Nota a tutti come un’icona degli anni d’oro di Hollywood, di cui il suo ruolo in Colazione da Tiffany  è diventato l’effige, protagonista di Vacanze romane Audrey Hepburn ha una parte della sua vita rimasta finora segreta: quella di staffetta partigiana ed eroina della resistenza olandese durante la Seconda guerra mondiale. Nata a Bruxelles da padre inglese e madre olandese, Audrey, a soli 14 anni, prende accordi con la sua famiglia per nascondere nella loro casa un paracadutista britannico, rimasto disperso dopo la battaglia di Arnhem.  Da quel momento la sua esistenza cambia per sempre. Non solo prende parte all’operazione di celare la presenza del militare alleato nella propria abitazione, ma inizia anche a compiere pericolose missioni come staffetta per portare messaggi alle formazioni partigiane.

I Paesi Bassi verranno liberati il 4 maggio 1945, giorno del sedicesimo compleanno di Audrey. Anni dopo, parlando della liberazione di Arnhem, dirà: “L’incredibile sensazione di conforto nel ritrovarsi liberi, è una cosa difficile da esprimere a parole. La libertà è qualcosa che si sente nell’aria. Per me, è stato il sentire i soldati parlare inglese, invece che tedesco e l’odore di vero tabacco che veniva dalle loro sigarette”. Riservatissima, del suo contributo alla lotta contro l’occupazione nazifascista, la star di Hollywood parlava solo in casa ed è stato rivelato grazie alla biografia Dutch Girl: Audrey Hepburn and World War II, pubblicata in occasione del novantesimo della nascita. “Un giorno la mamma me lo raccontò con noncuranza”, racconterà il figlio, “Era rischioso e capiva che sarebbero stati tutti fucilati se fosse stata scoperta, ma lo fece lo stesso”. Lo fece lo stesso, come tante, tantissime donne parigine e resistenti, in Europa ed in Italia.

Stando ad alcuni calcoli fatti dall’Anpi, nel nostro Paese furono 35 mila le partigiane combattenti, 20 mila le patriote con funzioni di supporto, 70 mila le donne appartenenti ai Gruppi di difesa per la conquista dei diritti delle donne, 5 mila circa quelle arrestate, torturate e condannate dai tribunali fascisti, più o meno 3 mila le deportate in Germania.

Scrive nella Enciclopedia della Resistenza Arrigo Boldrini: “Il censimento minuto ed esatto della somma dei contributi femminili alla Resistenza è impossibile proprio per il suo carattere di massa: nel corso di quei due anni vi fu la contadina che compiva chilometri a piedi in mezzo ai blocchi nazifascisti per recare i viveri a un gruppo di partigiani; vi fu la casalinga che preparava indumenti da avviare alle bande in montagna; vi fu l’operaia che nascondeva un pezzo della macchina affidatale in fabbrica affinché i tedeschi non avessero interesse a portarla via o la produzione per loro conto venisse interrotta. Moltissime di quelle donne non chiesero mai riconoscimenti e le cronache e la storia ne ignorano persino il nome. Cosicché la pure elevata cifra di 35 mila donne insignite del titolo di partigiane combattenti non rappresenta che il contingente di punta di un grandioso esercito di collaboratrici e sostenitrici della lotta”.