Che senso ha, oggi, fare un film che parla di lavoro? e che contributo può dare il cinema alla riflessione sulla lotta di classe? Sono questioni aperte, su cui si avverte l'urgenza di un confronto, ancora di più nel nuovo scenario delineato dalla pandemia. Ai Job film days di Torino, in corso da lunedì 21 a mercoledì 23 settembre, se n'è parlato molto, nel tentativo di far incontrare l'universo dei narrati (il mondo del lavoro) e quello dei narranti (quello del cinema). Ai due se n'è aggiunto un terzo: quella terra di confine rappresentata dal mondo del lavoro "nel" cinema, che il Covid-19 ha totalmente rivoluzionato.

La pandemia ha imposto dapprima una battuta d'arresto, dalla quale molti professionisti del settore non si sono ancora ripresi. Successivamente, la necessità di ripensare totalmente le logiche produttive. Non basta solo mantenere le distanze sul set e ripensare la scrittura stessa delle sceneggiature a prova di norme anti-contagio. Bisogna andare oltre, sfruttando l'occasione per sperimentare nuovi linguaggi e nuovi strumenti, nell'ottica di una democratizzazione dei mezzi di produzione.

Al tema si è dedicato ampio spazio in questa prima edizione dei Job film days (Jfd), promossa dall'Associazione sicurezza e Lavoro e che vede, tra i suoi sostenitori, anche la Cgil di Torino. Diritti, sicurezza, occupazione, precariato, crisi, sono alcune delle parole chiave del festival, organizzato in occasione dei 50 anni dello Statuto dei lavoratori. L'iniziativa prevede anche un concorso per produzioni video in formato corto, che verranno premiate nella serata conclusiva di oggi (mercoledì 23 settembre). Ospite d'onore della terza e ultima giornata sarà Lech Kowlaski, che con il suo film On va tout peter ha documentato la lotta degli operai francesi della General motors. Una protesta fatta attraverso l'occupazione della fabbrica e un concerto degli stessi operai, che scardina le forme classiche e più tradizionali della mobilitazione.

Per Kowalski, osservatore partecipante dietro la sua fotocamera, il film diventa l'occasione per porre interrogativi, cercando di lasciare fuori l'occhio dell'intellettuale progressista e borghese. Negli ultimi anni il cinema d'autore è tornato al racconto del mondo del lavoro: Kowalski ha documentato passo dopo passo la resistenza degli operai francesi, come lui ha fatto Stéphane Brizé con En guerre (e prima ancora con La legge del mercato). Continua a farlo mirabilmente Ken Loach, con quel pugno allo stomaco che è il suo ultimo Sorry we missed you (tra le proiezioni più partecipate nel programma dei Jfd).

Anche lo sguardo delle nuove generazioni di registi non è da meno. Accanto a capolavori contemporanei come il film di Loach sulla vita e le pene di un driver, ai Job film days arriva la pellicola di Filippo Ortona sull'inferno dei fattorini in bicicletta. Un'inchiesta sui rider, svolta in Francia, per svelare i meccanismi di sorveglianza operati da piattaforme come Deliveroo, Foodora e Uber Eats, documentando le condizioni di lavoro effettive e lo sfruttamento basato sulla parcellizzazione del lavoro.

Se i rider sono stati tra le vittime sacrificali sull'altare del profitto durante il lockdown, anche le donne hanno pagato caro. Cinema e lavoro s'intrecciano per forma e contenuto nel progetto di film Tutte a casa, realizzato dal Collettivo omonimo composto da 16 professioniste dello spettacolo, che a Torino hanno presentato la campagna di crowdfunding, in corso su produzioni dal basso. Donne, lavoro, relazioni ai tempi del Covid-19 è il sottotitolo del film, in fase di realizzazione, che indaga la questione di genere attraverso la lente della pandemia. 

Tra gli appuntamenti più interessanti dei Jfd c'è sicuramente la masterclass con i fratelli De Serio, che al tema del lavoro hanno dedicato il film appena presentato a Venezia, Lo spaccapietre. Ispirato alla storia di Paola Clemente, morta di fatica nei campi pugliesi, il lungometraggio prende di petto la problematica del caporalato, dello sfruttamento al limite della miseria umana, della sicurezza sui luoghi di lavoro. Quest'ultima è una delle questioni centrali per gli organizzatori dei Jfd. Di lavoro si muore ancora e troppo spesso. E il cinema, che è il grande racconto della vita, non può dimenticarsene.