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Lo scrittore

Noi ricordiamo Alessandro Leogrande

Foto: Marco Merlini
Davide Orecchio
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A tre anni dalla scomparsa, ne ricostruiamo il profilo in una conversazione con Angelo Ferracuti. “È stato involontariamente un maestro, come tutti i maestri. Ci ha insegnato un metodo morale, un modo di decifrare la realtà, e la grande passione per il reportage come racconto delle forme complesse”

Alessandro Leogrande morì un giorno di fine novembre, tre anni fa, nel 2017. Aveva appena quarant’anni. Era uno degli scrittori più brillanti e autorevoli che la nostra lingua potesse vantare. La sua morte fu un evento inesplicabile, un’ingiusta coltellata alla schiena. Tre anni sono davvero pochi e chiunque abbia apprezzato Alessandro Leogrande, o abbia mantenuto con lui rapporti di amicizia e collaborazione professionale, ne conserva un ricordo vivo, dunque una mancanza assidua. Restano i suoi libri, le sue parole da leggere. E la possibilità di un esempio intellettuale raro in questo tempo e in Italia.

Chi scrive ha conosciuto Leogrande in “dimensioni” diverse. Quella della Cgil, con la quale Alessandro ha collaborato e dialogato in più di un’occasione, dall’impegno al fianco della Flai (si legga qui il ricordo di Jean René Bilongo) e della Slc (nel progetto della Sezione nazionale scrittori) alle inchieste pubblicate su Rassegna. Quella de Lo Straniero, la rivista che Leogrande animava assieme a Goffredo Fofi. Quella di Pagina99, dove Alessandro curava un inserto long form nel quale coinvolse giornalisti e scrittori. In queste e altre iniziative un autore, Angelo Ferracuti, è stato intenso compagno di strada di Leogrande, e ha condiviso con lui quella che potremmo definire una “poetica” della narrazione e un’intenzione politica. Con Ferracuti proviamo oggi a ricordare Alessandro Leogrande, e la prima domanda che gli rivolgiamo è inevitabile.

Quanto ti manca Alessandro Leogrande, e perché?

Mi manca innanzitutto la persona, un ragazzo di una onestà intellettuale assoluta, di una generosità disarmante, e poi lo scrittore rigoroso, colto, informatissimo, eppure così assolutamente privo di narcisismo.

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2009: tra Sabaudia e Terracina le borgate agricole sono ormai indiane. Gli indiani vivono a decine nei casolari diroccati e lavorano una delle terre più fertili d'Italia. L'odissea di Singh. Lavora al nero. Raccoglie frutta, ortaggi, pomodori per 3 euro l'ora

Come pensi che avrebbe analizzato, spiegato, raccontato questi mesi di pandemia? Con la sua intelligenza e lucidità ci avrebbe aiutati a capire?

Forse avrebbe puntato l’attenzione sull’anello debole, su chi paga la crisi dentro la crisi, il sottomondo di lavoratori precari, immigrati, quello dei giovani, il suo sud. Lo avrebbe fatto andando a raccontare l’invisibile che oggi nessuno racconta. E avrebbe sofferto come me l’impossibilità di viaggiare.

Era un intellettuale. Cosa significa? Cosa vuol dire essere un intellettuale, come lo è stato Alessandro Leogrande, negli anni Zero e Dieci di questo secolo?

Alessandro è stato un intellettuale di conio novecentesco, con uno sguardo internazionale, che credeva ancora al bene comune e a un lavoro di cittadinanza attiva, cercava un rapporto con la politica e la società, con il sindacato e i movimenti, nonostante tutto, e indagava i grandi temi mescolando narrativa tout court, saggistica, storia, meccanica sociale. Non sembrava un prodotto della sua generazione, forse per questo lo sentivo molto vicino, come un fratello minore però più bravo. Ma è stato tutto questo in un’epoca cinica dove quelli profondi e portatori di un pensiero politico forte come il suo, seppur operosi, vivevano e continuano a vivere isolati. Non a caso nessun grande quotidiano gli ha mai chiesto di scrivere.

