Alle 19 e 41 del 25 gennaio 2016 il ricercatore italiano Guido Regeni invia un sms alla fidanzata in Ucraina. Poco dopo, la studentessa Noura Wahby, conosciuta da Giulio nel 2014 a Cambridge, denuncerà sul proprio profilo Facebook la scomparsa del ricercatore.

Il corpo nudo e atrocemente mutilato di Giulio Regeni sarà trovato il 3 febbraio in un fosso lungo la strada del deserto Cairo-Alessandria, alla periferia del Cairo. Il corpo mostra segni evidentissimi di tortura: contusioni, abrasioni, lividi estesi compatibili con lesioni da calci, pugni e aggressione con un bastone. Si potranno contare  più di due dozzine di fratture ossee, tra cui sette costole rotte, tutte le dita di mani e piedi, così come entrambe le gambe, le braccia e scapole, oltre a cinque denti rotti.

“L'ultima foto che abbiamo di Giulio - diceva la mamma Paola Deffendi pochi giorni dopo il ritrovamento - è del 15 gennaio, il giorno del suo compleanno, quella in cui lui ha il maglione verde e la camicia rossa. Non si vede, ma davanti a lui c'è un piatto di pesce e intorno gli amici, perché Giulio amava divertirsi. Il suo era un viso sorridente, con uno sguardo aperto. E' un’immagine felice”. Poi c’è un’altra immagine. Quella che “con dolore io e Claudio cerchiamo di sovrapporre a quella in cui era felice”, quella all’obitorio. “L’Egitto ci ha restituito un volto completamente diverso. Al posto di quel viso solare e aperto c’è un viso piccolo piccolo piccolo, non vi dico cosa gli hanno fatto. Su quel viso ho visto tutto il male del mondo e mi sono chiesta perché tutto il male del mondo si è riversato su di lui. All’obitorio, l’unica cosa che ho ritrovato di quel suo viso felice è il naso. Lo ho riconosciuto soltanto dalla punta del naso”.

Nato a Trieste il 15 gennaio 1988 e cresciuto a Fiumicello, in provincia di Udine, Giulio aveva studiato a lungo all’estero e al momento del rapimento stava conseguendo un dottorato di ricerca presso il Girton College dell’Università di Cambridge.

Il ritratto che amici e parenti hanno fatto di lui è unanime: una “bella persona”', un giovane “determinato, ma solidale”.

“Restare fermo, per lui, sarebbe stato quasi un atto di egoismo - scrivevano mamma Paola e papà Claudio nel volume, bellissimo, Giulio fa cose - (…) Ha sempre viaggiato, iniziando quando era ancora al liceo. Andò a frequentare il quarto e quinto anno in New Mexico, per poi decidere di trasferirsi in Inghilterra per frequentare lì l’Università. D’estate invece andava a fare stage all’estero, quelli per cui i giovani non vengono pagati, ma che sono importanti per migliorare il proprio CV. Abbiamo scelto questo titolo per raccontare quante cose avesse fatto, nonostante la sua giovane età ed essendosi trovato a vivere la condizione di precarietà lavorativa a cui sono condannati i giovani di oggi”.

“Un ragazzo generoso, straordinariamente generoso. Se gli piaceva qualcosa la leggeva e la imparava. Era pronto a mettersi in discussione ogni volta che lo riteneva giusto. Amava viaggiare e questa passione l’aveva ereditata sin da piccolo, quando partivamo tutti e quattro insieme per le vacanze e ha continuato a coltivarla crescendo”.

Un ragazzo generoso, un ragazzo che non c’è più, ucciso - ancora oggi - senza un perché. E purtroppo non sarà il solo.

“Giulio Regeni non è stata l’unica vittima delle autorità egiziane - denunciava qualche tempo fa il direttore esecutivo di Cfj, Ahmed Mefreh - Dopo il suo omicidio ne sono accaduti altri nei confronti di stranieri, penso al francese Eric Lange, l’americano James Henry Lawne e altri, uccisi a sangue freddo e senza alcuna conseguenza penale nei confronti dei loro torturatori e assassini. Si tratta di pochi casi rispetto alla moltitudine dei nostri connazionali fatti fuori dal regime in quanto considerati scomodi. Ciò che sta accadendo in Egitto da alcuni anni a questa parte è ammantato da un silenzio internazionale sospetto”.

“In Egitto 3 / 4 persone al giorno scompaiono - scrivono ancora Paola e Claudio -  Alcune vengono fatte ritrovare morte. Alcune riappaiono anche anni dopo con un arresto firmato in quel momento. Moltissimi invece non riappaiono più. Noi ci auguriamo che tutte le persone che lo hanno spiato, tradito, seguito, torturato, quelli che hanno scaricato il suo corpo, che ne hanno coperto le tracce, che hanno ucciso cinque innocenti dopo e che continuano a mentire oggi parlino. (…) si facciano vivi perché (…) abbiamo bisogno di verità!”.

Dal giorno del suo ritrovamento nel febbraio del 2016, lo striscione giallo “Verità per Giulio Regeni” ha fatto il giro del mondo.

“Verità per Giulio Regeni” è diventata la richiesta di Amnesty International, di tanti enti locali, dei principali comuni italiani, delle università e di altri luoghi di cultura del nostro paese che hanno esposto questo striscione, o comunque un simbolo che chieda a tutti l’impegno per avere la verità sulla morte di Giulio. “Perché Giulio fa cose ma non può fare tutto da solo”.