“Finalmente ci siamo rimessi in moto”. Stefano Morea, segretario organizzativo della Flai Cgil Frosinone e Latina gratta un po’ il cambio mentre scala una marcia. Ai lati della strada i campi e le serre dell’Agro pontino scorrono veloci tra i pini. I braccianti lavorano curvi sotto un sole già rovente. “È la nostra prima uscita dall’inizio dell’epidemia. Adesso andiamo a farci un’idea dello stato dell’arte, di come hanno vissuto questi mesi e a consegnare delle mascherine”.

Il furgone che sta guidando segna migliaia di chilometri sul tachimetro, tutti percorsi su queste strade dritte come fettucce. Ed è forse il simbolo più concreto dell’attività ‘di strada’ che il sindacato svolge dal 2016. “Qui ci sono soprattutto piccole aziende agricole, è molto difficile entrare nei campi per parlare con i lavoratori - racconta ancora Morea -, quindi abbiamo deciso di raggiungerli direttamente nei luoghi di residenza per ascoltare le loro storie, per capire le condizioni in cui lavorano, per metterci a disposizione”. E magari per organizzare uno sciopero memorabile, come quello che ormai 4 anni fa ha riempito le strade di Latina di migliaia di turbanti colorati, per dire no allo sfruttamento, e per esigere condizioni di lavoro dignitose.

Il lockdown, però, ha costretto il furgone in garage, “anche se noi non abbiamo chiuso nemmeno per un giorno. Per i lavoratori della terra, la Fase 2 è stata uguale alla Fase 1 o alla Fase 0”. La Flai, quindi, ha continuato a lavorare, ma da ferma, “cercando di dare assistenza attraverso ogni mezzo possibile in quel momento: social network, WhatsApp, telefonate. Abbiamo provato a garantire almeno un minimo di informazione e di tutela di diritti, seppure a distanza”. Ma oggi il furgone riparte, “ed è tutta un’altra storia, perché queste persone bisogna guardarle negli occhi”. Con Stefano Morea, sul sedile del passeggero, c’è Hardeep Kaur, la funzionaria di origini sikh che svolge il compito forse più difficile, la mediazione culturale in punjabi. “È l’unico modo per accogliere al meglio le richieste dei braccianti indiani - dice -, parlare nella loro lingua è davvero indispensabile”.

La Fase 2 dello sfruttamento
La prima tappa del viaggio è Bella Farnia, un complesso di residence a un tiro di schioppo dalle spiagge di Sabaudia. Nati negli anni ‘90 come seconde case per la borghesia romana, oggi ospitano centinaia di lavoratori sikh. Poi si andrà a Borgo Hermada, per consegnare ai lavoratori una parte delle 50.000 mascherine che sono state acquistate dal Fislas, l’ente bilaterale dell’agricoltura. Molti datori di lavoro infatti, nonostante la pandemia in corso, non l’hanno mai fatto.

A Bella Farnia troviamo Giuseppe Cappucci, segretario generale della Flai Roma e Lazio: “Il comparto in questi mesi non si è mai fermato - conferma -. Ovviamente anche in agricoltura c'è stato un piccolo calo, mentre alcuni settori come il florovivaistico hanno davvero sofferto. Ma nel Lazio c'è stata comunque continuità produttiva, così come c'è stata continuità nello sfruttamento, con gravissimi episodi di violenza. Quelli purtroppo non mancano mai”. Non è un caso se il 19 maggio scorso, in piena Fase 2, un lavoratore sikh di Terracina è stato licenziato, picchiato e gettato in un canale perché aveva chiesto mascherina e guanti. “Per evitare questi episodi - conclude Cappucci - il sindacato di strada è fondamentale, per questo è diventato la nostra attività primaria. Perché ci permette di entrare in contatto non solo con la comunità indiana, ma anche con il singolo lavoratore”.

Il furgone ora è parcheggiato, il portellone è spalancato. Cominciano ad arrivare i braccianti. Qualcuno indossa la mascherina, altri hanno slacciato il turbante e lo usano come sciarpa per coprirsi bocca e naso. Hardeep Kaur controlla le buste paga, consegna cappelli, guanti e mascherine. Parla in punjabi, si spiega a lungo, poi saluta e si lava le mani. “Ci aspettavano. Sono quasi tutti qui per chiederci come funziona le regolarizzazione", dice. Il primo giugno s’è infatti aperta “la finestra” per avanzare la domanda di emersione dal lavoro nero contenuta nel decreto Rilancio. Ma si chiuderà presto: il 15 luglio. Quindi “c’è molta agitazione, hanno tutti paura di non fare in tempo”. Il procedimento di emersione, che riguarda anche colf e badanti, per ora è partito in sordina. Le domande presentate sono state poche. Il governo non ancora ha diffuso cifre ufficiali, ma se ne aspetta almeno 200.000. Siamo ancora molto lontani.