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Alessandro Leogrande

2012. A Gioia del Colle, Puglia, un caseificio faceva lavorare tutti di notte. Gli italiani venivano pagati in nero ma con assegni, e con una retribuzione accettabile. I marocchini prendevano 16 euro al giorno in contanti

Leogrande ci ha donato molti temi. Dalle pagine su Taranto, la sua città, raccontata nel libro d'esordio Un mare nascosto, poi accresciuto da Fumo sulla città e in decine di inchieste sui quotidiani. All'attenzione per il lavoro: Uomini e caporali è sia testo fondativo per la denuncia dello sfruttamento nella filiera agroalimentare, sia un invito a un nuovo sindacalismo, a darsi il coraggio e la possibilità di cambiare il proprio tempo. Poi c'è, naturalmente, in Alessandro, lo sguardo sui migranti e sui profughi raccontati ne Il naufragio e La frontiera, i suoi lavori più noti e affermati. Qual è, tra o fuori dalle opere citate, il lavoro di Alessandro Leogrande che ami di più?, e perché?

La frontiera, il suo apice, che è ormai un classico del reportage, quello al quale sono più legato perché scrissi una recensione che a lui piacque molto, con Alessandro ne parlammo a lungo. È un libro importante con uno sguardo che ricostruisce lo stato delle cose del mondo globalizzato, questa linea mobile che separa l’Occidente opulento dai tanti disperati sud del mondo dilaniati da guerre, epidemie, cambiamenti climatici. Ha un valore estetico ma soprattutto politico, come tutte le cose che scriveva, e individua nei flussi migratori la forma di come cambia il mondo.

Andrea Cortellessa ha scritto che Leogrande ha trasformato il giornalismo d'inchiesta in letteratura. Non si può non essere d'accordo. Con Alessandro hai condiviso una comune inclinazione alla "scrittura della realtà", al reportage, alla narrazione non finzionale. Cosa lo muoveva a praticare questa scrittura e non altre? Forse un'intenzione gramsciana alla comprensione e trasformazione della propria epoca?

Ha ragione da vendere Andrea, i reportage narrativi di Alessandro sono letteratura dal vero, “storia viva” come la definiva Ryszard Kapuściński, un tipo di racconto della realtà che si attiene scrupolosamente ai fatti ma va oltre la cronaca, su un terreno che mischia appunto letteratura, giornalismo, reportage di viaggio, con dentro elementi altri come la fotografia, il cinema, la musica, la geopolitica. Quello che ci univa non era solo fare un lavoro in fondo molto contiguo e diverso per taglio, lingua, stile, ma farlo in modo onesto, senza fiction, appunto, come lo fanno invece i piccoli Capote nostrani che camuffano il reportage narrativo con il romanzo d’invenzione. Peccato che di questo suo straordinario talento molti si siano accorti troppo tardi.

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Lo scrittore scomparso nel 2017 è sempre stato al fianco del sindacato. Ha condiviso le battaglie della Flai contro caporalato e agromafie. Anche oggi, durante la pandemia, sarebbe stato in trincea con noi, avrebbe alzato la voce per rivendicare tutele per braccianti, migranti e rifugiati

Alessandro era un instancabile organizzatore di reti. Vale su tutto la sua esperienza a Lo Straniero. Ma era anche molto vicino al sindacato, come te. Uno degli ultimi progetti ai quali avete partecipato assieme riguardava il sindacato scrittori della Cgil. Leogrande credeva nel sindacato, in un associazionismo però non corporativo, aperto alle identità esterne, appunto alla costruzione di reti...

Sì, era un lavoratore infaticabile, anche perché nonostante fosse uno dei migliori scrittori della sua generazione faticava per sbarcare il lunario, ma questo non gli impediva di relazionarsi con scrittori, intellettuali di diverse generazioni, soprattutto a Lo Straniero ma anche a Pagina99 dove curava “Fuoribordo”, il settimanale dedicato al reportage, per il quale mi ha chiesto più volte di scrivere. Anche il rapporto con la Cgil è stato per entrambi molto forte: ricordo solo la speranza di ridare vita al sindacato scrittori, un progetto che purtroppo si è fermato. Ma Alessandro c’era sempre, puntuale, appassionato, infaticabile. Era l’aspetto dell’intellettuale militante, la gratuità del dono anche di un uomo di sinistra ma profondamente cristiano, una vera rarità oggi.

Siamo tutti convinti che fosse un maestro, e lo era. Cosa ci ha insegnato? Chi raccoglierà la sua eredità?

È stato involontariamente un maestro, come tutti i maestri. Ci ha insegnato un metodo morale, un modo di decifrare la realtà, e la grande passione per il reportage come racconto delle forme complesse. Molti ragazzi che si dedicano all’indagine sociale, al lavoro culturale, lo conoscono e lo leggono, lo studiano. Sono certo che la sua condotta è già e sarà anche in futuro un faro per molti di loro.