È stata un'edizione storica, la 77esima del Festival di Venezia. Per tanti motivi: il primo, ovviamente, perché si è svolta nei giorni del Covid, con i dati sui contagi di fine estate che salivano ogni giorno dai bollettini del ministero della Salute. “May you live in interesting times”, era lo slogan della scorsa Biennale d'arte: e sono stati davvero “tempi interessanti”, anche se forse non nel senso che ci aspettavamo.

La seconda ragione che ha reso la Mostra storica è questa: Venezia ha sfidato il virus e ha vinto. Dieci giorni di film si sono svolti al Lido nelle condizioni di massima sicurezza: rispetto delle distanze, mascherine anche in sala e in tutto il perimetro della kermesse, controlli rigorosi per garantire la sicurezza. Che però, a dirla tutta, era già nella mente degli accreditati, appassionati, studenti e curiosi che si sono ritrovati in laguna: il colpo d'occhio diceva chiaramente che le persone si sono auto-regolate. Il rispetto delle misure non ha richiesto particolari interventi dell'autorità: camminare al Lido nel corso della settimana rivelava un'atmosfera serena, ma anche di grande consapevolezza, ovvero la convinzione che un virus non può ammazzare un'industria culturale. Accade solo se viene permesso, ma non è inevitabile: il cinema si può godere anche con distanze e mascherine. Ha colpito molto la volontà di partecipazione di molti presenti, tra cui gli “accrediti verdi” di giovani e studenti.

Ha vinto Nomadland. La giuria di Cate Blanchett ha assegnato il Leone d'oro al film di Chloé Zhao. Anche questo resterà nella Storia, esattamente come Tenet, il film di Christopher Nolan che ha riportato la gente in sala nel post-Covid, e come tutte le grandi ripartenze del cinema dopo una tragedia, per esempio nel secondo dopoguerra. Trovando macerie ma anche la possibilità di ricostruire. C'è stato tanto lavoro, nella mostra diretta da Alberto Barbera: alcuni film lo hanno affrontato in modo frontale, altri di striscio. Impossibile non amare Spaccapietre di Gianluca e Massimiliano De Serio (sezione Giornate degli autori): il film sul caporalato liberamente ispirato alla storia di Paola Clemente, morta di fatica, che vede un notevole Salvatore Esposito come moderno “spaccapietre”, sempre chino sui campi e sfruttato dai caporali.

Il lavoro è centrale anche nello splendido documentario Guerra e Pace di Martina Parenti e Massimo D'Anolfi: nella sezione più originale viene mostrato il lavoro dell'Unità di crisi della Farnesina, mai visto prima, con i funzionari impegnati ogni giorno a recuperare gli italiani persi nelle zone calde di conflitto, come la Siria. Il maggiore documentarista vivente, Frederick Wiseman, ha sempre trattato i lavoratori e lo fa anche in City Hall, il film di 275 minuti dedicato al Comune di Boston: riprende molti settori che muovono la città, dagli addetti all'igiene ambientale alle infermiere che aiutano i malati, fino ai dipendenti pubblici e agli assistenti sociali. Anche il sindaco è un duro lavoro, se viene fatto come lo fa il democratico Martin Walsh, impegnato da sempre a difesa di tutte le minoranze. È stato anche un festival delle donne: sono tali Le sorelle Macaluso di Emma Dante, le giovani siciliane al centro del suo racconto struggente. E le attrici che si sono qui rivelate, come l'americana Vanessa Kirby che sarà una nuova stella.

Non tutto è perfetto. I selezionatori di Venezia possono e devono fare di più: nel festival mancano ancora alcune cinematografie, per esempio l'Africa, a tratti non c'è quella ricerca che una dimensione internazionale dovrebbe sempre avere. Però va dato atto della riuscita della manifestazione: al contrario dei dubbi della vigilia, occorre onestamente ammettere che Venezia ce l'ha fatta. È un bene per tutti. Da qui può ripartire l'industria cinematografica e quindi culturale, può iniziare un altro film. Ma servono alcune condizioni: prima di tutto il governo deve sostenere il cinema, non deve lasciar fallire gli esercenti e chiudere le sale. Perché, al contrario della triste affermazione di un vecchio ministro, con la cultura si mangia eccome: lo dimostra questo festival che ha tenuto duro portando a casa il risultato. Poi i distributori devono lanciare i film con coraggio, e le persone devono andarli a vedere. Se passa il messaggio giusto i cittadini possono sapere e comprendere che andare al cinema è sicuro: non c'è mai stato un caso di contagio in sala, se si rispettano le regole il rischio non esiste. Ricordiamoci che il cinema non è guardare un film sul cellulare, bensì entrare in una sala buia, insieme a sconosciuti e restarvi per un paio d'ore a occhi spalancati. Nelle prime proiezioni della storia, guardando il treno dei Lumière, il pubblico scappava dalla sala. Adesso bisogna fare il contrario, entrarvi in massa. Sosteniamo il cinema e non facciamolo affondare: prendiamo esempio da Venezia, che alla fine è rimasta a galla.