Il piano franco-tedesco per affrontare gli effetti economici della pandemia, l’ipotesi di condizionalità, l’uso degli ipotetici 100 miliardi che andrebbero in prestito all’Italia, sono i temi affrontati dall’economista Anna Soci, docente di Macroeconomia all’ Università di Bologna con incarichi accademici in numerose atenei internazionali e ricercatrice in materia di disuguaglianze e democrazia.

Come giudica la proposta messa a punto tra Parigi e Berlino per mettere a disposizione 500 miliardi di euro per le zone maggiormente colpite dal Covid-19?

Ben vengano i soldi, se sono a fondo perduto, ma è scandaloso, trovo che siamo al limite dell’offensivo, l’esistenza di un accordo, di un’iniziativa franco-tedesca. Sulle condizionalità aspettiamo di vedere cosa deciderà la Commissione, ma è scandaloso che due Paesi fondatori - come lo siamo anche noi che non siamo un’economia marginale - prendano questa iniziativa dopo che per mesi siamo stati tutti in agitazione per sollecitare l’attenzione politica su questi temi. Sono rimasta basita davanti all’apparire di Merkel e Macron in videoconferenza con questo bel lancio.

La Francia ha approfittato dell’occasione, appoggiando strumentalmente Spagna e Italia nelle loro proposte avanzando l’ipotesi del Recovery found, per poi costituire un asse con la Germania?

Assolutamente sì, è un discorso per politologici, ma è una cosa che grida vendetta. Ciò non toglie che questi soldi vadano presi, poi però bisognerà vedere in altra sede cosa si vorrà fare di questa Europa e questo lo sa anche il comune cittadino informato sui fatti. E poi c’è il nostro peculiare problema, quello dell’uso dei fondi, della nostra incapacità di fare fronte in modo pronto, rapido ed efficiente alle difficoltà, e lo sta mostrando ancora una volta il sistema bancario come anche la nostra burocrazia (l’ultimo decreto consiste di 400 pagine che si potrebbero riassumere in 40). E’ questo il male dell’Italia. Quindi ci sono tre aspetti da considerare: c’è l’aspetto politico, che ci pone il quesito su dove sta andando l’Unione europea e cosa si può e di deve fare a seconda delle diverse convinzioni; c’è l’aspetto economico, vale a dire, abbiamo bisogno di soldi da qualunque parte vengano, li dobbiamo prendere a patto che non ci richiedano di uccidere nuovamente il welfare e la spesa pubblica; terzo aspetto è curare le nostre malattie, noi le abbiamo e dovremmo essere così onesti da riconoscerle in modo eclatante, altrimenti va perso tutto. Se noi continuiamo a usare tonnellate di miliardi per fare quello che abbiamo sempre fatto, con una spesa pubblica inefficiente, misure assistenzialistiche, etc..., la direzione è sbagliata, non c’è dubbio.

Oltre a come usare i soldi è necessario ripensare al sistema?

Ciascun Paese ha suoi problemi, il quadro macroeconomico è quello del sistema capitalistico, ma noi abbiamo problemi di produttività stagnante che risale ancora a prima della crisi del 2008, ma da noi la produttività è calante e da sempre è un fattore che riguarda il capitale umano e la tecnologia. E’ lì che siamo carenti. E’ un problema che in Germania non c’è, perché la produttività cresce poco ovunque, ma da noi cala. La nostra necessità è quella di una revisione totale del mercato del lavoro, la Germania ha giocato d’anticipo con la concertazione molti anni fa e questo ha pagato in termini di produttività. Da qui anche il ruolo del sindacato, che deve cambiare pelle e non può fare solamente da vigile urbano nella contrattazione, ma deve intervenire anche a livello locale per fare da tutor sul lavoro, deve aiutare il lavoro ad avere un ruolo diverso e più partecipativo nelle singole industrie. Noi siamo un sistema che non funziona, è tutto da cambiare ed è sotto gli occhi tutti da tanto tempo. La nostra crisi inizia nei primi anni 80 e le caratteristiche sono sempre quelle e sempre più marcate. E’ più un problema nostro che europeo, noi abbiamo delle criticità in più.

Quali sono quindi, a suo parere, le priorità da affrontare immediatamente?

Prima cosa il mercato del lavoro: bisogna rimodulare i diversi ruoli e le relazioni tra lavoro e capitale, tra impresa e fattore produttivo, tra capitale umano e tecnologia. Il lavoratore non può farsi carico delle scoperte tecnologiche, di ricerca e sviluppo, perché è l’impresa che lo deve fare, ma il capitale umano sì che riguarda noi e il sindacato deve farsi carico anche di questo. E’ necessario agire su diversi fronti, la produzione è fatta da imprese, lavoro e capitale, su questi bisogna intervenire. Le imprese devono inventare e innovare, ma in Italia la spesa su ricerca e innovazione è ridicola rispetto al resto dell’Europa, quindi sono le imprese che non fanno il loro mestiere perché non innovano e non investono. Al momento mi viene un esempio di impresa italiana, un esempio scandaloso, perché è scandalosa la richiesta di prestito da parte della Fiat (io Fca continuo a chiamarla così): ha sede fiscale in Olanda e Inghilterra e come si permette di chiedere un prestito garantito dallo Stato? Dopo che ha distrutto una delle catene produttive più importanti e più storicamente radicate e che aveva anche un valore culturale nel nostro Paese… Tornando alle priorità, ora il lavoro non ha più diritti, riconoscimenti, non ha più forza, è tutto spostato sull’usa e getta e sul mordi e fuggi, quindi deve essere riequilibrato tutto quello che ha subito invece un forte squilibrio.