“L’esperienza insegna che ogni periodo di emergenza sedimenta qualcosa anche nell’ordinario. Ecco perché invece ora serve un salto di qualità da parte delle organizzazioni della società civile, delle organizzazioni sindacali affinché la società si fondi su altre basi rispetto al passato”. È la lettura di come dovrebbe essere affrontato questo momento di totale stravolgimento della nostra società dovuto alla pandemia in corso fatta da Marco Bersani, tra i fondatori di Attac Italia, componente della rete internazionale di opposizione e alternativa al neoliberismo, nonché promotore del Forum italiano dei movimenti per l'acqua e della campagna Stop Ttip Italia.

Le misure messe in campo a livello europeo e nazionale tengono conto, anche lontanamente, della necessità del cambio di paradigma al quale lei fa riferimento?

Le misure europee dimostrano l’illusione di affrontare una crisi straordinaria con misure ordinarie. Le risorse sono insufficienti e interne alla logica del debito che va a intrappolare i Paesi dell’Unione. Facendo una panoramica: 100 miliardi sono stati messi sul Sure (una sorta di cassa integrazione europea), peccato che se vai a leggere le carte è denaro che dovrà servire per dieci anni e per tutta l’Europa, vale a dire 10 miliardi l’anno da suddividere per gli Stati membri e non è un gran che, visto che solamente il nostro governo ne ha messi nove; la Bei (la Banca europei per gli investimenti, ndr) mette sul piatto 200 miliardi che in realtà non ci sono, perché sono soldi messi a garanzia dagli Stati con i quali la stessa Bei prevede nel tempo di fare raccolta sui mercati, quindi non è denaro spendibile; dal Mes (il Meccanismo europeo di stabilità, ndr) arrivano 240 miliardi da mettere sulla sanità senza condizioni, per il resto si tratta di altri tipi di aiuto e per l’Italia saranno 36 miliardi senza condizionalità in entrata, ma in uscita ci sarà da firmare un memorandum che impegna a fare riforme all’insegna di politiche di austerità, vale a dire privatizzazioni, deregolamentazione del lavoro, tagli alla spesa pubblica, etc. È chiaro che l’Europa si stia muovendo in una direzione sbagliata. Si sarebbe invece potuto attivare, ad esempio, da parte della Bce un finanziamento diretto agli Stati: non è previsto dallo statuto, ma come si è sospeso il patto stabilità si poteva anche derogare allo statuto della Banca centrale europea, temporaneamente e fino a fine emergenza.

Sul versante delle misure nazionali?

Il governo sta mettendo parecchi soldi, peccato che, a mio avviso, chi detta le scelte politico-economiche è la cultura d’impresa. Nella Fase 1 si è deciso di dichiarare tutto il territorio nazionale zona arancione pur di non dichiarare zone rosse alcune zone del Nord, vale a dire i distretti più industrializzati come le provincie di Brescia e Bergamo, o il centro logistico nazionale della provincia di Piacenza (guarda caso tre provincie tra le più colpite dal Covid-19). Questo perché nella zona arancione le attività produttive non hanno avuto l’obbligo di chiudere. Vero è che il governo ha detto no allo stop solamente per i settori essenziali, ma ha lasciato poi che, attraverso un’autocertificazione, il singolo imprenditore decidesse che le proprie attività sono essenziali e così 155 mila aziende non comprese nel codice Ateco hanno continuato a lavorare. Questo ha comportato che, in particolare in quelle zone, un serio problema sanitario sia diventato tragedia di massa. Purtroppo questa spinta da parte delle imprese ha comportato che se io devo contenere contagio allora accelererò sulla reclusione di fasce intere della popolazione. Parlo soprattutto dei bambini, rispetto ai quali la vera vergogna delle politiche messe in campo consiste nel non averli mai nominati, o meglio, vengono nominati solamente per dire quello che non possono fare, mentre quello che possono fare è solamente un problema delle famiglie. Non c’è nessuno che consideri le conseguenze, i danni provocati da prolungata clausura soprattutto per le età più piccole.

Ora stiamo entrando nella Fase 2’e il segno non sembra cambiare...

