L’Italia, si sa, è agli ultimi posti tra i paesi europei per quanto riguarda l'occupazione femminile. Non solo, come sottolinea Linda Laura Sabaddini (Istat), la quota maggiore degli oltre 800 mila posti di lavoro che si son persi rispetto ad un anno fa era occupata da donne. La crisi sanitaria infatti ha avuto un costo altissimo per le donne, sia in termini di occupazione, appunto, che in termini di aggravio del lavoro di cura causato dalla chiusura delle scuole. L’adattamento del lavoro agli equilibri familiari è ricaduto e ancora ricade per il 38% sulle occupate donne (per il 43 % con figli fino a 5 anni) e per il 12% sugli occupati padri. Si scopre anche che a subire una contrazione sono stati proprio quei settori dove maggiore era la presenza femminile, a cominciare dal turismo e dalla moda.

Inoltre, qualità del lavoro, stabilità, irregolarità, segmentazione e segregazione professionale sono tutti fattori che determinano diseguaglianza di genere. Se poi si aggiunge che il nostro è un Paese che rende quasi impossibile conciliare lavoro e cura vista la scarsità dei servizi, si capisce il perché del triste primato italiano. Un aspetto particolarmente critico, come noto, riguarda l’elevato tasso di irregolarità dell’occupazione che secondo l’Istat arriva a circa il 13% dell’occupazione totale, con marcate differenze fra settori: 13,9% nei servizi, 17% nell’alberghiero e nei pubblici esercizi, 23,8% nelle attività ricreative e più del 58% nel lavoro domestico. Nei settori dove è elevato il tasso di irregolarità, è molto marcata la presenza femminile.

Se questa è la situazione, la domanda che si sono poste le componenti del Forum permanente pari opportunità del Cnel è come intervenire per ridurre le diseguaglianze di genere. Riduzione utile non solo alle donne italiane, e già sarebbe sufficiente, ma all’economia del Paese: tutte le maggiori istituzioni economiche mondiale non fanno che ricordare come l’aumento dell’occupazione femminile incida positivamente sul Pil in maniera assai più consistente che l’aumento di quella maschile.

“L’emergenza sanitaria in corso rischia di compromettere i pur importanti risultati raggiunti finora in tema di parità di genere. La pandemia ha evidenziato le criticità presenti rispetto al lavoro, alla condivisione dei carichi di cura, alla violenza, alla formazione e allo stato di povertà. La situazione che stiamo vivendo rischia di acuire le diseguaglianze di genere esistenti nel Paese, rendendo il sistema ancora meno inclusivo. Le risorse europee "Next generation Eu" costituiscono un'opportunità straordinaria a patto che non si frammentino gli interventi”. Lo ha affermato Gianna Fracassi, vice presidente del Cnel, aprendo i lavori del Forum permanente pari opportunità riunitosi in via telematica per elaborare un manifesto che sarà sottoposto alla approvazione della prossima assemblea del Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro.

“La diseguaglianza di genere non è una questione da correggere, ma impone una diversa organizzazione della società”. Questo il parere espresso dalla sottosegretaria all’Economia Maria Cecilia Guerra, che ha inoltre sottolineato come le risorse europee siano una grande opportunità, ma che per coglierla occorre chiedere per ogni progetto del Recovery fund quale sia l’impatto in termini di occupazione femminile; "Insomma serve una valutazione ex ante e non solo ex post per ogni investimento". Infine un ammonimento, secondo Guerra “per spezzare il vincolo del lavoro di cura è necessario investire in servizi e allora la logica dei trasferimenti monetari e degli incentivi fiscali è sbagliata”.

Sonia Ostrica (Uil) ha reso esplicito che per costruire un piano di investimenti in un'ottica di genere è indispensabile che vi sia la presenza delle donne nei luoghi delle decisioni. Liliana Ocmin (Cisl) ha ricordato che se per il green e la digitalizzazione le linee giuda arrivate dalla Commissione europea stabiliscono una quota minima di investimenti, così non avviene per il capitolo delle infrastrutture sociali, Almeno in Italia “occorre vincolare le risorse per le infrastruttura sociali”, ha sostenuto. Giorgia Fattinnanzi (Cgil) ha sottolineato come sia necessario immaginare politiche a lungo termine; servono servizi ma servono anche strumenti di condivisione delle responsabilità familiari. La sindacalista della confederazione di corso d’Italia ha lanciato anche una provocazione che forse tanto provocazione non è: “Occorre ripesare cosa vuol dire produttività”.

La discussione è stata davvero ricca e piena di spunti, la definizione del manifesto ha tenuto conto del contributo delle diverse consigliere e delle economiste. Tre sono gli assi su cui il manifesto chiede di concentrare gli interventi: creazione di lavoro femminile, welfare e conoscenza. Il settore dei servizi è quello che può liberare le donne dal lavoro di cura, creare occupazione femminile di qualità e, rispondendo a bisogni specifici di cittadini e cittadine, migliore la qualità della vita di tutti e aumentare la coesione sociale. Ed ecco allora gli impegni concreti che il manifesto, una volta approvato dall’assemblea generale del Cnel, chiederà al governo: copertura fino al 60 per cento dei posti negli asili nido nei prossimi cinque anni; copertura al 100 per cento della scuola dell’infanzia per tutti e su tutto il territorio nazionale; aumento del tempo scuola nella primaria e raddoppio del tempo pieno. E poi occorre costruire i servizi per gli anziani e la non autosufficienza ,a cominciare dall’housing sociale. Il manifesto indica anche una serie di strumenti per favorire la condivisione del lavoro di cura e liberare tempo delle donne; indispensabile è estendere il congedo parentale obbligatorio per i maschi.

Creare lavoro, di qualità, per le donne si può attraverso incentivi all’imprenditoria femminile e  un piano di occupazione pubblica finalizzato a compensare il turn-over e a rafforzare le reti pubbliche. Ma qualità significa anche lotta alla precarietà. Infine il capitolo conoscenza e formazione. Il manifesto sostiene che “oltre ad un sistema che favorisca la riqualificazione e la formazione permanente in relazione ai processi di digitalizzazione, è necessario rafforzare gli strumenti che favoriscano l’innalzamento del numero di laureate in particolare in alcuni settori. Proponiamo quindi una quota di borse di studio e di dottorati rosa con particolare riferimento ai settori Stem”.