Ventisei ore di lavoro, nessuna pausa, un compenso di soli 30 euro vale a dire 1,15 euro l'ora. Erano le condizioni a cui erano costretti alcuni braccianti di origine bengalese impiegati in un'azienda agricola di Amantea nel cosentino. Trattati come schiavi, mangiavano a terra o sulle cassette della frutta perché non avevano il permesso di sedere al tavolo come gli italiani. A loro disposizione solo abitazioni prive di servizi igienici funzionanti. La minaccia di licenziamento o le aggressioni fisiche erano all'ordine del giorno per chi osava lamentarsi. Alla fine in quattro hanno deciso di rivolgersi alla polizia. Questa mattina l'operazione "Uomini o caporali" si è conclusa con le notifiche di sette ordinanze di custodia cautelare agli arresti domiciliari emesse dal Gip del Tribunale di Paola per intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro. I destinatari sono i cinque soci dell'impresa agricola e due dipendenti.

Per i sindacati del settore agricolo: si tratta di "un'altra squallida e terribile vicenda di caporalato e di sfruttamento in agricoltura”. “Le condizioni disumane, di vera e propria schiavitù, in cui erano tenuti i lavoratori bengalesi liberati dalla Polizia, costretti a turni massacranti per un salario da fame – denunciano Flai Cgil, Fai Cisl e Uila Uil Calabria - , non sono purtroppo l’unico esempio di un fenomeno dalle radici antiche, presente in tutta la Calabria come anche altre operazioni delle forze dell’ordine hanno portato all’attenzione dell’opinione pubblica; una vera e propria piaga sociale che si accompagna al lavoro nero, alla mancata applicazione dei contratti di lavoro, a forme di concorrenza sleale, e che deve essere contrastata con ogni mezzo".