I Cas (Centri di accoglienza straordinaria) sono strutture pensate come temporanee, attivate dalle prefetture e gestite attraverso appalti. Col passare degli anni sono aumentati a dismisura, diventando la soluzione definitiva nell’80% dei casi.

I tagli di Salvini
Il primo decreto sicurezza e il nuovo capitolato di gara approvato dal ministero dell’Interno nel novembre 2018, hanno ridotto drasticamente i fondi per queste strutture, impattando perlopiù sull’accoglienza diffusa. Per i Cas più piccoli il taglio è arrivato addirittura al 39%, anche se poi c’è stato un piccolo aumento. I famigerati 35 euro al giorno si sono così ridotti a 21,35, i centri fino a 50 utenti hanno visto calare il finanziamento a 26,35 euro, mentre dai 51 ai 300 utenti ci si deve oggi accontentare di 25,25 euro. 

Grandi centri 
Questo ha sostanzialmente reso la vita impossibile ai centri con pochi posti disponibili, privilegiando sistemazioni affollate che permettono di attuare economie di scala. Luoghi in cui però, come dimostra chiaramente il caso di Treviso, anche un solo contagio può trasformarsi facilmente in focolaio. Dopo la presentazione del nuovo capitolato d'appalto con i prezzi al ribasso, i bandi di gara sono stati orientati verso le grandi strutture che oggi sono l’'83 per cento del totale. Il decreto sicurezza ha demolito l'esperienza virtuosa dell'accoglienza diffusa, degli immigrati distribuiti sul territorio in numeri tali da rendere più facile l'integrazione.

Meno migranti, meno denaro
Il numero dei migranti in accoglienza si è tra l’altro dimezzato rispetto a tre anni fa, scendendo dai 180.000 del 2017 sotto i 90.000, grazie anche all'esclusione di chi aveva la protezione umanitaria. E la spesa, da 1,7 miliardi del 2017, è calata sotto il miliardo. A fare la parte del leone, lasciando solo le briciole alle associazioni del terzo settore, sono i grandi gruppi che si sono aggiudicati la gestione dei Cas.

Il business dell’accoglienza
Secondo una recente indagine Openpolis-Actionaid, il 73% degli stranieri in Italia oggi vive in centri da cento o più posti. Enormi edifici gestiti solitamente da enti profit, società immobiliari e commerciali. Grandi gruppi in grado di aggiudicarsi quei bandi che le associazioni del terzo settore hanno dovuto disertare. Così a Roma, dei circa 4.000 posti disponibili, solo 200 sono rimasti in unità abitative. E dei 17 gestori di un anno fa, 7 sono stati costretti ad abbandonare lasciando campo libero ai colossi come Medihospes. A Milano, invece, s’è registrato l’abbandono di ben 11 associazioni del terzo settore. E il 64% dei posti in accoglienza è finito in mano a due grandi gruppi che hanno incassato in un anno cifre superiori ai 12 milioni a testa: anche qui Medihospes e la Versoprobo.