Era il luglio del 1991, mi trovavo in Umbria per seguire Spoleto Scienza, nel Festival che faceva incontrare i Due Mondi, come il Nuovo e il Vecchio, apparentemente distanti ma contigui,  dove in questo caso si incontravano il mondo delle scienze e quello della cultura umanistica. Nel muovermi tra i vicoli dell’antico borgo spoletino mi capitò di imbattermi in un signore con una macchinetta fotografica e dai modi gentili. Ci presentammo e venni così a sapere che si trattava di Mario Dondero, l’autore di fotografie da me conosciute attraverso i suoi reportage, che quel signore era uno degli autori più originali del fotogiornalismo del '900.

Passammo la nostra giornata insieme a fotografare e parlare, in cerca di ispirazioni. Mi raccontò che in quel periodo viveva a Parigi, che non usava l’automobile e che era arrivato in Umbria con treno, pullman e autostop, e mi sembrarono i segni di una grande originalità accompagnata da garbo e curiosità. A Spoleto io ci ero arrivato con una vecchia Ford lasciatami da mio padre, il mezzo che mi permetteva di raggiungere i luoghi del mio lavoro e a volte di dormirci per risparmiare sulla nota spese.

In quell'occasione sarei voluto restare per seguire l’incontro previsto per il giorno seguente con lo psicologo Jerome Bruner, ma Dondero mi fece una proposta alla quale non avrei mai detto di no: mi chiese di accompagnarlo a Monterchi, perché voleva recarsi in una vecchia scuola dove stavano restaurando l’affresco di Piero della Francesca, la Madonna del Parto. Se ci avessero fatto entrare sarebbe stata un’occasione da non perdere, poter ammirare l’opera nella sua informalità.

Partimmo e, giunti sul posto, mi chiese di fotografarlo, posando per me con quell’espressione timida e insieme appagata per essere riuscito a vedere l'affresco.

Poi il viaggio continuò, dormimmo al Castello di Sorci ad Anghiari, ospiti del suo amico Primetto Barelli, mentre il giorno dopo facemmo colazione con Saverio Tutino e sua moglie Gloria Argeles. Avevo 25 anni ed era forte l'impressione nel sedermi a tavola con chi si muoveva tra l'intellighenzia italiana o addirittura ne incarnava spirito e corpo, passando da un importante restauro ai protagonisti degli archivi della memoria. Rientrammo la sera e accompagnai Dondero a casa di una sua amica a nord di Roma. Ci salutammo, mi diede il suo indirizzo di Parigi, mi chiese di inviargli la foto e di andarlo a trovare. La foto la spedii, ma preso purtroppo dalla frenesia del mio lavoro, non andai mai a trovarlo, perdendo una seconda grande occasione.