Il titolo del nuovo libro del giornalista Riccardo Staglianò, Gigacapitalisti  (Einaudi, pp. 140, euro 12) deriva da una felice intuizione editoriale, raccolta e sviluppata dall’autore. L’azzeccata definizione indica il cosiddetto “club degli ultraricchi”, coloro i quali detengono la stragrande maggioranza del potere economico planetario, che aumenta ogni ora che passa.

I più noti (escludendo Steve Jobs per la sua prematura scomparsa) compongono un tridente che mette insieme miliardi di dollari: Bezos-Musk-Zuckeberg, sorta di nipotini precoci di Bill Gates, da soli o insieme ormai superano il Pil di quelle potenze mondiali responsabili, a loro volta, di aver sempre chiuso un occhio, se non aiutato più o meno direttamente, l’ascesa degli oligarchi della gig economy, in particolare grazie ad agevolazioni fiscali concesse soltanto a loro, nel frattempo divenuti i nuovi potenti del pianeta, un pianeta che ormai gli va anche stretto, dato che i loro piaceri, e parte dei loro affari, si sono già saltuariamente trasferiti in altri luoghi spazio-temporali.

In questo senso risulta tremendamente efficace uno degli incipit scelti come esergo da Staglianò, che riporta le parole dello stesso Bezos al termine del suo primo volo in orbita, costato oltre cinque miliardi di dollari: “Voglio ringraziare ogni dipendente di Amazon e ogni cliente di Amazon, perché voi avete pagato tutto questo”. Affermazione alla quale può essere accostata la battuta circolante in quegli stessi giorni sui social che suonava più o meno così: “Ora che Bezos è nello spazio finalmente i suoi dipendenti possono andare a far pipì”.

A ben pensarci il succo del ragionamento risiede qui, e torna ancora una volta, inevitabilmente, al rapporto imprenditore/lavoratore, sinonimo del più realistico binomio padrone/schiavo, malgrado dovrebbero esser trascorse epoche dal suo scioglimento. Oggi però, in questo secolo ventunesimo battezzato dalle Torri Gemelle, proseguito con la crisi economica subprime, e ancora alle prese con una emergenza sanitaria che non si sa bene se-come-quando finirà, oltre a una guerra dai contorni sempre più preoccupanti e minacciosi, gli unici ad aver guadagnato da questo inquietante scenario sono proprio loro, sono sempre loro: i membri del club degli ultraricchi.

La progressiva “tendenza delle piattaforme a diventare una destinazione onnicomprensiva, espandendosi nel maggior numero possibile di direzioni, offrendo sempre nuovi servizi e contenuti, sia per trattenere gli utenti che per aumentare i fatturati” (pag.10), non è soltanto la direzione intrapresa in questa ultima fase dai gigacapitalisti, e che pare destinata a caratterizzare il futuro almeno più prossimo: in questo modo non si sta solamente costruendo una leadership di pochi nel mercato selvaggio del tecnocapitalismo, perché allo stesso tempo si stanno anche modificando le abitudini delle persone, i rapporti umani, gli affetti, deviando verso una mutazione antropologica anch’essa dai confini incerti, a prima vista non così rassicuranti.

 

Staglianò accompagna il lettore nel riuscito tentativo di ricomporre i pezzi di questo complicato puzzle sin dal primo capitolo, dedicato all’ “accumulazione originaria”, che in buona parte prende avvio attraverso l’intuizione di esternalizzare il più possibile (si pensi a Uber, o Airbnb), con il risultato di dividere il tradizionale accoppiamento tra ricchezza aziendale e forza lavoro, argomento nodale del nostro tempo, di cui lo stesso Staglianò si è occupato in altri volumi, in particolare con Al posto tuo (2016), e Lavoretti (2018), oltre che in una recente pubblicazione concentrata in maniera specifica proprio sul fenomeno Airbnb (L'affittacamere del mondo).

Nel capitolo successivo ("L’etat, c’est moi!"), si insiste sulle peculiarità dei gigacapitalisiti, che si differenziano dagli altri, soprattutto da chi ha provato ma non è riuscito a trasformare le proprie intuizioni in un business infinito, proprio per questa specifica “visione sinottica”, ovvero la capacità di “scorgere ogni possibile connessione tra il proprio terreno di gioco e altri che a prima vista non c’entrano niente” (p.47). Rimanendo nella metafora sportiva, basti pensare a Prime Video, tra le ultime proposte Amazon, realizzata con l’obiettivo di acquisire nuovi clienti e fidelizzarne ulteriormente altri. A pagarne le conseguenze, ieri come oggi, verosimilmente anche domani, è sempre la stessa categoria, quella del lavoratore-consumatore, soggetto sfruttabile in ambo le direzioni.

Da qui nuove forme di profitto e nuove forme di sfruttamento del lavoro, approfittando anche di un conseguente ritardo nell’organizzazione sindacale nella difesa dei diritti di lavoratori impegnati in occupazioni che sino a soltanto qualche anno fa neanche esistevano, e che soltanto da pochissimo tempo riescono, ancora in pochi casi, a denunciare e ottenere tutele e diritti. Esempio su tutti la battaglia dei rider, le loro prime conquiste sindacali, e i primi scioperi dei dipendenti Amazon che qui e là, Italia compresa, cominciano a materializzarsi dopo aver trovato, tra le varie mansioni che i dipendenti di queste articolate “aziende mondo” sono costretti a sostenere, punti in comune per strutturare rivendicazioni di carattere collettivo.

Anche perché, oltre le sconfinate ricchezze dei gigacapitalisti, continuano ad accumularsi sempre maggiori diseguaglianze, per un numero di cittadini planetari sempre crescente. E la pazienza, come già avvenuto in altri percorsi della storia, potrebbe avere un limite. Nell’ultimo capitolo allusivamente titolato “Che fare” (senza interrogativo), Staglianò ci rammenta come una soluzione sarebbe una tassazione non più equa, ma sbilanciata proprio a danno dei più ricchi, coloro che di tassazioni irrisorie hanno beneficiato per costruire i rispettivi imperi.

E se come afferma Barry Lynn, direttore dell’Open Markets Institute di Washington intervistato da Staglianò nell’epilogo, per questi “padroni dell’universo” il modello di business “è strutturato intorno all’idea di manipolare la gente”, allora anche noi possiamo contribuire a modificare la tendenza dominante, attraverso una maggiore consapevolezza dello stato dell’arte. Questo libro è strumento utilissimo per entrare nelle viscere del groviglio, nel tentativo di uscirne al più presto.