Mio padre era un socialista riformista, era grande ammiratore e amico di Turati. Più tardi anzi a Parigi Turati venne a vivere con noi. Io lo ricordo come un nonno dolcissimo, facile a commuoversi, mi aiutava a fare i compiti, giocava con noi. A Parigi la comunità italiana era molto legata: vedevamo spesso la famiglia Nitti, i Rosselli, Modigliani, la famiglia Saragat. La moglie di Saragat mi cucì l’abito da sposa. Una volta venne anche Pertini, è stato proprio lui a ricordarmelo quando ci siamo rivisti qui a Roma.

Così ricordava suo padre Iole Buozzi:

“Aveva un carattere molto calmo cercava di creare in casa un clima sereno, disteso. Con noi era un padre adorabile, molto affettuoso. Malgrado questo i miei primi ricordi della nostra vita famigliare sono dei ricordi di paura: lui che torna a casa, una sera, e ha il viso e le mani insanguinate. Era stato a una riunione sindacale, non rammento bene la data, ma sarà forse stato il 1920, o il ’21, gli anni dei primi assalti fascisti alle camere del lavoro: i fascisti avevano appunto fatto un’incursione e l’ avevano picchiato duramente”.

Nel 1920 Buozzi è tra i promotori del movimento per l’occupazione delle fabbriche. Più volte eletto deputato prima della presa del potere da parte del fascismo, nel 1926 espatria in Francia. Qui apprende la notizia della decisione da parte del vecchio gruppo dirigente della Cgdl di proclamare l’autoscioglimento dell’organizzazione. Contro tale decisione ne decreta la ricostituzione a Parigi.

Il 1º marzo del 1941 viene arrestato dai tedeschi su richiesta delle autorità italiane e rinchiuso nel carcere de La Santé, dove ritrova Giuseppe Di Vittorio insieme al quale è trasferito in Germania e, di qui, in Italia.

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Il regime fascista lo assegna al confino a Montefalco in provincia di Perugia, dove rimarrà per due anni. Liberato il 30 luglio 1943, attivo nel tentativo di contrastare l’ingresso dei tedeschi a Roma a Porta San Paolo, entra in clandestinità durante l’occupazione della Capitale col falso nome di Mario Alberti.

Il 13 aprile 1944 viene fermato per accertamenti dalla polizia fascista e condotto in via Tasso. Il Cln di Roma tenterà a più riprese, ma senza successo, di organizzarne l’evasione e il 1 giugno, quando gli americani sono ormai alle porte della capitale, il nome del sindacalista, già segretario generale della Fiom e della Cgdl ed ex deputato socialista, viene incluso dalla polizia tedesca in un elenco di 160 prigionieri destinati a essere evacuati da Roma.

La sera del 3 giugno, con altre 13 persone, Buozzi è caricato su un camion tedesco. Il giorno seguente - sembra per ordine del capitano delle SS Erich Priebke - viene trucidato con tutti i suoi compagni.

“Ieri - affermava Nenni il mese successivo - nella “allucinante rovina” di Cassino, “vidi un vecchio contadino curvo sotto il peso della solforatrice e che nel sole infuocato andava alla ricerca di qualche tralcio di vite scampata per miracolo all’uragano di ferro e di fuoco. In quel contadino Bruno Buozzi avrebbe celebrato il lavoro che fa rinascere la civiltà dove la guerra ha tutto distrutto (…) e avrebbe salutato il mondo nuovo che rinasce sulle rovine del vecchio mondo. Aggrappiamoci a questa speranza, a questa certezza: ci salveremo col lavoro liberato dallo sfruttamento del capitalismo” e “col socialismo ricondotto alla fatica senza fatica dei costruttori di una nuova civiltà”.