Amico dei più importanti intellettuali dell’epoca da Pasolini a Moravia, dei più grandi artisti da Picasso a De Chirico, editorialista de l’Unità, del Corriere della Sera e di Repubblica, uomo colto dall’indubbio fascino e persino cantante dotato di una bellissima voce, Renato Guttuso ha con la sua biografia intersecato gran parte della storia del Partito comunista in Italia. La sua arte, legata all’espressionismo, sarà sempre caratterizzata da un forte impegno sociale che lo porterà anche all’esperienza politica come senatore del Pci per due legislature, durante la segreteria di Enrico Berlinguer.

“Un’opera d’arte è sempre la somma dei piaceri e dei dolori dell’uomo che l’ha creata - affermava l’artista - Intendo dire che non è necessario per un pittore essere d’un partito o d’un altro, o fare una guerra, o fare una rivoluzione, ma è necessario che egli agisca, nel dipingere, come agisce chi fa una guerra o una rivoluzione”.

È proprio lui, nel 1953, a disegnare lo storico simbolo del Pci, la Falce e martello, con sfondo tricolore, che verrà ripreso dal creatore della pop art statunitense, Andy Warhol. Racconta Fabio Carapezza, figlio del suo migliore amico adottato e nominato erede: “Andy Warhol negli anni Settanta arrivò a Roma in tempi della campagna elettorale e di euforia per l’atteso “sorpasso” sulla Dc. La città era sommersa di manifesti con quella vistosa “Falce e Martello” che Guttuso disegnò nel ’53 per il partito. Era la prima volta che Warhol vedeva quel logo, ossessivamente ripetuto, e lo fece suo. Ma per correttezza una delle prime versioni la regalò proprio a Guttuso”.

Nel 1972 Guttuso dipinge I funerali di Togliatti che diverrà, ben presto, opera-manifesto della pittura comunista e antifascista, ottenendo nello stesso anno il più importante riconoscimento per un comunista: il Premio Lenin per la Pace. È lo stesso artista a raccontare la genesi dell’opera: “Cominciai col disegnare più volte il profilo di Togliatti. Qua il primo problema. Gli occhiali. Era difficile renderlo a tutti riconoscibile senza gli occhiali…. Circondai il profilo con un collage di fiori ritagliati da alcune riviste di floricultura. Poi cominciai a mettere, attorno a quel punto focale, i ritratti dei suoi compagni, quelli con i quali aveva avuto i più stretti rapporti di lavoro, nell’esilio, in Spagna, in Unione Sovietica. Tenendo conto dei rapporti con Togliatti e non della loro presenza effettiva ai funerali” (nella folla, rigorosamente in bianco e nero, si riconoscono infatti tra gli altri Lenin, Gramsci, Berlinguer - che proprio nel 1972 viene eletto segretario del Pci - Longo, Di Vittorio, Amendola, Pajetta, Ingrao, Natta, Nilde Iotti, papà Cervi, Dolores Ibarruri, Angela Davis, Stalin, Brezhnev e lo stesso artista auto immortalatosi accanto al fotografo Mario Carnicelli).

Il 19 gennaio del 1987, anche i funerali di Renato Guttuso paralizzeranno Roma. Un’immensa folla con bandiere rosse accompagna la salma dal Senato alla piazza del Pantheon per la cerimonia laica. A destra e a sinistra del feretro camminano i due presidenti delle Camere Nilde Jotti e Amintore Fanfani, mentre sul palco, pronti per l’orazione funebre, aspettano Alberto Moravia, Alessandro Natta e Carlo Bo. Intorno giornalisti, attori e tutti i più potenti politici da Andreotti a Craxi. Le spoglie saranno condotte in volo fino in Sicilia. Ad attendere il pittore Macaluso, Tortorella, Leoluca Orlando (già allora sindaco), l’intero stato maggiore del Pci siciliano, intellettuali e artisti.

“Come prima cosa penso che Renato Guttuso è nato pittore. Come seconda cosa penso che questa natura siciliana, questi colori, questo mare, queste montagne, hanno accresciuto la bellezza della pittura. Come terza cosa penso che la sofferenza del popolo siciliano ha aiutato Renato Guttuso a diventare un grande pittore”, dirà di lui Ignazio Buttitta.

Renato Guttuso è tornato definitivamente a Bagheria, dopo una 'fuga' durata 50 anni - scriverà Emanuele Macaluso - Una 'fuga' fatta di tanti, continui ritorni. Ad aspettarlo c’erano tutti. E tutti sentivano che in quella bara c’era una parte di loro stessi (…). La Sicilia di Guttuso è la Sicilia di Verga e di Pirandello. È la Sicilia di Vittorini, di Lucio Piccolo, di Vitaliano Brancati e di Leonardo Sciascia (…). Una Sicilia che resta ‘intatta’ sino agli anni 40-50. Poi c’è l’offensiva, l’attacco contadino al feudo e a tutto ciò che rappresenta nella società. E Renato è con i contadini che rompono il feudo, attaccano la mafia, occupano le terre, spezzano la vecchia Sicilia. È con i capilega fucilati, è con gli zolfatari in lotta contro condizioni terribili. Ed è con loro in modo forte. A loro dà voce con le sue tele e li mette in comunicazione col mondo, rompendo un antico isolamento”.

Scriveva qualche anno fa Alessandra Mammì su L’Espresso: “Il 23 dicembre 1989 sulla Repubblica a firma di Luisa Laureati Briganti appare un articolo dal titolo 'L’eclisse Guttuso' che inizia così: 'Perché ci siamo dimenticati di Guttuso? Come mai è pressoché scomparso dalle mostre e dal mercato?'. Sic transit gloria mundi. A meno di ventiquattro mesi da una macchina funeraria paragonabile a quella di una rock star o di Lady D, una sorta di 'damnatio memoriae' colpisce il più potente e famoso pittore d’Italia. Eppure Guttuso fu davvero potente. Senatore della Repubblica dal 1976 al 1979; amico dei più importanti intellettuali dell’epoca da Pasolini a Moravia, dei più grandi artisti da Picasso a De Chirico, di raffinati musicisti da Petrassi a Nono. E in più: editorialista dell’Unità, del Corriere della Sera e di Repubblica come pittore ma anche critico, polemista, teorico, analista politico. Infine: uomo colto dall’indubbio fascino, gran conversatore, seduttore e persino cantante dotato di bellissima voce con cui da buon comunista intonava canti anarchici e ballate di guerra. 'Aveva riempito da anni con le sue foto, le sue interviste, le sue dichiarazioni, le sue apparizioni televisive, i suoi scritti, i suoi dipinti, i suoi disegni, i suoi manifesti, il suo erotismo, le pagine dei giornali, delle riviste, le copertine dei libri', scrive la Laureati. Poi, in pochi mesi, arriva il buio. Un buio che si addensa sempre più, tanto da rendere i suoi dipinti marginali per il mercato e le sue parole perse nel passato”. Ma, concludeva la giornalista, “se ancora esiste un popolo, orfano di una sinistra epica e visionaria, che non ha dimenticato il suo pittore, forse la Storia, tra corsi e ricorsi, l’ultima pagina su Guttuso la deve ancora scrivere”. Noi ne siamo certi.