Il 21 ottobre 1846 nasceva Edmondo De Amicis, scrittore e giornalista, autore di un libro - Cuore - che sono pronta a scommettere ognuno di noi ha letto almeno una volta nella propria vita. Un romanzo per ragazzi strutturato in episodi separati e pubblicato per la prima volta dalla casa editrice milanese Treves nel 1886. Il libro ha la forma di un diario fittizio di un ragazzo di terza elementare che racconta lo svolgersi del proprio anno scolastico dal 17 ottobre 1881 al 10 luglio 1882 ed è strutturato in tre filoni: il diario di Enrico Bottini, che riporta sulla pagina in prima persona episodi e personaggi della sua classe, il filone epistolare, cioè le lettere che il padre scrive a Enrico, infine il filone narrativo, coi famosi racconti mensili del maestro su varie storie, sempre interpretate da fanciulli (Il piccolo patriota padovano, La piccola vedetta lombarda, Il piccolo scrivano fiorentino, Il tamburino sardo, L’infermiere di Tata, Sangue romagnolo,Valor civile, Dagli Appennini alle Ande, Naufragio).

“Questo libro - scriveva lo stesso De Amicis - è particolarmente dedicato ai ragazzi delle scuole elementari, i quali sono tra i 9 e i 13 anni, e si potrebbe intitolare: Storia d’un anno scolastico, scritta da un alunno di terza d’una scuola municipale d’Italia. Dicendo scritta da un alunno di terza, non voglio dire che l’abbia scritta propriamente lui, tal qual è stampata. Egli notava man mano in un quaderno, come sapeva, quello che aveva visto, sentito, pensato, nella scuola e fuori; e suo padre, in fin d’anno, scrisse queste pagine su quelle note, studiandosi di non alterare il pensiero, e di conservare, quanto fosse possibile, le parole del figliolo. Il quale poi, 4 anni dopo, essendo già nel ginnasio, rilesse il manoscritto e v’aggiunse qualcosa di suo, valendosi della memoria ancor fresca delle persone e delle cose. Ora leggete questo libro, ragazzi: io spero che ne sarete contenti e che vi farà del bene”.

Un libro, Cuore, che sebbene all’apparenza datato ha però ancora tanto da raccontarci. Per esempio sul senso primo di quella scuola oggi balzata inevitabilmente e tristemente - spesso - agli onori della cronache. È il padre di Enrico a sottolinearlo in una lettera al figlio, nella quale scrive:  “Pensa agli innumerevoli ragazzi che presso a poco a quell’ora vanno a scuola in tutti i paesi; … vestiti in mille modi, parlanti in mille lingue, dalle ultime scuola della Russia quasi sperdute tra i ghiacci alle ultime scuole dell’Arabia ombreggiata dalle palme, milioni e milioni, tutti a imparare in cento forme diverse le medesime cose; … e pensa se questo movimento cessasse, l’umanità ricadrebbe nella barbarie; questo movimento è il progresso, la speranza, la gloria del mondo”. Una ipotesi probabilmente ritenuta lontana fino a non poco tempo fa ed oggi invece preoccupantemente attuale, preoccupantemente concreta.

Il 5 marzo scorso chiudevano, in Italia, tutte le scuole di ogni ordine e grado ed è di pochi giorni fa la notizia di un’ulteriore chiusura degli istituti campani.

Certo la didattica è andata avanti, abbiamo avuto - non tutti! - la Dad, la ormai famigerata didattica a distanza. Ma a quale prezzo? “Almeno 463 milioni di bambini le cui scuole sono state chiuse a causa della pandemia non hanno avuto la possibilità di usufruire della didattica a distanza”, affermava pochi mesi fa la direttrice esecutiva dell’Unicef Henrietta Fore. “Si stima - riportava l’Istat - che durante il lockdown siano stati approssimativamente 3 milioni (tenendo conto dei dati del 2019) gli studenti di 6-17 anni che per la carenza di strumenti informatici in famiglia o per la loro inadeguatezza potrebbero aver incontrato difficoltà nella didattica a distanza. Una mancanza che, ancora una volta, si accentua nel Mezzogiorno, dove si ritiene che arrivi ad interessare circa il 20 per cento dei bambini”.

Bambini in larga percentuale non autosufficienti, affidati in tutto e per tutto alla cura di un genitore, la mamma nella stragrande maggioranza dei casi. Secondo un questionario sviluppato dai ricercatori della Bicocca di Milano, il 65% delle madri ritiene che la didattica a distanza non sia compatibile con il lavoro. Il 30% di loro nell’agosto scorso ha risposto di essere certa di lasciare il proprio lavoro qualora la didattica a distanza, imposta dal Coronavirus, sarebbe stata protratta. Il 4 maggio 2020 a tornare al lavoro è stato il 72,4% degli uomini. Perché quando c’è da decidere chi deve fare un passo indietro per occuparsi dei figli che non vanno a scuola, la decisione in pratica è già presa: le donne. Sempre meno a lavorare e sempre meno a cercare lavoro in un paese in cui la percentuale di occupazione femminile, già bassissima, rischia di crollare. Ma non doveva andare tutto bene?