Quest’anno è stata pubblicata in ritardo l’annuale Relazione sull’economia non osservata e sull’evasione fiscale e contributiva generalmente allegata alla Nota di Aggiornamento del Def (Nadef). Già a inizio novembre, la Cgil, insieme a Cisl e Uil ha chiesto la pubblicazione della Relazione, ed essa è stata infine allegata alla Nota che ha presentato il quadro programmatico, pur essendo, per sua natura, un documento tecnico.

Nella Relazione, che esamina i risultati del 2019 ed effettua previsioni in merito al 2020 (con dati parziali), si coglie la prosecuzione della tendenza alla riduzione del mancato versamento delle imposte (tax gap), soprattutto per quanto riguarda l’Iva e l’Irap. Crescono leggermente, in assestamento rispetto all’ultimo quinquennio, l’evasione di Irpef su lavoro autonomo e dell’Ires.

Il dato che ormai sembra essere consolidato nel biennio 2019-2020 è la perdita dello storico primato dell’Iva come imposta più evasa. Decisa è anche la riduzione delle mancate entrate in numeri assoluti, per la prima volta sotto i 100 miliardi nel 2019 dall’inizio della serie, e con una ipotesi di riduzione ancor più marcata nel 2020 (va detto, in presenza di un PIL ridotto a causa della crisi pandemica). La lettura della Relazione, che ci sentiamo di condividere, è che le misure richieste dalla Cgil da ormai oltre un decennio, sono state lentamente messe in campo, e iniziano a dare risultati tangibili.

Split payment e reverse charge, che assegnano il pagamento materiale dell’Iva al contribuente più affidabile, la fatturazione elettronica che permette un monitoraggio in tempo reale degli scambi lungo tutta la filiera, la trasmissione telematica dei corrispettivi da parte degli esercizi commerciali per non disperdere nell’ultima transazione l’IVA dei passaggi precedenti, le lettere di compliance che permettono un ravvedimento operoso prima ancora che scatti la verifica fiscale, la partenza degli Indicatori Sintetici di Affidabilità (Isa) al posto degli studi di settore, con criteri più ampi e con premialità per i contribuenti affidabili, sembrano, a sistema, iniziare a produrre i frutti sperati. Il tassello finale di questa telematizzazione delle comunicazioni tra operatori ed Agenzie è la “chiusura del cerchio” della fatturazione elettronica, estesa dal 2022 anche ai forfetari fino a 25.000 euro di ricavi (e da estendere a tutti dal 2024) e l’incrocio massivo e preventivo delle banche dati. La Relazione non tratta di questi due provvedimenti perché è solo nel 2022 che sono definitivamente partiti.

Rispetto alla distribuzione territoriale, come negli anni precedenti, si conferma che nelle regioni del Nord, specie nel Nord Ovest, si concentra la gran parte del mancato gettito, e di contro nelle regioni meridionali e nelle isole si riscontra una maggior propensione (percentuale) all’evasione.

In merito, invece, ai settori merceologici, nel 2019 l’incidenza dell’economia sommersa è maggiore nel commercio/alloggio e ristorazione (21,9% sul valore aggiunto) e nel settore delle costruzioni (20,8% sul V.A.) seguiti dall’agricoltura (17,3% interamente determinato dal lavoro irregolare anche perché come da relazione “Il sistema fiscale cui sono sottoposte le imprese agricole, infatti, è caratterizzato dalla presenza di regimi forfettari, riduzioni dell’imponibile, applicazione di aliquote ridotte, che rendono difficilmente configurabile la presenza di una dichiarazione mendace del reddito di impresa”) e dei servizi professionali (13,8%). In realtà, come ogni anno, il gap maggiore è ascrivibile al settore degli altri servizi alla persona (35,6%), settore caratterizzato da una alta dose di informalità, ad esempio nel lavoro domestico.

