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L'anniversario

Fabrizio De André, il cantore degli ultimi

Ilaria Romeo
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Nella notte tra il 10 e l'11 gennaio 1999 all'Istituto dei tumori di Milano moriva all'età di 58 anni Fabrizio De André. Se ne andava in una notte d'inverno, come aveva cantato. Sulla bara un pacchetto di sigarette, una sciarpa del Genoa, alcuni biglietti, un naso da clown e un drappo blu

Vicino alla moglie e ai figli di Fabrizio De André, quel gennaio 1999, ci sono più di diecimila persone, famose o meno: Paolo Villaggio, Beppe Grillo, Vasco Rossi, Ivano Fossati, Fiorella Mannoia, Roberto Vecchioni.

“Era intelligente - diceva Paolo Villaggio - geniale, allegro, spiritoso, squinternato, un po’ vanitoso, snob: non era triste, come voleva l’immagine pubblica che gli avevano dipinto addosso. Era un anarchico, grande poeta. Io e Faber siamo cresciuti insieme. Eravamo tutti e due squinternati, entrambi pecore nere delle rispettive famiglie. Fra noi liti selvagge, bastonature e poi, un po’ più grandi, la fama insieme, molte speranze, quasi convinti di non farcela”.

Il “cantore degli ultimi”, uno “spartiacque fondamentale” nella musica italiana, “un padre ispiratore”, che di sé era solito raccontare: “Ho letto Benedetto Croce l’Estetica, dove dice che tutti gli italiani fino a diciotto anni possono diventare poeti: dopo i diciotto chi continua a scrivere poesie o è un poeta vero o è un cretino. Io, poeta vero non lo ero. Cretino nemmeno. Ho scelto la via di mezzo: cantante”.

“Caro Faber - gli scriveva anni dopo quel don Gallo al quale tante cose lo avevano accomunato - da tanti anni canto con te, per dare voce agli ultimi, ai vinti, ai fragili, ai perdenti. Canto con te e con tanti ragazzi in Comunità. Quanti Geordie o Michè, Marinella o Bocca di Rosa vivono accanto a me, nella mia città di mare che è anche la tua. Anch’io ogni giorno, come prete, 'verso il vino e spezzo il pane per chi ha sete e fame'. Tu, Faber, mi hai insegnato a distribuirlo, non solo tra le mura del Tempio, ma per le strade, nei vicoli più oscuri, nell’esclusione. E ho scoperto con te, camminando in via del Campo, che 'dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior'. La tua morte ci ha migliorati, Faber, come sa fare l’intelligenza. Abbiamo riscoperto tutta la tua 'antologia dell'amore', una profonda inquietudine dello spirito che coincide con l'aspirazione alla libertà. E soprattutto, il tuo ricordo, le tue canzoni, ci stimolano ad andare avanti. Caro Faber, tu non ci sei più ma restano gli emarginati, i pregiudizi, i diversi, restano l’ignoranza, l’arroganza, il potere, l’indifferenza. (…) Il tuo album ci lasciò una traccia indelebile. In quel tuo racconto crudo e dolente (che era ed è la nostra vita quotidiana) abbiamo intravisto una tenue parola di speranza, perché, come dicevi nella canzone, alla solitudine può seguire l’amore, come a ogni inverno segue la primavera. È vero, Faber, di loro, degli esclusi, dei loro 'occhi troppo belli', la mia Comunità si sente parte. Loro sanno essere i nostri occhi belli. Caro Faber, grazie! Ti abbiamo lasciato cantando Storia di un impiegato, Canzone di Maggio. Ci sembrano troppo attuali. Ti sentiamo oggi così vicino, così stretto a noi. Grazie”.

E se credete ora
che tutto sia come prima
perché avete votato ancora
la sicurezza, la disciplina,
convinti di allontanare
la paura di cambiare
verremo ancora alle vostre porte
e grideremo ancora più forte
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti,
per quanto voi vi crediate assolti
siete per sempre coinvolti.


Verremo ancora alle vostre porte e grideremo ancora più forte…