Nella stragrande maggioranza dei casi, i bambini “dimenticati” e morti per ipotermia in auto, sono stati lasciati nell'abitacolo rovente da genitori che andavano al lavoro. È lo stress da impegni lavorativi, dunque, la causa di un fenomeno che, in Italia e in tutto il mondo, negli ultimi anni ha creato tanto scalpore? La risposta, secondo gli autori del libro “Dimenticare” il bambino in auto, l'assenza che può uccidere (Aracne editrice, 10 euro), è no.

“Spesso - si fa notare - nel modo in cui vengono descritti questi episodi c'è un inganno di fondo, un pensiero violento, che lascia intendere che si tratti di una fatale distrazione, di un errore gravissimo ma ineluttabile, e di conseguenza di un errore che potrebbe capitare a ognuno di noi perché provocato dallo stress delle nostre attività quotidiane, lavoro compreso. Rifiutiamo tale ipotesi, pensando che sia necessario chiarire i concetti di sanità, malattia e normalità. Sconcerta l'intento di far rientrare in una ‘normalità’ condivisa episodi del genere, tentativo che forse solleva dal senso di impotenza nel cercare di comprendere l'origine del fenomeno e dal timore che possa trattarsi di malattia. Troppo spesso la malattia mentale è vissuta come un giudizio, come una colpa, o peggio ancora, come destino e in quanto tale, inaffrontabile”.

Il volume, a cura del giornalista Antonio Montanaro e degli psichiatri e psicoterapeuti Letizia Del Pace e Giovanni Del Missier, è il frutto del confronto tra due mondi: quello dell'informazione e quello medico, che si sono incontrati prima in un convegno sul tema che si è svolto a Firenze nel gennaio del 2018 e poi in queste 100 pagine che raccolgono gli interventi, oltre che dei curatori, anche di Cecilia Iannaco, Martino Riggio e Francesca Penta (la prefazione è di Gabriele Cavaggioni, docente alla Sapienza di Roma).

“L'obiettivo del nostro lavoro e della nostra ricerca – spiegano gli autori – è anche di ordine sociale e culturale, vogliamo mettere in luce la violenza e le piccole-grandi assenze quotidiane perpetrate nei confronti dei bambini che non possono difendersi, dimostrare che non è vero che possa capitare a tutti ma che capita solo in situazioni in cui ci sono determinati disturbi psichici, confutare falsi messaggi che possono indurre paura, angoscia e soprattutto rifiutare l'idea di “dimenticanza” nei confronti di un essere umano: si può dimenticare un mazzo di chiavi, non un bambino di pochi mesi”.

In Italia l'ultimo caso di Forgotten Baby Syndrome (sindrome del bambino abbandonato) si è registrato nel settembre del 2019 a Catania, nel mondo dal 2008 a oggi sono morti in auto più di 1.000 bambini (nove nel nostro Paese, di cui otto dal 2011 al 2019). Gli autori, invece, rifacendosi alla Teoria della nascita dello psichiatra Massimo Fagioli, propongono una chiave di ricerca diversa: “Siamo convinti che non sia una dimenticanza, che non sia un difetto della funzione mnesica e che non si verifichi a causa dello stress quotidiano di cui è vittima gran parte dei genitori. Riteniamo che abbandonare il proprio figlio in una condizione di pericolo sia la conseguenza di una grave alterazione del pensiero non cosciente, che si manifesta in un numero esiguo di casi”.

La politica ha fatto la sua parte: da quando è entrata in vigore la legge sull'obbligatorietà dei seggiolini con dispositivi elettronici “anti abbandono” (novembre 2019), non sono stati più registrati casi di bambini morti perché abbandonati in auto. Problema risolto, dunque? “Sono soluzioni – concludono gli autori del libro - dall'indiscutibile utilità pratica, tuttavia occorrono riflessioni che indaghino la genesi di simili tragici episodi che riguardano il rapporto tra l'adulto e il bambino"