Quest’anno la Relazione comprende tre focus specifici su cedolare secca, regime dei forfetari, partenza degli Isa. In merito alla cedolare secca, ovvero l’imposta sostitutiva sui redditi da locazione, i dati ci dicono che essa ha aumentato il numero di immobili residenziali disponibili per l’affitto (riducendo, quindi, il numero di case sfitte o affittate in nero) ed incrementato di conseguenza la base imponibile. Tuttavia l’introduzione della cedolare non ha portato ad un incremento di gettito sufficiente a compensare la riduzione dell’imposta. Non è inoltre riuscita ad incentivare una riduzione dei canoni di locazione ed i benefici fiscali sono stati appannaggio delle classi di reddito più elevate. La Relazione boccia, quindi, la cedolare secca sia come politica di gettito che per le possibili esternalità sociali. Crediamo, tuttavia, che l’analisi manchi di evidenziare le differenze tra gli effetti della cedolare al 21% per i canoni liberi che per sua natura non incentiva la riduzione del costo dell’abitare e quella al 10%, destinata ai soli canoni concordati.

Per ciò che riguarda lo studio sul regime dei forfetari c.d. flat tax 15%, dall’analisi dei contribuenti aderenti si nota un particolare addensamento poco sotto la soglia limite di 65.000 euro. Prima del 2019 tale addensamento si riscontrava sotto la vecchia soglia di 30.000 euro. La lettura che la Relazione fornisce è che vi siano molti contribuenti che hanno la possibilità di attestare i propri ricavi in corrispondenza delle soglie definite attraverso omessa fatturazione o mancata attività. La conclusione più sbagliata cui si possa giungere è quella per cui alzando la soglia si assisterebbe ad un incremento del gettito. Come è valso per la cedolare, potrebbe verificarsi un certo incremento di base imponibile denunciata, ma una riduzione del gettito effettivo, e soprattutto appannaggio dei redditi più elevati. Aggiungiamo che gli strumenti messi in campo nel 2022 (fatturazione elettronica generalizzata ed incrocio banche dati, si veda sopra) dovrebbero in ogni caso rendere quantomeno più complessa la pratica dell’omessa fatturazione

Dai grafici presenti in relazione si nota che vi sono, invece, alcune classi di fatturato del tutto inelastiche alle variazioni della soglia del regime dei forfetari: coloro che incassano fino a 20.000 euro. Ebbene, questo dato dovrebbe motivare il legislatore a tarare per questi contribuenti, e non per altri, il regime semplificato forfetario. Sono infatti questi, davvero, i contribuenti minimi, i monocommittenti, quelli che esercitano attività marginali.

Per tutti gli altri il regime forfetario flat tax è altamente distorsivo perché incentiva l’evasione, penalizza gli investimenti, opera concorrenza sleale verso il lavoro autonomo più strutturato e verso il lavoro dipendente e soprattutto inchioda ad una dimensione puntiforme una quantità di imprese che avrebbero le potenzialità per crescere.

In merito agli Isa, rispetto agli studi di settore che limitavano l’analisi ai soli ricavi, questi si occupano anche del valore aggiunto e del reddito nella definizione dei “voti” che poi determinano le premialità. Tali premialità sembra, inoltre, abbiano avuto un discreto effetto anche sulle performance. Un raffronto tra i ricavi 2017-2018 dei contribuenti che hanno potuto accedere al regime delle premialità solo nel secondo anno dimostra che questi ultimi, di fronte alla possibilità di una diminuzione dei vincoli (i “premi” del sistema degli ISA) abbiano incrementato il livello dei propri ricavi.

Il ritardo nella pubblicazione della Relazione crediamo sia ascrivibile a una prudenza interna del Mef che probabilmente lo ha considerato un dossier politicamente sensibile. Ed è proprio questa idea che ci sentiamo di contrastare. La lotta all’evasione fiscale non può essere terreno di scontro politico. È tema di legalità, di giustizia, di risorse pubbliche, di concorrenza leale tra operatori che vogliamo augurarci travalichi ogni appartenenza. Per questo motivo è fondamentale che il percorso delineato in materia di lotta all’economia sommersa negli ultimi anni, grazie anche alle pressioni della Cgil, non vada interrotto. Purtroppo i venti che preannunciano un nuovo condono non sembrano andare in questa direzione.

Cristian Perniciano è responsabile delle politiche fiscali, economia e finanze della Cgil