Un passo in avanti
Il giudizio della Flai sul decreto è stato da subito positivo, come ci spiega il segretario generale nazionale Giovanni Mininni: “È un passo avanti, perché si tratta di una norma che abbiamo richiesto da anni, e ci rendiamo conto che per un problema complesso come quello dello sfruttamento in agricoltura c'è bisogno di molte leve. Qualche anno fa abbiamo conquistato la legge contro il caporalato, ora questa regolarizzazione è un altro tassello, che tra l’altro contiene al suo interno una visione più ampia, perché nei commi finali prevede un lavoro in sinergia proprio con il tavolo sul caporalato”.
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Tra i punti da migliorare, però, c’è proprio la durata della “finestra”. “Lo spazio di un mese e mezzo - continua Mininni - comprende solo la campagna del pomodoro appena iniziata. Se si riuscisse ad andare avanti, perlomeno per un altro mese, si potrebbe dare l’opportunità ai tanti lavoratori impegnati nella raccolta dell'uva. Se si arrivasse a settembre si includerebbe anche la vendemmia, mentre un po' oltre ci sarebbero tutti i lavoratori impegnati nella raccolta degli agrumi”. Il sindacato teme poi le “lungaggini burocratiche”: “Ci siamo subito attivati, incontrando il viceministro Bellanova, che ci ha assicurato che le 900 assunzioni previste a sostegno dell'impianto del decreto per velocizzare la burocrazia saranno messe in atto. Auspichiamo che questo avvenga”. Uno degli aspetti maggiormente criticati della norma, infine, riguarda il fatto che siano stati coinvolti pochi settori economici. “Il nostro giudizio - conclude Minnini - resta positivo, anche perché Bellanova ci ha garantito che le prossime circolari del ministero dell'Interno specificheranno le attività connesse alla regolarizzazione. Queste, attraverso i codici Ateco, sono la chiave per allargare la sanatoria”.

Intanto a Bella Farnia, i braccianti continuano ad avvicinarsi al furgone della Flai. “Un ragazzo ci ha chiesto come accedere alla regolarizzazione senza il passaporto - racconta ancora Hardeep -. È un problema che abbiamo riscontrato più volte in questi primi giorni. Alcune ambasciate si sono già attivate, per altre è un po' più complicato. Bisognerà capire come fare”. Un altro bracciante invece rischia di rimanere escluso “perché oggi ha un permesso di soggiorno, ma scadrà solo dopo la chiusura della finestra”. Al momento quindi risulta regolare e non può chiedere l’emersione, a fine sanatoria invece non lo sarà più, e potrebbe restare escluso. “Dobbiamo studiare una soluzione”.

Un’occasione da sfruttare
“Ci aspettano giornate di grande lavoro, ma per noi è un’occasione - afferma Stefano Morea, rimontando sul furgone -. Avremo l’opportunità di incontrare un gran numero di braccianti a tantissimi anni dall’ultimo decreto flussi. Potremo raccogliere le loro storie, comprendere e intervenire meglio, svelare cosa succede davvero nei campi. E mettere a fondo le mani in un limbo in cui sono imprigionate migliaia di persone. Ora ci dobbiamo dare da fare”. Anche per questo la Flai nazionale ha istituito un numero verde (800 171 100) per fornire informazioni sulla regolarizzazione. “È un desk multilingue (italiano, inglese, francese, punjabi, arabo, russo) - racconta Mininni - che consente a chi ci contatterà di avere informazioni chiare. Le operatrici daranno indicazioni rispetto ai canali di regolarizzazione e indirizzeranno i lavoratori migranti verso le nostre strutture sul territorio per la presa in carico e l’assistenza di cui avranno bisogno”.

Intanto il furgone della Flai è arrivato a Borgo Hermada. I braccianti, italiani e stranieri, arrivano alla spicciolata. Si avvicinano un po’ esitanti al gazebo piazzato all’interno di un giardino pubblico. Prendono un mascherina, ringraziano, poi risaltano in sella alle loro bici e vanno via. “In tempi di coronavirus anche consegnare delle mascherine vuol dire prendersi cura dei lavoratori - conclude Stefano Morea -. È un’altra dimostrazione che c’è bisogno di sindacato. Oggi più che mai è uno strumento attuale, necessario, per la difesa e la conquista dei diritti di migliaia e migliaia di persone”.