Nel mondo della traduzione io mi trovo nella generazione di mezzo. Prima di me c’erano i traduttori improvvisati, i talenti spontanei, o quelli che avevano la fortuna di imparare “a bottega”, lavorando all’interno di una casa editrice. Oggi ci sono scuole, facoltà universitarie, corsi di traduzione. Si studia teoria della traduzione, si organizzano laboratori pratici con traduttori esperti che insegnano i segreti del mestiere a tanti ragazzi brillanti, a volte magari pensando “ma chi ve lo fa fare di imbarcarvi in questo mestiere malpagato e spesso frustrante”, ma poi ricordandosi che anche loro erano così, che la traduzione è stata anche per loro prima di tutto una passione, e allora che senso ha cercare di scoraggiare chi è spinto da una passione? Però è giusto avvertirli: si tratta di un mestiere malpagato e spesso frustrante. Però, se lo fate con passione, è bellissimo.

Generazione di mezzo, dicevo. Quando mi sono affacciata al mondo della traduzione, la formazione veniva fatta solo in alcune prestigiose facoltà universitarie, ma cominciava a comparire anche qualche workshop qua e là, come quello che seguii nel 1999 durante il master della scuola Holden. Tenuto da Anna Nadotti, straordinaria traduttrice e mentore di traduttori, quel workshop aprì una finestra su mondi meravigliosi, lasciando tutti i partecipanti affascinati e spingendone alcuni, fra cui me, a cimentarsi in una prova di traduzione.

Io avevo una laurea in lingua e letteratura russa di cui non sapevo bene cosa fare (a diciotto anni sognavo di ritradurre i classici russi dell’Ottocento, ma all’università, oltre a non insegnarmi affatto la lingua, mi avevano detto che c’erano grandi opportunità nel campo delle traduzioni simultanee per turisti russi che venivano in Italia ad acquistare prodotti di pelletteria), e avevo investito i miei risparmi nell’iscrizione al master Holden proprio per cercare una strada nel mondo della scrittura, che vagamente intuivo adatto a me.

Andai a cercare un libro non ancora tradotto in italiano, e trovai In Love and Trouble: Stories of Black Women, una raccolta di racconti di Alice Walker da cui scelsi lo splendido The Revenge of Hannah Kemhuff, una storia di vudù. Lo portai ad Anna, chiedendole di leggerlo e dirmi cosa ne pensava della mia traduzione, e lei me lo restituì con un solo commento: “Hai fatto un ottimo lavoro”.

Qualche giorno dopo ricevetti una telefonata da Marisa Caramella, un’altra straordinaria traduttrice ed editor Einaudi, che voleva, mi disse, “parlare di traduzione”. E ne parlammo a Torino, nella sede della casa editrice, dove affrontai su due piedi una prova di traduzione tratta dal difficilissimo Suttree di Cormac McCarthy, e dove mi venne assegnata la traduzione del primo romanzo di McCarthy, The Orchard Keeper (Il guardiano del frutteto). Cominciai a lavorarci, ma poco dopo venni interrotta da un’altra telefonata: era arrivato un libro da tradurre urgentemente, un successo annunciato: The Corrections di Jonathan Franzen.

Einaudi non poteva certo assegnare un romanzo così importante a una novellina, e fu così che andai “a bottega” da Marisa Caramella, la quale lavorò insieme a me alla traduzione del romanzo e praticamente mi insegnò il mestiere. Da allora Jonathan Franzen è rimasto un “mio” autore: di lui ho tradotto tutto tranne il primo romanzo, che era già stato tradotto da Ranieri Carano. Poi sono venuti Cormac McCarthy, Don DeLillo, Nathan Englander, Rachel Cusk, Junot Díaz, Denis Johnson, Annie Proulx, Amy Hempel, Nancy Mitford, E. L Doctorow, Julie Otsuka, Zadie Smith, Jamaica Kincaid, Colson Whitehead, Shirley Jackson e altri ancora. Ora sto ritraducendo Hemingway, Il vecchio e il mare.

Leggi anche

Culture

Un lavoro che aiuta a restare umani

Tradurre letteratura significa innanzitutto mettersi in ascolto. Ascoltare la voce dell’autore con la massima cura
Un lavoro che aiuta a restare umani
Un lavoro che aiuta a restare umani

Quando traduco un libro comincio con una prima stesura in cui lavoro sul dettaglio, sulla precisione della singola parola e sulla struttura della frase. Poi man mano allargo l’inquadratura sulla sintassi del periodo e poi sulla coesione interna del testo. Dopo la prima stesura, che è una specie di corpo a corpo con la scrittura dell’autore, rileggo una prima volta la traduzione facendo un confronto fra l’inglese e l’italiano, per assicurarmi di non essermi presa troppe libertà e di non aver saltato qualcosa. La seconda rilettura sarà solo sul testo in italiano, e servirà per eliminare eventuali calchi semantici o sintattici e per far sì che il testo, per citare Calvino, sembri pensato e scritto direttamente in italiano.

Per i libri particolarmente difficili ci sarà anche una terza, magari anche una quarta rilettura. A questo punto il libro andrà in mano al revisore, un occhio esterno che saprà correggere gli errori, le sviste, i calchi e le pesantezze sintattiche che si trovano anche nella migliore delle traduzioni. L’intervento del revisore è indispensabile alla buona riuscita di una traduzione, e un traduttore deve sempre pretendere che il suo lavoro venga rivisto. Al termine di questa fase la casa editrice mi manderà le bozze da rivedere per l’approvazione finale. Nel corso di ciascuna di queste fasi potrà avvenire il dialogo con l’autore, che spesso mi capita di contattare in caso di dubbi sul testo.

Il lavoro dei traduttori, così come ogni genere di lavoro da freelance, richiede una disciplina piuttosto rigorosa. Il ritmo non ci viene imposto dall’esterno, se non per una scadenza che all’inizio può sembrare lontana finché non diventa vertiginosamente vicina, e così dobbiamo imporcelo da soli. Così, dopo un periodo di approccio iniziale con il libro, in cui mi avvicino gradualmente allo stile dell’autore, preparo un calendario di lavoro che mi permetta di arrivare puntuale alla scadenza, una cosa a cui tengo molto (e a cui naturalmente tengono molto anche gli editori).

Un altro principio a cui mi attengo è quello di non scendere mai sotto una certa tariffa. Ci vorrebbe poco, altrimenti, a passare da mestiere malpagato a mestiere insostenibile.

Silvia Pareschi traduce letteratura angloamericana dal 1999. Le sue traduzioni sono state pubblicate da Adelphi, Einaudi, Guanda, Mondadori, NN, SEM. È autrice del libro di racconti I jeans di Bruce Springsteen e altri sogni americani (Giunti, 2016). Ha vinto il premio Traduttore dell’anno 2019 assegnato da “La Lettura”. Vive sul lago Maggiore e a San Francisco