Per avere un quadro più chiaro di come i partiti che compongono l’attuale maggioranza intendano i diritti, in particolare delle donne e delle persone Lgbtqi+, è utile partire dal 2019 e dal congresso delle famiglie di Verona. E ancor di più dalla pubblicazione dello studio del Forum del Parlamento europeo intitolato “Restaurare l’ordine naturale” che raccontava trame, connessioni, metodi e fonti di finanziamento di una sorta d'internazionale della reazione, decisa a far arretrare i diritti sessuali e riproduttivi nel mondo e in particolare in Europa.

Il congresso richiamò a Verona molti politici di spicco della nuova maggioranza, a partire dalla presidente del Consiglio in pectore e dall’appena eletto presidente della Camera, allora ministro della Famiglia. Le forze progressiste, con in testa i movimenti transfemministi e Lgbtqi+, organizzarono una grande manifestazione a difesa dei diritti.

Quel coacervo di fatti spiega bene perché la comunità Lgbtqi+ e i movimenti femministi, con sparutissime eccezioni, vivano con tanta apprensione il nuovo potere. La parola d’ordine di quell’internazionale reazionaria è lo smantellamento dei diritti, a partire dall’interruzione volontaria della gravidanza, dai diritti matrimoniali e di filiazione delle persone gay, lesbiche e trans, dal diritto all’affermazione di genere delle persone trans*. È su questa parola d’ordine che si basano le alleanze - più o meno inconfessabili - con Polonia, Ungheria, Russia.

Il timore di ciò che può succedere in Italia nasce dall’osservazione di quanto avvenuto in quei Paesi nei quali un richiamo alla famiglia tradizionale, ai valori cristiani, alla salvaguardia della vita fin dal concepimento, alla presunta difesa delle bambine e dei bambini da fantomatiche “teorie gender” si è tradotto in repressione e limitazioni fortissime e inaccettabili alla libertà delle persone, da quella di manifestazione del pensiero, per contrastare la cosiddetta “propaganda gender”, agli arresti in Polonia e Russia, alle restrizioni sempre più forti del diritto all’aborto, alla negazione dei diritti delle persone trans*.

Peraltro molte cose possono essere realizzate senza arrivare all’abrogazione di leggi (percorso accidentato soprattutto quando le leggi in oggetto godono da sempre di un consenso maggioritario) e lo si è visto col primo governo Conte, quando il ministro leghista dell’Interno emanò la circolare che imponeva il ritorno alla dicitura “padre” e “madre” sulla richiesta dei documenti d'identità dei minori, di fatto limitandone la libertà di movimento (o costringendo i genitori dello stesso sesso a un palese falso ideologico e alle relative conseguenze legali), oppure nelle regioni amministrate dalle stesse forze, nelle quali la disapplicazione della legge 194 è avvenuta attraverso l’aggiunta di ostacoli procedurali e non attraverso modifiche alle norme: percorsi meno a rischio di contestazioni popolari e dal risultato altrettanto sicuro.

Anche le parole utilizzate recentemente richiamano le indicazioni di quell’internazionale reazionaria: non si parla più di limitazioni ma si adotta, distorcendolo, il linguaggio dei diritti: il diritto del bambino ad avere una mamma e un papà, il diritto delle donne a non abortire, il diritto a ricevere un’educazione che non sia indottrinamento gender. E intanto si stringono accordi con i “provita” che sostengono la negazione di qualunque diritto delle persone e li si candida nelle proprie liste.

E non è un particolare insignificante se le tre forze dell’attuale maggioranza hanno presentato nella precedente legislatura tre proposte di legge, di cui una d'iniziativa popolare, tendenti, tutte, alla cosiddetta criminalizzazione universale della genitorialità same-sex.

Dovremo essere vigili, anche come organizzazione sindacale, per frenare questa deriva continuando a diffondere la cultura dell’inclusione nel mondo del lavoro e anche fuori da esso, ispirandoci al nostro modello di società aperta, inclusiva, dei diritti.

Sandro Gallittu è responsabile ufficio Nuovi diritti della Cgil nazionale