I libri possono servire a ricostruire storie, a scavare nelle vite troppo spesso dimenticate in fretta, se non rimosse. In questa categoria si ascrive di diritto Renzo e i suoi compagni. Una microstoria sindacale del Veneto (Donzelli editore, pp. 256, euro 30), volume scritto a quattro mani da Alessandro Casellato e Gilda Zazzara, docenti di storia contemporanea presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia.

Il loro studio si focalizza sulla figura di Renzo Donazzon, nato nel 1946 a Mansuè, al confine tra Veneto e Friuli, figlio di mezzadri, comunista sin da piccolo, ben presto operaio, quasi subito nella Zoppas di Conegliano. La scelta di raccontare questa storia, una storia anche collettiva di un gruppo sindacale territoriale, arriva dalla caparbia ricerca dei due autori, come racconta Gilda Zazzara: “Sì, è stata una ricerca molto lunga, con pause forzate, e che ha avuto bisogno di essere sedimentata, di essere discussa tra noi, confrontando le interviste da me curate con quelle di Alessandro Casellato. Un lavoro congiunto e condiviso, anche di archivio (in particolare quello della Camera del lavoro territoriale di Treviso), durante il quale i documenti  che servivano all’uno e l’altro per le parti di ciascuno nelle fasi di scrittura, hanno dato vita a una narrazione costruita passo dopo passo”.

Il racconto della storia di Renzo Donazzon parte da una precisa richiesta, arrivata nel 2016 dall’Ires Veneto e la Cgil di Treviso: “Una committenza forte e problematica - prosegue Zazzara - perché il ricordo di Donazzon è un elemento divisivo a livello locale e nazionale, una specie di giallo”. Il motivo risiede nella sua rapida ascesa nel mondo sindacale, che lo porta a divenire tra il 1988 e il 1992 segretario regionale del Veneto, prima che accada qualcosa di poco chiaro, dato che poco dopo lo stesso Donazzon si dimette, tornando a interpretare il suo ruolo di sindacalista in luoghi di periferia. Ma le sue dimissioni somigliano molto a una rimozione da parte dei vertici. “Perché è stato rimosso, e chi lo ha voluto?”, si chiedono Zazzara e Casellato, anche nel libro. “Siamo arrivati a una non-risposta”.

Con gli strumenti della storia orale, la raccolta di preziose testimonianze, e una documentazione che indaga nei meandri tortuosi che compongono questa microstoria, si colgono elementi che confermano varie complessità, in particolare riguardo le ragioni del suo allontanamento, per certi versi incompatibili con la scelta individuale di farsi da parte. Ancora Zazzara: “Quella di Donazzon è un’esperienza unica, ma allo stesso tempo comune a quella di un quadro medio periferico, come ce ne sono migliaia in un ciclo di mobilità e promozione. Un percorso operaio e popolare simile ad altri dirigenti, ma unico e paradigmatico, perché indica una fase di trasformazione che coinvolge in quel periodo il mondo sindacale”.

Il libro, in particolare nella sua seconda parte, si concentra così sulle fortissime divisioni interne, sui “momenti di disallineamento” che caratterizzano parte della storia della Cgil, descrivendo in alcuni luoghi le tensioni tra federazioni, tra “piano orizzontale e verticale”, tra profili diversi per origini e formazione. La storiografia sindacale lo ha rilevato in altre circostanze, e nello scorrere delle pagine più volte il lettore potrà incontrare la figura-simbolo di Bruno Trentin, soprattutto quella che abbiamo imparato a conoscere dai suoi “Diari”, nei quali gli elementi di carattere personale si mescolano alle dissonanze tra gruppi dirigenti.

La storia di Donazzon porta dunque a riflettere su un disallineamento che è di classe, e Casellato e Zazzara hanno il merito di proporre tale riflessione in maniera diretta, a tratti quasi provocatoria. Perché è proprio negli anni ’90 che le fratture di classe all’interno del gruppo dirigente cominciano ad avere un peso specifico, con la Cgil che sembra come sentire l’esigenza di darsi un volto più intellettuale, o almeno terziario; mentre la generazione operaia, della manifattura, o dal passato rurale, comincia a essere percepita e considerata poco adeguata per ricoprire incarichi pubblici: qui arriva Renzo Donazzon, dall’habitus popolare e operaio, forse non troppo incline ai linguaggi del sindacato, in quella fase guidato proprio da Bruno Trentin.

L’analisi di questa discrasia tra identità sindacale e politica è dunque un contenuto tra i più rilevanti dell’intero volume, accompagnata dalla vicenda umana, oltre che sindacale e politica, del protagonista, attraverso la quale torniamo a interrogarci su questioni ancora insolute nel mondo della cultura di sinistra, fotografando con esattezza gli ultimi anni di un Novecento italiano già gravido di tutte quelle pericolose contraddizioni di cui siamo oggi spettatori: a ragione annoiati, colpevolmente passivi.