Siamo in una fase in cui le misure potevano essere differenziate regione per regione. Abbiamo alcune regioni del Centro-Sud vicine al controllo del contagio e questo poteva già permettere di sperimentare, in alcune zone e molto gradualmente, una serie di aperture, ad esempio delle scuole e degli spazi pubblici, ma ancora una volta si è fatta sentire "la voce del padrone", quella che arriva dai distretti industriali del Nord, e la spinta a ripartire viene ancora secondo la cultura d’impresa, così si va verso la riapertura delle attività produttive e la clausura della popolazione. In questo modo possiamo vedere che pandemia ha evidenziato la gerarchizzazione dei diritti nella nostra società: abbiamo la fascia degli anziani abbandonata a se stessa, otto milioni di minorenni letteralmente scomparsi e dentro i posti di lavoro prosegue il ricatto sui lavoratori, perché le imprese hanno detto che va avanti con condizioni di massima sicurezza, ma non si capisce chi andrà a controllare se le misure sono applicate oppure messe in campo solamente per riaprire.

Bersani, fin qui l’analisi: e la sintesi?

Credo che occorra un salto di qualità da parte delle organizzazioni della società civile e sindacali, di tutti quelli che pensano la pandemia ci insegni che la società si deve fondare su altre basi. Perché siamo esattamente di fronte a un bivio, a una biforcazione storica. Una strada è quella di decidere di lasciare che le cose proseguano senza soluzione di continuità e allora ci ritroveremo ancora con un modello liberista, con le politiche di austerità, ma questa volta giocate in un contesto molto più autoritario del precedente, perché è vero che le misure limitative delle libertà individuali sono state necessarie, ma l’esperienza insegna che in ogni periodo di emergenza sedimenta qualcosa anche nell’ordinario, cioè che rischiamo di ritrovarci dentro lo stesso meccanismo economico e sociale ma con un di più di controllo sociale che è stato sperimentato in questi mesi. L’altra strada che credo tutti dobbiamo provare a intraprendere è quella di chi comincia a mettere insieme un paio di cose: una, ad esempio, è la profonda ragione del pensiero femminista di questi decenni che ha sempre detto che non è possibile alcuna attività economica senza lavoro di cura. La pandemia dimostra che o curi la vita delle persone e la salute, o le attività economiche rischiano di essere paralizzate. Quindi bisognerebbe forse cominciare a reimpostare le stesse attività economiche e mettere in campo una risignificazione del lavoro che dovrebbe essere indirizzata a costruire la società della cura, di sé, degli altri, dell’ambiente. E allora, anche tutte le risorse messe in campo o vengono indirizzate a processi di riconversione e trasformazione ecologica dell’economia, oppure rischiamo di mettere in campo risorse per riprodurre un modello che è quello che ci ha portato dentro questa paralisi. Vorrei far notare che è la prima volta che quasi metà della popolazione mondiale è chiusa in casa:  se non si ridiscute il modello economico sociale di fronte a un dato come questo - che da i brividi - rischiamo di fare come l’orchestra che suona sul Titanic mentre la nave va verso gli iceberg.

Si riuscirà a cogliere l’alto incremento delle disuguaglianze nel momento della riapertura delle attività commerciali, quando la domanda arriverà solamente dai lavoratori dipendenti non in cassa integrazione perché coloro che sono rimasti a reddito zero non avranno denaro da spendere?

Il dato su chi si è trovato senza paracadute lo da anche il decreto che prevede l’aiuto dei 600 euro: in 4 giorni 4 milioni e mezzo di domande, una fascia molto consistente, un problema enorme, e ancora una volta la dimostrazione di cosa sono le disuguaglianze sociali in questo Paese e come possano polarizzarsi non appena c’è l’emergenza. Ci sono milioni di persone che si sono trovate da un momento all’altro senza alcuna possibilità di reddito. Non credo siano sufficienti 600/800 euro, serve un reddito garantito. Secondo me inoltre sta prendendo piede l’idea di un’ipotesi reddito incondizionato, perché non si può pensare che l’enorme ricchezza che continua a esistere (i soldi in realtà ci sono e sono tanti, persino troppi), ma sono indirizzati dalla parte sbagliata, per concentrazione di ricchezza e per utilizzo. Ad esempio il solo risparmio postale dei cittadini in mano a Cassa depositi e prestiti ammonta a 250 miliardi, se fossero indirizzati per un altro modello sociale che redistribuisca le attuali ricchezze andrebbero in una direzione, se invece utilizzati per approfondire le disuguaglianze sociali, è chiaro che sarebbero indirizzati verso interessi privatistici e non generali. Se si vuole chiudere con un ciclo di politiche di austerità, le spese vanno reindirizzate su sanità, istruzione, sostegno del reddito e poi su un’idea del lavoro diversa che vada verso la riconversione ambientale.