Dall’Onu la definizione di “sentenza storica” per la decisione della Corte suprema degli Stati Uniti che ha stabilito l’illegalità dei licenziamenti sulla base dell'orientamento sessuale o dell'identità di genere. Un paradosso, se si pensa che si tratta di una conquista che nel XXI secolo dovrebbe essere acquisita. Una considerazione condivisa dal responsabile dell’Ufficio nuovi diritti della Cgil, Sandro Gallittu, il quale trova inoltre un’analogia tra il contesto americano e la realtà del nostro Paese. “Nell’America di Trump una tale sentenza assume un’importanza particolare in una fase pre-elettorale e alla luce degli attacchi forsennati nei confronti delle persone gay, lesbiche e trans da parte dell’amministrazione in carica”, spiega Gallittu, ricordando che uno di primi provvedimenti presi all’inizio della presidenza di Trump è stato proprio in questo campo e in direzione contraria all’operato del suo predecessore, Barack Obama.

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“Si sono poi susseguite – ricorda - una serie di azioni indicative del fatto che quella destra sovranista, come quelle di tutto il mondo, sceglie quell’obiettivo perché molto popolare tra i suoi elettori e agita i loro animi”. La sentenza va quindi in senso opposto alle politiche delle destre sovraniste, ma “rimane sempre un paradosso”, perché sancisce diritti che dovrebbero essere scontati, come non sono scontati in Italia, dove a breve si dovrebbe discutere in Parlamento di una proposta di legge per il contrasto della violenza e della discriminazione per motivi legati al genere, all’orientamento sessuale e all’identità di genere. Un testo che ha provocato minacce di morte via social al suo relatore, l’onorevole Alessandro Zan, a dimostrazione che la strada per cancellare l’omolesbobitransfobia è ancora lunga e non priva di ostacoli.

Gallittu, per spiegare poi i contenuti della proposta di legge, riprende il tema delle discriminazioni in ambito lavorativo e cita la modifica dell’articolo 18 operata attraverso il Jobs act dal governo Renzi: “Elimina l’obbligo di reintegro in caso di licenziamento senza giusta causa e, quando fu approvata la legge, il governo mise le mani avanti dicendo che il licenziamento discriminatorio rimane sanzionabile con il reintegro, ma sappiamo bene che la natura discriminatoria del licenziamento è difficile da dimostrare, tranne nel caso in cui il datore di lavoro sia così allocco da ammettere l’intento. In precedenza la protezione contro le discriminazioni la si salvaguardava attraverso la norma generale sui licenziamenti, così da riuscire a comprendere anche quei casi in cui non si riusciva a dimostrare l’intento discriminatorio. Oggi non è più così o lo dimostri, oppure il licenziamento rimane valido ed efficace con un eventuale risarcimento monetario”.

Se il responsabile dell’Ufficio nuovi diritti della Cgil dovesse dare un titolo alla proposta di legge (sintesi di una serie di testi depositati alla Camera), sceglierebbe “Non solo penale” e il motivo risiede nella capitale necessità di un cambio culturale ancor più che legislativo. “Noi riteniamo che questo tipo di problematica non si risolva solamente con la leva penale - afferma Gallittu -, che è prevista dai primi articoli del testo, ma non fa cultura ed è una risposta di pancia. È invece più importante la seconda parte che prevede politiche attive, vale a dire iniziative nelle scuole e di sostegno alle persone vittime di atti omofobici, perché questo sì che crea cultura”. Sarebbe stato inoltre molto utile se questa legge fosse stata parte di un pacchetto composito, che avesse previsto anche “diritti ancora negati, a partire dal riconoscimento delle figlie e dei figli di famiglie omogenitoriali, fino al riconoscimento di percorsi più semplici per il cambio anagrafico di sesso e per il matrimonio egualitario che in Italia ancora non c’è – conclude – perché siamo ancora alle unioni civili”.