storia di una vicenda taciuta, come tante critiche passate sotto silenzio. Così prosegue l'articolo: "la catena di eventi naturali, sociali, politici, terroristici che ha caratterizzato l'anno non può certo definirsi una sequenza fortunata, se si eccettua la parentesi delle Olimpiadi che le autorità cinesi, complice la disponibilità dei leader mondiali, hanno saputo volgere a loro favore. Anche lo scandalo del latte, che coinvolge una delle ditte sponsor dei giochi , fornitrice ufficiale del latte per gli atleti era stato sollevato, nell'Hebei, prima delle Olimpiadi. Per questo era stato prontamente messo a tacere, senza che nessuno delle migliaia di giornalisti occidentali presenti a Pechino potesse o volesse risollevarlo prima dei suoi attuali tragici esiti. Ma tutta la vicenda olimpica è stata una sorta di 'festival dell'ipocrisia'." Business is business – lamenta Tartaglia – e così scompaiono i tibetani e il Dalai Lama, le repressioni, le violazioni dei diritti umani, i conflitti di lavoro. "Quello dei diritti dei lavoratori, peraltro, è stato un tema ignorato dai media internazionali anche prima dei giochi Olimpici. – commenta l'autore dell'articolo su Rassegna Sindacale – Nel boicottaggio, questo sì reale, delle pur tenui tutele introdotte dal nuovo codice del lavoro, le aziende cinesi e quelle straniere o in joint ventures si sono anch'esse battute in una corsa verso il basso decisa al fotofinish."
(Ma.To.)