Mi trovavo al Palazzo di Giustizia di Roma in occasione dell’apertura dell’Anno giudiziario del 2001, passavo per gli ampi corridoi della Cassazione e, cercando immagini da catturare nel grande fermento della preparazione, fui incuriosito dalla vestizione dei giudici per la cerimonia. 

In particolare la mia attenzione fu attratta da una donna togata che, davanti a un grande specchio, stava compiendo un gesto delicato, femminile, quotidiano, quello di colorare le labbra con un rossetto. 

Feci una sola fotografia a quella che mi parve un’immagine del lato umano della giustizia. Solamente in seguito seppi chi era quella magistrata che aveva catturato il mio interesse e quello scatto sembrò assumere un ulteriore significato. 

Si trattava di Gabriella Luccioli, presidente di sezione della Corte di Cassazione, una pioniera della giustizia al femminile: entrata in magistratura nel 1965 con il primo concorso aperto alle donne, fu la prima donna togata in Cassazione ad essere nominata presidente di Sezione.

Non solamente, negli anni successivi a quella cerimonia Gabriella Luccioli firmò sentenze storiche per la nostra giurisprudenza, come quella sul caso di Eluana Englaro che affermava “il diritto alla autodeterminazione terapeutica per i malati terminali”, o quella che legittimò l’affido di un bambino a una coppia omosessuale affermando che avrebbe potuto crescere in modo equilibrato e che non vi sono “certezze scientifiche o dati di esperienza che provino il contrario”.

Un caso fortuito, quell’immagine, e forse anche l’evidenza di quanto conti la curiosità.