Oltre il 30% dei detenuti è in carcere per effetto delle normative antidroga, leggi basate su un proibizionismo che costa al nostro Paese 20 miliardi di euro di mancate entrate. I dati ce li fornisce l’undicesima edizione del Libro bianco sulle droghe, presentato alla Camera dei deputati e promosso da Forum droghe, Società della Ragione, Antigone, Cnca, Cgil, Associazione Coscioni, Arci, Lila, Legacoop Sociali. “Droghe e carcere al tempo del Coronavirus”, questo il titolo della pubblicazione, contiene un’analisi delle conseguenze di norme proibizioniste e descrive i numeri relativi agli ingressi in carcere per violazione della legge, le segnalazioni al prefetto, le attività di repressione delle forze dell’ordine, il ricorso alle misure alternative.

Come ci spiega Denise Amerini, responsabile Dipendenze dell’Area welfare della Cgil nazionale, negli ultimi anni si è “tornati a una narrazione sulle droghe che ci riporta indietro nel tempo riprendendo a parlare di droga anziché di droghe e questo è pericoloso perché invece è prioritario differenziare. Ci sono infatti consumi, come quello della cannabis, che si sono ormai normalizzati: gli studenti la provano ed è necessario che abbiano quindi un rapporto costruttivo con gli adulti senza sentirsi dire che le droghe sono tutte uguali, perché sanno bene che fumare uno spinello è diverso dall’ubriacarsi o dall’assumere cocaina”. La guerra alla droga sembra essere diventata negli ultimi anni la guerra ai consumatori, con un aumento notevole delle persone in carcere per reati legati alle normative sugli stupefacenti, ma non si tratta di grandi trafficanti, ma di persone che fanno uso di sostanze o di pesci piccoli del mondo dello spaccio. Per questo motivo i promotori del Libro bianco invocano l'intervento regolarizzatore del Parlamento.

In questo particolare momento di misure emergenziali seguite alla pandemia da Covid-19 il consumo delle droghe trova un legame anche con il tema del nostro sistema sanitario e dell’integrazione sociosanitaria. Amerini ricorda che siamo di fronte ancora ad “aspetti molto moralistici e colpevolizzanti che riconducono l’uso sostanze a situazioni di disagio e problematiche”, mentre ci sono, ad esempio, i dati sulla diffusione della cocaina che ci mostrano come ad essere interessati siano diversi ambienti e persone che conciliano l’uso di questo stupefacente con la loro vita lavorativa e famigliare. Da qui l’importanza dei servizi sociali e, in particolare, di quelli che si occupano della riduzione del danno, che agiscono nei luoghi del divertimento e del consumo “avendo tra i principali obiettivi la consapevolezza da parte dei consumatori dei rischi e di come prevenirli”. C’è infatti chi fa un uso controllato di sostanze stupefacenti e che ha principalmente bisogno di essere aiutato a non passare all’abuso.

La presentazione del Libro bianco, come ogni anno, ha riacceso in ambito politico il dibattito sulla legalizzazione delle droghe leggere e in particolare sulla cannabis, e ha visto anche un sit-in antiproibizionista davanti a Montecitorio popolato da parlamentari dello schieramento di governo. “La Cgil – dice la responsabile Dipendenze dell’Area welfare del sindacato – sta parlando e ragionando di legalizzazione dal 1995, perché significherebbe non solo recuperare per la nostra economia un prodotto che fa parte della nostra storia (basti pensare solamente all’industria tessile), ma soprattutto togliere questa fetta di mercato alla criminalità organizzata e sottratte i giovani al rischio dovuto al contatto, durante l’acquisto, con questo mondo davvero pericoloso. Senza contare che nei Paesi che hanno deciso per la legalizzazione non si è riscontrato un aumento del consumo e anzi, in alcuni casi, una diminuzione”.